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15 gen 2016

 

Erdogan imbavaglia anche l’Università

di Giorgia Grifoni

 

Dodici docenti dell’ateneo di Kocaeli sono stati arrestati questa mattina per “propaganda del terrorismo”, mentre contro altri nove sono stati spiccati mandati di arresto. I professori facevano parte degli oltre mille firmatari della petizione per fermare la campagna di Ankara contro il PKK nel sud est del paese, che ha già provocato quasi 200 vittime civili

 

Roma, 15 gennaio 2016, Nena News - Arrestati per aver firmato una petizione. E’ successo a 12 docenti dell’Università di Koaceli, nel nord-est della Turchia, che questa mattina si sono visti comparire alla porta gli agenti di sicurezza con un mandato di arresto per “propaganda del terrorismo” e “insulti allo Stato”. La petizione, dal titolo “Non saremo parte di questo crimine”, denunciava la massiccia campagna militare contro i curdi del PKK intrapresa da Ankara nel sud-est del paese ad agosto e intensificatasi il mese scorso, operazione che, stando agli ultimi dati diffusi dalla Human Rights Foundation of Turkey, ha già provocato la morte di quasi 200 civili.

Secondo quanto pubblicato dall’agenzia turca Anadolu, questa mattina la polizia avrebbe fatto irruzione nelle abitazioni dei 12 accademici portandoli via, mentre contro altri nove di loro sarebbe stato spiccato un mandato d’arresto. Se condannati, potrebbero dover scontare dagli uno ai cinque anni di prigione. I 21 docenti sono i primi degli oltre mille firmatari della petizione – provenienti da 90 diversi atenei del Paese – a sperimentare le nuove limitazioni della libertà di pensiero e di espressione derivate dalla promulgazione, la scorsa primavera, del cosiddetto “pacchetto sicurezza“. Accusati di tradimento da parte del presidente Recep Tayyip Erdogan, si preparano a condividere la stessa sorte dei loro colleghi.

“Sfortunatamente – ha dichiarato il presidente martedì scorso, subito dopo l’attentato che ha ucciso 10 turisti tedeschi nella città vecchia di Istanbul – questi cosiddetti accademici sostengono che lo Stato stia portando avanti un massacro. Sono solo persone oscure, non intellettuali”. Erdogan si è anche rivolto ai firmatari stranieri della petizione, tra cui il noto intellettuale americano Noam Chomsky, definendoli “la quinta colonna dei paesi stranieri che cercano di minare la sicurezza della Turchia”: li ha poi invitati a recarsi nel sud-est del paese per “vedere con i propri occhi” se è il problema sono “le violazioni da parte dello Stato o la continua appropriazione delle libertà e dei diritti del nostro popolo da parte di un’organizzazione terroristica”.

Ieri, Chomsky aveva risposto al presidente turco dalle  colonne del quotidiano britannico Guardian rifiutando il suo invito e dichiarando che si sarebbe recato in Turchia “come in passato, solo su invito dei tanti coraggiosi dissidenti, tra cui curdi, che sono stati sotto grave attacco per anni”. Ora, però, a fare le spese della furia di Erdogan non saranno solo i firmatari turchi della petizione: “La campagna lanciata contro gli accademici questa settimana – ha spiegato al New York Times Emma Sinclair-Webb, ricercatrice presso Human Rights Watch  – prende di mira un nuovo gruppo e ha gravi conseguenze sia per la libertà accademica che per la libertà di parola in Turchia”.

Un gesto talmente eclatante, quello dell’arresto dei docenti, da scuotere persino l’ambasciata americana ad Ankara: in un comunicato diffuso questa mattina, l’ambasciatore John Bass ha dichiarato che nonostante Washington possa “non condividere le opinioni espresse da questi accademici, è comunque preoccupata da queste pressioni, che hanno un effetto agghiacciante sul legittimo discorso politico all’interno della società turca volto a individuare cause e soluzioni alla violenza in corso”.

Già due mesi fa l’Unione Europea aveva sollevato i suoi dubbi sulle misure anti-democratiche intraprese da Ankara, dopo gli arresti di numerosi giornalisti, le minacce agli editori e le condanne inflitte ai manifestanti nel maxi-processo di Piazza Taksim. Dubbi che inficiavano la candidatura di Ankara all’UE, ma che sono stati immediatamente dissipati con la firma dell’accordo del 29 novembre scorso: la Turchia arginerà il flusso dei migranti del Medio Oriente diretti a ovest, in cambio di 3 miliardi di euro e del ripristino del suo processo di adesione all’Europa. Nena News

 

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