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18 luglio 2016

Erdogan scatenato, è l’ora del controgolpe
di Marco Santopadre

Che dopo un fallito golpe gli organizzatori e gli aderenti al complotto vengano arrestati e giudicati è cosa normale e scontata in qualsiasi stato sotto qualsiasi regime. Ma gli arresti di massa, le purghe in ogni settore dell’apparto militare e statale e i rastrellamenti città per città in corso in queste ore in Turchia vanno assai al di là del comprensibile regolamento di conti con i responsabili dell’ammutinamento.
Dopo l’arresto nelle ore immediatamente successive al putsch di quasi 3000 soldati le cifre del giro di vite sono aumentate a livelli da capogiro. Si parla ormai di molte migliaia di persone finite in manette, circa 7500; è davvero difficile pensare che un numero così alto di funzionari pubblici, militari, magistrati e quant’altro abbiano partecipato al tentativo di presa del potere che in quel caso probabilmente sarebbe andato in porto e che invece appariva inconcludente – e tragico di conseguenze – ad appena quattro ore dal suo inizio.
A dire pubblicamente ciò che molti pensano è stato oggi il commissario per la Politica di vicinato e i negoziati per l’allargamento dell’Ue, Johannes Hahn, che al suo arrivo al Consiglio affari esteri di Bruxelles ad alcuni giornalisti ha detto che il presidente turco Recep Tayyp Erdogan “aveva le liste” di epurazione dei giudici e dei militari turchi “già pronte”.
Anche la polizia, che era subito intervenuta a difesa del regime scontrandosi con i reparti militari ribelli, e pagando anche un alto tributo di sangue, è finita nel mirino di un repulisti che mira ormai a ripulire del tutto ogni istituzione, ogni apparato, ogni ambito pubblico non solo dai seguaci di Gulen o dalle fazioni kemaliste sopravvissute alle purghe dell’ultimo decennio, ma da ogni elemento spurio, non completamente fedele o organico alla cupola erdoganiana che sta di fatto conducendo un controgolpe allo scopo di occupare ogni spazio di potere ad ogni livello.
Secondo le ultime notizie a disposizione durante la notte scorsa ben 7.850 agenti di polizia sono stati sospesi dai loro compiti e costretti a riconsegnare armi e distintivi. La decisione, cui stanno già seguendo alcuni arresti, è stata comunicata ai dipartimenti locali dal capo della polizia, Mehmet Celalettin Lekesiz. Come se non bastasse il governo ha destituito 30 degli 81 prefetti in carica, 47 governatori dei distretti provinciali e 614 membri della Gendarmeria (la polizia militarizzata), il che porta finora ad un totale di quasi 8.800 i dipendenti del ministero dell’Interno sollevati dall’incarico. Ai quali vanno aggiunti 1.500 funzionari del ministero delle Finanze, anche loro sospesi per ordine del governo. Con una singolare misura il governo ha anche annullato le vacanze annuali per tutti i funzionari pubblici fino a nuovo ordine. Le autorità turche hanno introdotto una nuova regolamentazione che vieta l’espatrio ai dipendenti pubblici, con alcune eccezioni per alcuni passaporti speciali, che necessiteranno comunque della previa approvazione dell’istituzione presso cui lavorano.
Nel frattempo il Consiglio supremo dei giudici e procuratori turchi ha ordinato di far arrestare anche i 2745 magistrati e procuratori che erano già stati sospesi dai loro incarichi tra ieri e l’altroieri perché accusati di appartenere alla confraternita guidata dall’imam/magnate Fethullah Gulen, accusato di essere l’ispiratore del fallito colpo di stato.
Durante la notte altre 99 persone sono state arrestate solo ad Ankara. Tra questi ci sarebbe anche il generale di brigata Hakan Evrim, mentre Mikael Ihsanoglu, addetto militare turco in Kuwait, è stato arrestato su richiesta del regime turco in Arabia Saudita, mentre all’aeroporto di Damam si imbarcava su un volo diretto in Germania.
Una fonte militare ha poi raccontato che alcuni militari di alto rango coinvolti nel fallito golpe, oltre ai sette ufficiali atterrati sabato mattina nell’aeroporto greco di Alexandroupolis, sarebbero riusciti a fuggire all’estero.
Comunque il totale degli alti comandi arrestati finora è arrivato a 103 tra generali e ammiragli dell’esercito. E’ davvero difficile pensare, vista la scarsa perizia e contundenza dimostrata dai golpisti venerdì sera, che addirittura un terzo dei comandanti delle forze armate turche si siano schierati contro il governo.
Mentre il numero delle vittime è stato ufficialmente elevato a 312 persone (145 civili, 60 agenti di polizia e tre soldati lealisti più 104 golpisti) tra Ankara e Istanbul continuano i rastrellamenti in un clima di repressione parossistico: circa 1.800 agenti delle forze speciali di polizia provenienti dalle province sono stati dispiegati nelle due principali città, insieme ad alcune migliaia di militari appartenenti ai reparti più fedeli. Il capo della polizia di Istanbul, Mustafa Caliskan, ha ordinato alle forze speciali di abbattere qualsiasi velivolo che sorvoli la città senza un’apposita autorizzazione.
Dopo gli scontri a fuoco e gli arresti di ieri all’aeroporto Sabiha Gokcen di Istanbul e nella base aerea di Konya, anche stamattina un nuovo episodio di tensione: un uomo in uniforme militare ha aperto il fuoco – e poi è stato ucciso dagli agenti – davanti al tribunale di Ankara al cui interno si trovavano 27 generali accusati di aver complottato contro il governo. Altri due suoi presunti complici sono stati arrestati.
Sempre oggi il vicesindaco del quartiere stambuliota di Sisli, governato dal Partito Repubblicano del Popolo (Chp, nazionalisti laici di centrosinistra) è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco. Secondo il canale Ntv, due sconosciuti sono entrati nell’ufficio di Cemil Candas e hanno sparato contro l’esponente politico dell’opposizione che è deceduto dopo il ricovero in ospedale.
Da parte sua il presidente Erdogan ha ordinano ai caccia F 16 dell’esercito di sorvolare continuamente i centri urbani della Turchia. La strategia del regime mira a capitalizzare il più possibile la reazione dei settori conservatori e reazionari della società mobilitandoli in maniera permanente, diffondendo insistentemente l’idea che la minaccia di un rovesciamento violento del governo non sia ancora sventata del tutto. Mentre una ventina di siti web di informazione venivano chiusi dalle autorità, il presidente Erdogan ha ribadito che il ‘popolo non deve lasciare le piazze. Questa non è un’operazione che dura 12 ore. Andremo avanti con determinazione”. Invece il ministro della Difesa turco, Fikri Isik, ha arringato decine di migliaia di manifestanti filogovernativi riuniti davanti alla residenza presidenziale di Istanbul: “Seguite ogni dichiarazione del presidente e rimanere nelle piazze fin quando il presidente non dirà: Ok, ora potete tornare a casa”. Manifestazioni simili hanno anche riempito piazza Taksim a Istanbul e piazza Kizilay, nel centro di Ankara, dove oltre migliaia di bandiere turche hanno fatto sfoggio vari ritratti e gigantografie del ‘sultano’ tornano prepotentemente in sella dopo le ore difficili di venerdì notte. A Kizilay è stato il premier Binali Yildirim a fomentare i sostenitori del regime nel corso di un comizio tenuto ieri notte: «Il giorno andiamo a lavorare. La sera, dopo il lavoro, continuiamo la nostra veglia nelle piazze», ha detto il premier, aggiungendo: «Coloro che attaccano il loro stesso popolo non possono essere dei soldati turchi. Quelle persone sono dei mostri, dei terroristi che hanno indossato l’uniforme militare e pagheranno il prezzo più pesante».

