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15 marzo 2016

 

Mosca: La guerra ai terroristi continua

 

Il giorno dopo il proclama del presidente Vladimir Putin sul ritiro del contingente russo dalla Siria, notizie dal campo e ulteriori dichiarazioni da parte di alte fonti militari del Cremlino e di Damasco chiariscono meglio la realtà dietro gli annunci. In particolare, che la Russia continua a sostenere il presidente Bashar al-Assad con la sua aviazione. Non soltanto bombardando i "terroristi", ma anche contribuendo allo sforzo militare dell'esercito regolare siriano nella riconquista del terreno perduto.

 

La conferma arriva da Palmira, la città patrimonio dell'Unesco ormai tristemente famosa per gli sfregi subiti da quando lo Stato Islamico ne ha preso drammaticamente il controllo all'inizio del 2015. Dove un reporter dell'agenzia di stampa russa Ria-Novosti testimonia dei colpi d'artiglieria a cui l'esercito sta sottoponendo i jihadisti, mentre blindati e unità speciali conducono chirurgiche operazioni per neutralizzare le postazioni dell'Is a ridosso della città.

 

Un martellamento in preparazione di un imminente attacco. Che, secondo al-Manar, il canale televisivo di Hezbollah, è già iniziato. Riferisce al-Manar che i soldati di Assad, col "pesante" sostegno dell'aviazione russa, muovono con "significativi risultati" a ovest di Palmira. La riconquista della città non avrebbe solo un valore altamente simbolico, ma schiuderebbe davanti all'esercito di Assad la strada verso Raqqa, la "capitale" siriana dell'Is, interrompendo i canali di approvvigionamento dei jihadisti e allentando allo stesso tempo il loro assedio a Deir-ez-Zor.

 

L'agenzia Sana riporta un comunicato dello Stato Maggiore di Damasco: "L'esercito siriano continuerà le azioni militari con persistenza e determinazione contro i gruppi terroristici in coordinamento con gli amici e alleati fino a quando la sicurezza e la stabilità verrà ripristinato in tutta la Siria".

 

Testo  in cui si specchiano le dichiarazioni rese dal viceministro della Difesa russo, Nikolai Pankov, citato dalla Tass: "Le forze aeree russe dislocate nella base siriana hanno il compito di continuare a bombardare le infrastrutture dei terroristi. Certi risultati positivi sono stati raggiunti, è emersa una concreta opportunità di porre fine al conflitto e alla violenza, ma è troppo presto per parlare di vittoria sul terrorismo". Mentre il capo di gabinetto del Cremlino, Sergei Ivanov, conferma il mantenimento del sistema anti-missile S-400, in grado di intercettare ed abbattere qualsiasi velivolo nel raggio di 400 km nella sua versione più aggiornata, a "efficace protezione delle nostre truppe che restano in Siria".

 

La Russia, dunque, resta in Siria con una presenza forse meno ingombrante ma di certo non meno decisiva. Una realtà che spegne sul nascere l'affrettato entusiasmo con cui la propaganda del Fronte al-Nusra, la fazione qaedista non inclusa nella lista degli ammessi al negoziato di pace ma considerata terrorista alla stregua dello Stato Islamico, dopo l'annuncio di Putin aveva promesso una sua offensiva entro 48 ore. "E' chiaro - aveva dichiarato via skype all'Afp un comandante della formazione qaedista - che la Russia ha subito una sconfitta".

 

Ben diversa la reazione all'annuncio di Putin da parte dell'inviato speciale delle Nazioni Unite per la Siria, Sattan De Mistura: la "speranza in ricadute positive" sul negoziato sulla pacificazione del Paese. Ma il fronte delle opposizioni ad Assad manifesta un certo nervosismo per la contraddittorietà tra parole e fatti. "Chiediamo il ritiro di tutte le truppe straniere dalla Siria, non solo quelle russe" dichiara a Ginevra Salim al Muslet, membro dell'Alto comitato per i negoziati (Hnc) delle opposizioni, parlando in diretta dalla televisione panaraba Al Jazeera.

