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Napoli, 4 apr 2016

 

Khalifa; senza processo ad Assad, la Siria non sarà mai stabile

di Francesco Tedesco

 

Assad deve essere giudicato per i crimini che sta commettendo, altrimenti quello che accade in Siria diventerà una speranza per tutte le dittature del mondo.

 

“Senza un minimo di giustizia, il futuro della Siria sarà sempre instabile”. Lo ha detto Khaled Khalifa, scrittore siriano, premio Naguib Mahfouz 2013 per "Elogio dell'odio" e che oggi ha incontrato gli studenti dell'Università Orientale di Napoli, per una conversazione sul mestiere di scrittore in un Paese stretto da una dittatura, sfociata inevitabilmente su una riflessione sulla drammatica situazione di oggi in Siria. Khalifa ha raccontato la Siria sotto il giogo della dittatura e quella devastata in questi anni da una rivoluzione "seconda solo alla rivoluzione francese per la sua portata radicale", ha spiegato, sottolineando che vede i siriani "lasciati completamenti soli dalla comunità internazionale a versare il loro sangue". Parole amare, quelle di Khalifa: "Quando sono scoppiate le primavere arabe nel 2011 - ha raccontato - ero a Milano, ero contento e chiedevo la solidarietà del mondo nei confronti della rivoluzione, poi però, io come il popolo siriano abbiamo scoperto una verità amara e cioè di essere assolutamente soli nella loro lotta per la costruzione di una Siria democratica". Lo scrittore, che racconta di leggere e amare gli scritti di Gramsci, Moravia e Buzzati, è molto netto nella sua critica all'atteggiamento dell'Europa e degli Usa che "cercano di trasformare la guerra civile siriana - spiega - in una questione di immigrazione, ma solo perché non si vuole affrontare la situazione per quella che è: un regime dittatoriale che dopo anni di oppressione, ora sta uccidendo il suo popolo". Khalifa, commentando il recente documento degli alawiti, aperti a una Siria oltre Assad, rifiuta di ridurre la questione siriana a uno scontro settario: "Quando sento parlare di Siria - spiega - anche da parte di importanti centri di ricerca europei e statunitensi, si sottolineano le divisioni confessionali, ma nel Paese ci sono divergenze ideologiche più che religiose. Non c'è un odio confessionale, non c'è una rivoluzione dei sunniti contro gli alawiti, ma semplicemente una rivoluzione dei siriani contro un dittatore. Il problema è che molti hanno bisogno di evitare che si facciano certe domande, dal perché gli occidentali hanno sostenuto le dittature arabe, fino a chiedersi chi c'è oggi dietro il Daesh, che commette atti terribili come quelli di Parigi o Bruxelles ma uccide anche quotidianamente noi siriani e la nostra rivoluzione". Uomo di passioni civili, Khalifa ci tiene a definirsi però uno scrittore non un politico: "Ma è impossibile - racconta - non narrare ciò che la guerra significa per il proprio Paese". E Khalifa lo racconta in tutti i suoi aspetti, come nel suo prossimo libro, il cui titolo si tradurrebbe in italiano come "L'operazione faticosa della morte" e che "narra la storia di un giovane che attraversa tutta la Siria in guerra per poter seppellire il corpo del padre nel cimitero della loro cittadina d'origine". (ANSAmed).

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