New Eastern Outlook

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04/07/2016

 

In 48 ore la Turchia passa da vittoria a sconfitta diplomatica ed attacco terroristico

di Can Erimtan

Traduzione di Alessandro Lattanzio

 

I primi due giorni della settimana passata hanno visto due sviluppi epocali sul fronte diplomatico turco. Ma poi si assisteva a un attacco terroristico efferato che ha traumatizzato il Paese. Il governo del Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), guidato dal primo ministro Binali Yildirim (Sfortunato) e strenuamente sostenuto dal nominalmente neutrale presidente Recep Tayyip Erdogan (alias il Pres), è apparso scioccato dal triplice attacco suicida all’Ataturk d’Istanbul… ma forse tali eventi apparentemente casuali e indipendenti in qualche modo sono interconnessi e collegati?? Il 27 e 28 giugno sono stati le più epocali 48 ore della Turchia. Fin dall’inizio della settimana, le cose sembravano mettersi bene coi media turchi (leggi apparato di propaganda statale) riferire che Israele aveva finalmente deciso di riparare e ripristinare rapporti cordiali con la Turchia, relazioni colpite fin dalla performance “di un minuto” dell’allora premier Erdogan a Davos (30 gennaio 2009) e dal successivo mortale incidente della Mavi Marmara (31 maggio 2010). Poi nel corso della stessa giornata altre notizie indicavano che la Turchia aveva, a sua volta, fatto aperture alla Russia tentando di rattoppare le cose tra Ankara e Mosca, tra Tayyip Erdogan e Vladimir Putin. A seguito di questi due importanti sviluppi politici, esperti e pubblico erano occupati a rigurgitare i fatti quando il 28 giugno, verso le 22:00, i terroristi colpivano l’importante arteria dei trasporti d’Istanbul, l’aeroporto Ataturk di Yesilkoy, il più grande della nazione e terzo più grande dell’Europa, in funzione dal 1924 e con più di 60 milioni di passeggeri l’anno scorso.

 

La mossa israeliana

Quelle 48 ore cominciavano bene, col quotidiano fermamente pro-AKP Sabah che riportava con orgoglio il titolo che la Turchia aveva costretto Israele a revocare il blocco della Striscia di Gaza. Lo sfortunato premier Binali Yidirim successivamente annunciava al mondo che l'”embargo di Gaza sarà in gran parte tolto“, aggiungendo che “una nave turca portava 10000 tonnellate di aiuti verso il porto israeliano di Ashdod“. Così la Turchia proclamava di aver fatto la sua parte per i palestinesi assediati che vivono nella “più grande prigione a cielo aperto del mondo“, mentre l’embargo israeliano a Gaza è ormai “in gran parte tolto“. Le autorità israeliane, d’altra parte, come formulava il giornalista di Gerusalemme Allison Deger, si permettevano di dissentire indicando che il “blocco alla Striscia di Gaza… rimarrà a pieno regime“. Infatti, Bibi (il più aggressivo premier israeliano Benjamin Netanyahu, immagine riflessa sullo specchio ebraico del Pres turco), l’ha chiarito dicendo che “l’embargo di Gaza è un nostro supremo interesse della sicurezza; non sono pronto a compromessi su ciò“. Tuttavia, per il pubblico turco, gli spin doctor dell’AKP sono più che felici di piegare la verità e dipingere Pres e Sfortunato campioni dei musulmani oppressi in tutto il mondo, in particolare dei palestinesi. L’emittente araba al-Jazeera riportava in dettaglio che l'”accordo vedrà Israele dare un risarcimento di 20 milioni di dollari alle famiglie dei 10 cittadini turchi uccisi dalle forze israeliane che irruppero sulla flottiglia (Mavi Marmara) volta a spezzare l’assedio israeliano a Gaza e fornire aiuti umanitari ai quasi due milioni di palestinesi che vi vivono. Oltre alla compensazione, l’accordo consentirà alla Turchia d’inviare aiuti umanitari, costruire un ospedale di 200 posti letto, edilizia abitativa e un impianto di dissalazione a Gaza, a condizione che i materiali passino dal porto israeliano di Ashdod“. Anche se Sfortunato fa sembrare l’invio di aiuti della Turchia “dal porto israeliano di Ashdod”, quale primo passo verso il sollevamento dell’assedio israeliano di Gaza, la realtà è che la Turchia invia aiuti ai palestinesi coi buoni uffici del carceriere ed occupante, lo Stato d’Israele. Ancora, i legami tra Turchia e Israele saranno ripristinati, portando alla ripresa dei rapporti commerciali e a possibile afflusso di turisti ebrei nel Paese guidato dall’AKP. Tali rapporti commerciali non includeranno le armi, tuttavia, come ha spiegato un funzionario israeliano, parlando sotto anonimato: “l’accordo non permette di ripristinare l’intimità di una volta tra le nostre industrie della difesa e i nostri quadri militari, anche se c’era tale desiderio in Turchia, ma resta dubbio“. Tutto sommato, sembra che l’accordo Turchia-Israele, firmato a Roma, assomigli molto a un esercizio di PR per conto di Pres e Sfortunato, un esercizio di PR che trasmette l’impressione di una netta vittoria turca sull’ingiustizia israeliana, una vittoria che riduce le sofferenze dei musulmani (come in Palestina).

