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29 giugno 2016

Strage a Istanbul, Erdogan ha le mani sporche di sangue
di Marco Santopadre

Un filmato, ripreso dalle telecamere di sorveglianza, mostra esattamente il momento di una delle esplosioni causate da un attacco kamikaze sferrato ieri sera contro l’aeroporto internazionale Ataturk di Istanbul che ha causato 41 morti e oltre 230 feriti, di cui alcuni in gravi condizioni. Almeno 13 delle vittime sono di nazionalità straniera. L’attacco terroristico è stato realizzato alla vigilia della lunga festività del bayram, la fine del ramadan. Nel filmato si osserva uno dei kamikaze cercare di fuggire dalla polizia, che poi viene colpito. Una volta a terra l’uomo aziona la sua cintura esplosiva e si fa saltare in aria.
Tre gli attentatori, che sarebbero arrivati al terminale delle partenze internazionali dell’aeroporto in taxi. I terroristi si sarebbero fatti esplodere dopo aver sparato sulla folla. Alcune testimonianze hanno detto di aver visto altri 4 attentatori partecipare all’aggressione. Altre fonti ancora parlano di 7 attentatori in tutto, ma si tratta di informazioni frammentarie e tutte da confermare.
La ricostruzione più attendibile è questa: un commando di tre uomini ha tentato di entrare nello scalo internazionale più importante d’Europa (61 milioni di passeggeri l’anno) ma è stato individuato dalle forze di sicurezza. Ne è seguito un intenso scontro a fuoco, durante il quale gli attentatori hanno sparato all’impazzata contro la folla. Una volta in trappola i kamikaze hanno deciso di farsi saltare in aria, causando altri morti.
Per tutta la notte le ambulanze hanno trasportato i feriti principalmente nei tre ospedali situati nei pressi dell’aeroporto, aiutate dai taxisti.
Questa volta il regime turco e i media non hanno neanche provato a citare e a coinvolgere, come altre volte era successo, l’insorgenza curda – il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) o i TAK (Falconi per la Libertà del Kurdistan), autori di vari attacchi contro interessi governativi e soprattutto contro le forze di sicurezza che in alcuni casi hanno causato anche alcune vittime civili – e si sono concentrati direttamente sulla matrice jihadista della strage, pur mancando per ora una rivendicazione del grave attentato.
Il presidente Recep Tayyip Erdogan ha affermato in un comunicato che “l’attacco ha dimostrato, ancora una volta, il volto oscuro delle organizzazioni terroristiche che prendono di mira i civili innocenti”, mentre il premier turco Yildirim ha detto chiaramente che i primi indizi indicano l’impronta dell’Isis, anche se le indagini sono ancora in corso. Yildirim ha sottolineato che l’aggressione è avvenuta in concomitanza con i passi di riconciliazione avviati dalla Turchia con Israele e la Russia in questi ultimi giorni.
Al presidente turco Erdogan sono arrivati anche messaggi di cordoglio da tutto il mondo, compreso quello del premier Matteo Renzi che ha parlato a Bruxelles a margine del vertice dell’Unione Europea.
“Eventi di questo genere confermano la necessità di una risposta forte e coesa, tutti insieme, contro la minaccia del terrorismo internazionale e dell’estremismo – ha detto Renzi – al di là delle valutazioni su tutto ciò che è accaduto, tengo molto a esprimere a nome del popolo e del governo italiano il nostro sentimento di vicinanza e solidarietà ai turchi”.
Come al solito, il regime ha immediatamente imposto alla stampa – pena l’arresto dei giornalisti disobbedienti – il divieto assoluto di diffondere le immagini dell’attacco. In più gli apparati di sicurezza hanno anche immediatamente bloccato l’accesso a Facebook, Twitter ed altri social network (che però si possono in realtà usare scaricando dei speciali browser).
La strage di ieri sera a Istanbul, l’ennesima ad opera dello Stato Islamico in suolo turco negli ultimi mesi, evidenzia tutte le responsabilità di un governo che ha ampiamente supportato il jihadismo strumentalizzandolo nel tentativo di utilizzarlo per il rovesciamento del governo siriano e il contrasto alle forze curde e a quelle dell’asse sciita all’interno di una guerra globale che coinvolge ormai da anni tutto il Medio Oriente.
Se all’inizio alcune stragi e attacchi di matrice jihadista avevano colpito esclusivamente i nemici del regime – le sinistre, i curdi, gli intellettuali dissidenti, alcuni giornalisti che denunciavano il sostegno di Ankara ai fondamentalisti – più recentemente il terrore islamista ha cominciato a colpire indiscriminatamente la popolazione turca e anche alcuni interessi strategici del paese.
E’ evidente che l’attacco di ieri, come prima altri, causa un enorme danno economico ad un paese che ha già visto calare drasticamente gli arrivi dei turisti spaventati dai continui attacchi e dall’insicurezza che si respira nelle città pure militarizzate della Turchia. A iniziare la campagna contro il turismo l’attentato che il 12 gennaio scorso aveva colpita il quartiere di Sultanahmet, la zona antica e monumentale di Istanbul affollata di visitatori stranieri. Poi il 19 marzo era toccato alla zona commerciale di Istiklal Caddesi. Gli effetti sul turismo, una delle principali risorse del paese, sono stati disastrosi: ad aprile i visitatori sono crollati del 28%, a maggio di un altro 35, e la strage di ieri darà probabilmente il colpo di grazia all’industria turistica già colpita dalla sanzioni decise dalla Russia dopo l’abbattimento, alcuni mesi fa nei cieli della Siria, di un caccia di Mosca da parte dell’aviazione militare di Ankara.
Appare ormai evidente che il principale responsabile dell’ondata di attacchi contro la popolazione turca è proprio il regime islamo-nazionalista turco, che per anni ha coccolato, armato, finanziato e offerto riparo e rifugio a migliaia di combattenti e simpatizzanti dello Stato Islamico e di altre sigle jihadiste. Cellule dello Stato Islamico sono state lasciare agire indisturbate per anni nelle città turche, in particolare nel sud del paese, dove hanno potuto approntare numerose basi logistiche, depositi di armi ed esplosivi, campi di addestramento. Il regime ha tollerato il contrabbando del petrolio siriano e delle opere d’arte trafugate da parte dei fondamentalisti che hanno così incamerato enormi somme di denaro destinate a rafforzare la loro struttura militare.
Da anni camion pieni di armi diretti ai tagliagole del Califfato passano indisturbati la frontiera turco-siriana sotto il naso di migliaia di militari di Ankara, e i giornalisti che hanno documentato la cosa sono stati licenziati, arrestati o addirittura assassinati.
Se oggi le attenzioni dello Stato Islamico si rivolgono anche contro la popolazione turca lo si deve all’irresponsabile complicità con l’Isis di Erdogan e dei suoi apparati.

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