 

Quanto all'annuncio di Putin, "sentire un annuncio è una cosa, vederlo applicato sul terreno è un altro - rimarca il negoziatore -. Sarà uno sviluppo positivo se Putin è serio nel volerlo applicare". Dalla prospettiva dell'opposizione ad Assad, il riferimento di al Muslet alle "truppe straniere" include evidentemente lo schieramento di forze impegnate in Siria a sostegno del dittatore. Ovvero, le milizie sciite libanesi di Hezbollah, i Guardiani della rivoluzione di Teheran, presenti in forze anche se ufficialmente con il ruolo di "consiglieri" e tutta una galassia di miliziani di fede sciita provenienti da Afghanistan e Iraq.

 

Per contro, la Russia denuncia la presenza in territorio siriano anche di soldati turchi. Nello specifico, era stato il ministro degli Esteri Sergei Lavrov a parlare, domenica scorsa, di "rampante espansione" militare turca in territorio siriano con la fortificazione di posizioni alcune centinaia di metri oltre confine con l'obiettivo di combattere il consolidamento curdo nell'area. Alle accuse di Lavrov, riprese dal quotidiano Hurriyet, lo Stato Maggiore di Ankara replica con una secca nota: "Le sue affermazioni non corrispondono a verità".

 

Il capo della Commissione d'inchiesta Onu sui crimini di guerra commessi in Siria, Paulo Pinheiro, da Ginevra invita le parti impegnate nel negoziato ad adottare misure in grado di stabilire un minimo di fiducia reciproca, ad esempio la liberazione di tutti i prigionieri arbitrariamente trattenuti. Allo stesso tempo, Pinheiro sottolinea come la giustizia sui crimini perpetrati nel Paese debba seguire il suo corso e non possa attendere la firma e la successiva ratifica di un accordo di pace. Di certo, osserva il capo della commissione parlando al Consiglio Onu per i Diritti dell'Uomo, le violenze in Siria sono "diminuite significativamente" e, per la prima volta dall'inizio della guerra civile, cinque anni fa, "si intravede una speranza di porvi fine". Pinheiro infine loda il cessate il fuoco che "ha permesso a molti un ritorno alla normalità".

 

Nel quinto anniversario dall'inizio della guerra civile (il 15 marzo 2011 è la data che segna l'inizio di rivolte popolari contro il regime di Assad), l'Osservatorio siriano per i diritti umani aggiorna il prezzo pagato in vite umane. Sono 273.520 le vittime, di cui 79.585 civili. Tra questi, 13.694 bambini e 8.823 donne.

 

I caduti tra i combattenti schierati dall'opposizione sono almeno 44.288, compresi quelli militanti nelle fazioni islamiche e i curdo-siriani dell'Ypg. Circa 2.574 vittime sono disertori. A questi si devono sommare i 44.992 militanti dello Stato Islamico, del fronte Nusra, e di altre organizzazioni radicali. Tra le fila dell'esercito regolare di Assad si contano 55.435 morti, 38.208 i caduti appartenenti alle milizie filo-governative.

 

Il conteggio si chiude con i 1.041 libanesi di Hezbollah e i 3.897 combattenti sciiti di altre nazionalità, oltre ad almeno 3.500 vittime la cui identità non è stata accertata. L'Osservatorio ricorda infine che il bilancio non include i 20mila dispersi nelle prigioni del governo, i 5mila sequestrati dallo Stato Islamico, i 6mila prigionieri e dispersi e i 2mila membri delle forze lealiste ostaggio delle fazioni islamiche, dell'Is o del Fronte al-Nusra.

 

Un altro dato impressionante lo fornisce invece l'Unicef e riguarda i bambini che in Siria sono nati con la guerra, sono cresciuti sotto i bombardamenti e durante la loro sin qui

 

breve esistenza non hanno conosciuto altro. Sono circa 3,7 milioni, un bambino siriano su tre. Mentre oltre 306mila bambini sono nati in condizione di rifugiati dal 2011. I bambini siriani che non vanno a scuola sono 2,8 milioni (2,1 milioni all’interno del Paese, 700mila in quelli vicini).

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