L’intento del regime sembra essere ora quello di affiancare l’azione della base sociale organizzata dei partiti d’ordine – il governativo islamista Akp ma anche il movimento nazionalista di destra erede dei Lupi Grigi, l’Mhp – a quella delle forze di sicurezza, estendendo così ancora di più la capacità di controllo territoriale e sociale della cupola erdoganiana.

Mentre hanno suscitato polemiche e prese di posizione da parte anche di vari governi sia negli Stati Uniti sia in Europa le immagini dei militari turchi torturati, linciati o addirittura sgozzati, e quelle dei soldati denudati e ammucchiati nelle caserme o nelle sale dei tribunali diffuse da alcuni siti, ai più è sfuggita la presenza di elementi della galassia jihadista, reduci dal carnaio siriano, all’interno delle mobilitazioni reazionarie di queste ore.
Intanto il braccio di ferro con Washington continua. Dopo che il governo turco ha chiesto agli Usa l’estradizione di Fethullah Gulen, ospite negli Usa ormai dal 1999, ed ha esplicitamente indicato il governo statunitense come ispiratore del fallito putsch di tre giorni fa, le autorità turche hanno di fatto operato una esplicita ritorsione contro le truppe americane di stanza nella base militare di Incirlik, nel sud del paese. Da ieri infatti è stata sospesa la somministrazione di energia elettrica agli impianti militari, e anche le comunicazioni con l’esterno sono state prima bloccate e poi sottoposte a lunghissime procedure. Ancora stamattina il portavoce della Difesa di Washington, Peter Cook, ha affermato che “le strutture Usa a Incirlik stanno operando con fonti energetiche proprie, ma speriamo di attivare l’energia commerciale presto” chiarendo comunque che dopo alcune 24 ore circa di stop causate dalla chiusura dello spazio aereo la Turchia ha consentito alla coalizione anti-Isis a guida Usa di riprendere i raid in territorio siriano. Come se non bastasse oggi la polizia turca ha perquisito la base aerea contigua alla città di Adana usata sia dall’aviazione turca sia dai caccia della Nato. Ieri il comandante della base, il generale Bekir Ercan Van, era stato arrestato insieme ad altri 10 soldati e a un agente di polizia della base con l’accusa di presunta complicità nel fallito golpe.

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