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17 luglio 2016

 

Il golpe che cambia le carte in tavola: Erdogan sta girando le spalle a Washington e vuole incontrare Putin

di Enrico Oliari

 

Vi sono ancora scontri in Turchia a seguito dello sventato “golpe”, o come lo si vuol chiamare: polizia, militari e insorti irriducibili sono venuti alle armi al secondo aeroporto Sabiha Gokcen di Istanbul e alla base aerea di Konya, nell’Anatolia centrale.

Al momento le persone arrestate hanno superato le 6mila, ed a loro si aggiungono i 2.745 giudici “licenziati” dal presidente Recep Tayyp Erdogan; il ministro della Giustizia Bekir Bozdag ha fatto sapere che il numero degli arrestati “potrebbe aumentare”.

Tuttavia, man mano che passano le ore si sta delineando il quadro di un progetto ben studiato che avallerebbe ulteriormente la teoria del golpe “fasullo”, dal quale la leadership di Erdogan avrebbe avuto solo da guadagnare: già ieri sera è stata circondata la base Usa (e Nato) di Incirlic, da dove partono gli aerei per colpire l’Isis, ne è stata tolta la corrente e ne sono stati chiusi gli accessi, bloccando i 5mila militari soprattutto statunitensi che vi si trovano.

Alla base degli attriti con Washington vi sarebbe il rifiuto all’estradizione dell’imam radicale Fetullah Gulen, ricco proprietario di media in Turchia e capo del partito di opposizione “Alleanza per i valori condivisi”, individuo ritenuto da Erdogan essere la mente del tentato colpo di stato.

Gulen ha negato di essere coinvolto in quanto accaduto ed il segretario di Stato Usa, John Kerry, ha affermato che “se Erdogan ha le prove, che le procuri!”.

Il disegno di Erdogan potrebbe tuttavia essere più ampio. Dopo essere stato “usato” dall’occidente per sostenere la sgangherata Primavera araba siriana, per cui, con la riconquista dei territori all’Isis, potrebbero rientrare nel loro paese 10mila foreign fighter con passaporto turco, il presidente siriano si è infatti sentito al telefono con il collega russo Vladimir Putin al fine di organizzare un appuntamento per i prossimi giorni.

Il presidente russo ha poi reso noto di aver detto nel corso della telefonata che “Mosca desidera una Turchia stabile. Atti di violenza come quelli di sabato notte sono del tutto inaccettabili nella vita di uno Stato”, e ha augurato a Erdogan il “veloce ripristino di un robusto ordine costituzionale e della stabilità”.

Già dimenticato, quindi, il caso dell’aereo russo abbattuto il 24 novembre sui cieli della Siria, per cui la Russia aveva riposto nel cassetto i megaprogetti di cooperazione tra i quali il gasdotto Turkish Stream, come pure le molte denunce (con tanto di prove) dell’aiuto dato dalla Turchia ai jihadisti di al-Qaeda (Jabat al-Nusra) e all’Isis.

Sembra, insomma, ormai pace fatta, con Putin interessato a bilanciare l’allargamento della Nato nell’Europa orientale mettendo le sue basi in Turchia al posto di quelle Usa.

D’altronde la geometria parla chiaro: gli Usa hanno basi in tutti i paesi dal Marocco al Kirghizistan secondo una linea orizzontale, con le sole esclusioni di Siria e dell’imprendibile Iran, e fino a poco fa di Afghanistan e di Iraq, giusto dove si sono fatte le guerre di Bush.

La Russia si muove invece lungo una linea verticale, con basi nel proprio paese, in Crimea (si noti!), in Siria e in Egitto.

Anche in tema di Siria Erdogan sta cambiando le carte in tavola: il 13 luglio, due giorni prima del golpe, il premier turco Binali Yildirim ha affermato che “Sono certo che torneremo a relazioni normali anche con la Siria”, ed ha aggiunto che “per un successo nella lotta al terrorismo occorre stabilizzare la Siria e l’Iraq”.

La cosa in realtà era già nell’aria, dal momento che il quotidiano algerino al-Watan ha riportato, rifacendosi a fonti diplomatiche, di un incontro tenutosi in aprile ad Algeri tra rappresentanti del governo di Damarco e di quello di Ankara, occasione per fare il punto della situazione e vedere come uscire in modo puliti dal disastro, oltre che per appianare le divergenze in tema di curdi, anche davanti alla paventata possibilità che un domani possa nascere una nazione Curda che interesserebbe territori iracheni, siriani e soprattutto turchi.

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