 

La mossa russa

Il giorno dopo che Feridun Sinirlioglu, sottosegretario al ministero degli Esteri turco, e l’avvocato Dr. Joseph Ciechanover, agente per conto del governo israeliano, avevano avviato i negoziati per l’accordo di Roma, un’altra notizia apparve all’orizzonte della Turchia. L’agenzia Sputnik riferiva che il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov aveva fatto un annuncio importante: “Il Presidente Putin ha ricevuto una lettera dal presidente turco Erdogan in cui esprime interesse a risolvere la situazione sull’abbattimento del bombardiere russo“. Peskov diceva che nella lettera il Pres dichiarava che la Turchia “condivide il dolore della morte del pilota del Su-24 abbattuto con la famiglia”, e rivolgendo ad essa “il dolore della Turchia“. Dmitrij Peskov continuava che “nella lettera, il presidente turco dice anche di aver sempre visto la Russia come partner strategico e amica“, e Tayyip Erdogan nella missiva letteralmente diceva che “non abbiamo mai avuto intenzione di abbattere l’aereo della Federazione russa”. In questo caso, il Pres sembra sfoggiare umiltà nei rapporti con l’omologo russo. Piuttosto un’inversione dallo scorso anno, quando letteralmente ingaggiò un duello con Putin. Al momento, alcuna parte si trattenne, sparando colpo su colpo sull’avversario. Ma i tempi sono cambiati in modo chiaro, e dopo aver abbandonato le spacconate sul presidente russo, Erdogan a quanto pare non rifuggire dall’inviare una missiva emotiva a suo nome. Il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov diceva ai giornalisti a Mosca che il “messaggio di Tayyip Erdogan include rammarico e la parola ‘scusa’“. In precedenza, per la precisione il 26 novembre 2015, per esempio, il presidente turco dichiarò con enfasi alla stampa di “non scusarsi!” Ma ora, va anche assicurando l’omologo russo che Mosca e Ankara sono partner strategici, arrivando a dire che la Turchia pagherà un risarcimento, mentre con la sua missiva impegnava la Turchia a prendere tutte le misure necessarie per “alleviare dolore e gravità dei danni“, inflitti ai parenti del pilota russo Oleg Peshkov ucciso in volo. Dopo esseri lanciato dall’aereo, il pilota fu ucciso da un militante ultranazionalista turco dei Lupi grigi (affiliati all’estrema destra dell’MHP o Partito del Movimento Nazionale), che a quanto pare combatteva al fianco dei terroristi turcomanni (o combattenti per la libertà, se si vuole) che combattono contro il regime di Assad. Il suo nome è Alparslan Çelik e le autorità turche l’hanno arrestato assieme ad altri 16 sospetti il 31 marzo 2016, nel quartiere Karabaglar della città costiera di Izmir. Ma appena prima della dichiarazione di Dmitrij Peskov sulla lettera di Tayyip Erdogan, il quotidiano islamista e chiaramente pro-AKP Yeni Akit riferiva che il presidente aveva preso una decisione provvisoria, liberando sette sospetti vietandogli di lasciare il Paese.

