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31 marzo 2016

 

Inversione a U del Pentagono

di Guido Dell'Omo

 

Per il portavoce Peter Cook (ora) la Russia sta svolgendo un “ruolo di primaria importanza” nella lotta contro l’IS e per il raggiungimento di un cessate-il-fuoco in Siria. Ma questa non è stata l’unica inversione di marcia questo martedì a Washington D.C.

 

La decisione del Cremlino di iniziare il ritiro delle truppe dalla zona di guerra può essere paragonata ad uno scacco matto in questa che è stata una vera e propria partita mediorientale tra Russia e Stati Uniti. In una situazione di questo tipo è difficile azzardare una mossa per riprendere in mano le redini della partita. Gli USA lo sanno bene e si limitano a cercare di ritagliare un piccolo lembo di dignità con cui coprirsi per poi levare le tende al più presto dal pantano del Medio Oriente. Tutto è cominciato già da qualche tempo, da quando Obama e alcuni leader europei hanno smesso di parlare di Bashar al-Assad come un “desposta da mandare via senza possibilità di trattative”, per esempio. Durante questo percorso tortuoso – e indeciso – a dare una sterzata decisa ci ha pensato il portavoce del Pentagono Peter Cook, questo martedì, durante un briefing a Washington D.C. Prima ha parlato della Russia e del suo “ruolo di primaria importanza” per aver ottenuto un cessate-il-fuoco in Siria. In seguito ha azzardato, addirittura, un incoraggiamento a Mosca, augurando che “continui a concentrarsi sugli obiettivi dell’IS”. Ha proseguito parlando di “importanti sviluppi” sul suolo di guerra dovuti alle azioni russe portate a termine sul territorio e ha invitato il Cremlino a continuare a svolgere il suo ruolo da mediatore al fine di conquistare la pace in Siria. Ma forse la dichiarazione più significativa – o l’ennesima sterzata – il portavoce del Pentagono l’ha data nella fase conclusiva dell’incontro, quando, ricollegandosi a quanto detto sulla Russia e sulla pace a Damasco, ha insistito che “la pace in Siria dipende da Bashar al-Assad e dai cambiamenti che lui, da Presidente, attuerà”. Che brusca manovra. Da quando è scoppiato il conflitto siriano, nel 2011, gli Stati Uniti non hanno fatto altro che dire che Assad si sarebbe dovuto fare da parte come una conditio sine qua non se si voleva raggiungere una soluzione pacifica ai conflitti armati. Oggi invece sembra che gli americani stiano riconoscendo i loro errori, ma solo per cercare di uscire più puliti possibile quando il progetto di disengagement sarà giunto al termine, non di certo per porgere delle scuse al regime, legittimo, di Assad.

A denotare un netto cambio di rotta rispetto a quella intrapresa fino a poco tempo fa da Obama e i suoi scagnozzi europei non sono state solo le parole di Peter Cook, ma anche quelle del Segretario di Stato John Kerry, che la scorsa settimana è volato a Mosca per un incontro con il presidente Vladimir Putin. “La Russia ha svolto e continua a svolgere un ruolo significativo per la cessazione delle ostilità in Siria. Se la Russia può essere d’aiuto in questa transizione politica gli Stati Uniti non possono che beneficiarne”, ha detto Kerry durante lo show americano Face the Nation dell’emittente CBS. Strano, perché era sembrato che gli interessi americani e quelli russi divergessero non poco fino a qualche settimana fa.

Da quando era cominciato il supporto militare russo gli USA avevano accusato Mosca di bombardare i ribelli anti-Assad e non i miliziani dell’IS. Eppure, con l’assistenza aerea dell’aviazione russa, le truppe siriane sono avanzate in ogni direzione sul territorio riuscendo così a strappare ai tagliagole dell’IS le città che avevano conquistato. La scorsa settimana l’Esercito Siriano è riuscito a liberare Palmyra, sito UNESCO e patrimonio dell’umanità, i cui templi e manufatti che rappresentano la culla della nostra civiltà sono stati barbaramente distrutti. Prima ancora hanno scacciato i miliziani dello Stato Islamico fuori da Latakia, hanno liberato la zona nord di Aleppo e hanno riconquistato Hama e le provincie di Homs nella Siria centrale.

Le dichiarazioni dei funzionari degli Stati Uniti sono giuste, certo è che, probabilmente, arrivano leggermente in ritardo e in contraddizione con la loro politica intrapresa dal 2011. È difficile credere, allora, che qualche dichiarazione di facciata basterà agli Stati Uniti per mascherare il loro operato maldestro nella questione siriana.

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