 

Una questione di tempi: è il gas, stupido

Sembra assai sospetto che tali due eventi diplomatici si siano verificarsi allo stesso momento. Entrambi gli eventi sembrano avere molto radicate ramificazioni economiche. Un cinico potrebbe anche dire che il Pres abbia semplicemente inghiottito l’orgoglio per garantirsi il ritorno dei turisti russi nella località costiera mediterranea della Turchia di Antalya. Commercio e turismo della Turchia hanno subito perdite drammatiche negli ultimi mesi: “il numero di turisti russi che visitava il resort (di Antalya) tra il 1 giugno e il 16 giugno è diminuito del 98,5 per cento, e i turisti tedeschi del 45 per cento, rispetto allo stesso periodo nel 2015“. Allo stesso momento, il fattore energia non va dimenticato dato che la Turchia importa quasi il 99% del gas che consuma. L’anno scorso, prima dell’infame abbattimento del Su-24 russo, la Turchia importava circa il 58% del gas naturale dalla Russia (il resto dall’Iran con il 18%, Azerbaigian col 12%, Algeria col 7,7% e Nigeria col 2,4%). E l’accordo con Israele potrebbe anche riguardare il gas. Lo Stato d’Israele potrebbe cercare un potenziale cliente per le esportazioni di gas off-shore. L’aggressione d’Israele alla Striscia di Gaza nel 2014, dal nome quasi poetico di operazione Protezione del confine (8 luglio-26 agosto 2014) fu in minima parte volto ad occupare i pozzi gasiferi “Marine-1 e Marine-2 del giacimento Leviathan al largo di Gaza”. Anais Antreasyan di Ginevra giustamente rilevava sul Journal of Palestine Studies dell’Università della California che l’obiettivo a lungo termine d’Israele è “integrare i giacimenti di gas al largo di Gaza agli adiacenti impianti offshore d’Israele”. Ma, come il giornalista ed accademico sulla sicurezza internazionale Dr. Nafeez Ahmed sottolinea in modo appropriato, il “conflitto israelo-palestinese del 2014 chiaramente non riguardava solo le risorse. Ma in un’epoca di energia costosa, la concorrenza nel dominare i combustibili fossili regionali sempre più influenza le decisioni cruciali che possono scatenare una guerra” e probabilmente la Turchia sarebbe più che un ricettacolo del gas di Gaza, tramite l’infrastruttura dello Stato di Israele, non solo per il consumo interno, ma anche per soddisfare l’ambizione di diventare un hub energetico regionale, e il terreno per preparare tale accorso fu trovato quando il mese scorso la Turchia tolse il veto a qualsiasi attività d’Israele con la NATO, e lo Stato ebraico successivamente poté aprire uffici nella sede di Bruxelles della NATO. Non c’è quindi da stupirsi che Hamas, la forza politica dominante nella Striscia di Gaza, non fosse al corrente dell’accordo Israele-Turchia. Ciò appare particolarmente curioso, quando il 17 giugno il capo di Hamas Qalid Mishal incontrava il Pres ad Istanbul. Il segretario generale dell’Iniziativa nazionale palestinese, Mustafa Barghuti, da parte sua, è apparso incapace di nascondere il disappunto: “Se è vero che l’accordo Turchia-Israele si riferisce ad un futuro accordo sul gas, sarà molto pericoloso e deludente“, aggiungendo che “siamo molto preoccupati da qualsiasi Paese che collabori con Israele nell’esportazione del gas. È una misura redditizia e la vediamo come premio per l’occupante. E’ deludente, soprattutto da un Paese che dice di supportare la Palestina“. Questi sviluppi inebrianti nel trio Turchia, Russia e Israele erano su tutti i discorsi il lunedì e martedì, ma poi improvvisamente alle 10 di sera tali macchinazioni diplomatiche divennero secondarie quando 3 kamikaze non identificati attaccarono il terminal Ataturk d’Istanbul, uccidendo 41 (di cui dieci stranieri) e ferendo più di 200 passeggeri inermi. Era il quarto attentato suicida ad Istanbul nel 2016. Siobhán O’Grady, redattore di Foreign Policy, notava che l'”attacco avveniva solo tre mesi dopo che un gruppo dello Stato islamico aveva lanciato un attacco simile all’aeroporto di Bruxelles, uccidendo 15 persone. Il governo turco già accusava dei terroristi non specificati, ma non ha ancora nominato quale gruppo crede sia responsabile. I due più probabili sospetti sono PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) e Stato Islamico, entrambi hanno ripetutamente effettuato attentati in Turchia negli ultimi anni. “Il Pres s’è affrettato ad aggiungere ricordando al pubblico interno, nonché internazionale, che la Turchia “continuerà la lotta contro questi terroristi fino alla fine, instancabilmente e senza paura”. Lo sfortunato premier allora seguiva il capo dichiarando che “l’attacco contro persone innocenti è un vile e pianificato atto terroristico… le prove delle nostre forze di sicurezza puntano all’organizzazione Daish (SIIL) quale autrice di tale attacco terroristico“.

 

Il triplice attacco suicida: un altro attacco del califfato o qualcosa di più sinistro??

Ma il triplice attacco suicida, perpetrato da persone che arrivarono all’aeroporto sullo stesso taxi, seguiva l’attentato suicida con autobomba all’inizio del mese nel popolare quartiere di Istanbul di Vezneciler, uccidendo 11 persone e ferendone decine di altre. Le autorità subito accusarono il Califfo e i suoi banditi (Stato islamico o SIIL), anche se non fu mai rivendicato da alcun gruppo terroristico. Ma ignorare un atto di terrorismo è insolito per i membri dello Stato Islamico, desiderosi di pubblicizzare ampiamente i loro vili atti su internet e altri social media. Nelle ore seguenti l’attacco suicida, l’emittente pubblica tedesca ARD fece balenare l’idea che il gruppo terroristico TAK (Teyrebazen Azadiya Kurdistan o Falconi per la libertà del Kurdistan) fosse responsabile del crimine. E ciò sembrerebbe sensato infatti, tenendo presente la guerra continua del governo di Ankara contro la popolazione curda nella Turchia del sud-est. In una precedente occasione, feci notare tale gruppo terroristico attivo in Turchia. Ma il Pres e il suo Sfortunato assistente sembrano desiderosi di coinvolgere lo Stato islamico nella guerra al terrore della Turchia, deviando l’attenzione dalla questione curda ed insinuando che la ferma politica del governo faccia tutto tranne che eliminare l’iniziativa dei gruppi terroristici curdi che potrebbero essere presenti in Turchia. Allo stesso tempo, tale ultimo crimine terroristico suscitava una serie di indubbi sviluppi positivi. Per prima cosa, Vladimir Putin telefonava all’omologo turco il 29 giugno, esprimendo le condoglianze e promettendo cooperazione contro ogni minaccia terroristica. La telefonata era la prima in sette mesi, ed entrambi gli uomini hanno parlato per 40 minuti. Invece che Tayyip Erdogan facesse il primo passo verso Mosca, dopo l’ormai famosa lettera, l’attacco all’Ataturk permetteva a Putin di rompere il protocollo e tendere la mano, discutibile vittoria diplomatica secondaria del Pres turco. Ricevette altre telefonate, naturalmente, in particolare da Barack Obama. L’addetto stampa della Casa Bianca Josh Earnest dichiarava alla folla giornalistica di Washington DC che “questa mattina, il presidente era al telefono con il presidente della Turchia Erdogan… (assicurando) qualsiasi supporto che i turchi possano ricevere nel condurre le indagini“. Ma poi Fuat Avni twittava già il 23 giugno 2016 che, “se azioni saranno prese porteranno il Paese sull’orlo di una guerra civile. Esplosioni, cospirazioni, distruzioni di veicoli si susseguiranno“. Allo stesso tempo, il corrispondente di Ankara della CNN Türk, Hande Firat, dichiarava che “all’inizio di giugno, una ventina di giorni fa, un’unità d’intelligence (aveva) inviato un avvertimento scritto ai vertici dello stato e a tutte le sue sezioni in relazione ad Istanbul. Tale rapporto comprendeva anche i nomi delle località”. Se l’aeroporto Ataturk era in quella lista resta ignoto però. Le dichiarazioni di Fuat Avni e Hande Firat indicano che gli eventi in quelle 48 ore furono programmati?? Che vittoria e sconfitta diplomatica, in via preliminare sarebbero state compensate da un evento più grave ed immediato che avrebbe distolto l’attenzione da particolari potenzialmente imbarazzanti, che rischiavano di gettare sotto una cattiva luce il Pres e la sua immagine?? O è solo un’altra teoria del complotto che ha che fare con il così popolare, ma anche controverso, Recep Tayyip Erdogan?

 


Dr. Can Erimtan è uno studioso indipendente residente ad Istanbul, dall’ampio interesse per politica, storia e cultura dei Balcani e del Grande Medio Oriente, per la rivista on-line

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