Originale: Counterpunch

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19 agosto 2016

 

Turchia: non festeggiamo ancora!

di Andre Vltchek

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Molti vorrebbero che questo accadesse – vedere la Turchia andarsene, lasciare la NATO, rompere la sua dipendenza psicologica, politica ed economica dall’Occidente. Ora che Recep Tayyip Erdo?an e i suoi alleati stanno litigando con gli Stati Uniti e l’UE, c’è improvvisamente la grande speranza che la Turchia possa ripensare completamente alla sua posizione nel mondo, rafforzare i suoi legami con la Russia e la Cina, rinnovare la storica amicizia con il presidente siriano Bashar al-Assad, e migliorare i suoi rapporti con l’Iran.

Questo potrebbe avvenire realmente, così improvvisamente e inaspettatamente? Se soltanto la Turchia aderisse ai BRICS, se decidesse di uscire dalla NATO e lottasse per staccarsi dall’abbraccio mortale dell’Occidente, il mondo intero cambierebbe!

Molte persone attorno a me festeggiano di già, ma non mi unisco a loro. Aspetto ancora. Conosco bene la Turchia. Ho lavorato a stretto contatto con i turchi per più di 20 anni. Cinque dei miei libri sono stati tradotti e pubblicati lì e a Istanbul sono apparso in innumerevoli talk show.

E, onestamente, più conosco la Turchia e meno la capisco!

E’ uno dei paesi più complessi della Terra. E’ imprevedibile, piena di contraddizioni e di alleanze mutevoli. Nulla è realmente ciò che sembra essere in superficie. E anche sotto la superficie, le correnti spesso si mescolano, si separano e invertono anche il loro corso.

Per scrivere sulla Turchia, per scrivere correttamente e in modo approfondito si deve correre attraverso un campo minato. Alla fine si sbaglia sempre! Si scontenta un enorme numero di turchi, indipendentemente da quello che si dice, e accade principalmente perché sembra esserci una verità semplice e oggettiva. E i vari ‘campi’ sono in disaccordo tra di loro, fondamentalmente e in maniera appassionata.

Questo è il motivo per cui sono sorpreso che molti  analisti stranieri improvvisamente osano esprimere giudizi (spesso paternalistici) riguardo ai recenti avvenimenti in Turchia. Come sembrano sicuri di sé molti di loro!

Molte delle persone che non conoscono bene la Turchia stanno davvero festeggiando. Tutto gli sembra chiaro: ‘Il presidente turco ha cambiato corso e ha deciso di chiedere scusa alla Russia per aver abbattuto un suo aereo a reazione vicino al confine tra Siria e Turchia. Poi l’Occidente ha orchestrato un colpo di stato militare mortale. Erdo?an ha detto: ”Adesso basta,” ha rivelato il complotto ed è andato a San Pietroburgo per abbracciare il Presidente Putin e la Russia.’

Vorrei che fosse così semplice. Vorrei potermi unire adesso ai festeggiamenti!

Invece sono seduto davanti al mio computer e sto scrivendo questo articolo sulla Turchia, un paese che amo, ma che per così tanti anni non sono riuscito a capire.

Incontrai Recep Tayyip Erdo?an al quartier generale di Istanbul del suo (allora) partito Refah Partsi, RF, quando era sindaco della più grande città turca. Era la fine degli anni ’90 e in quel periodo ero occupato a cercare di non farmi ammazzare mentre ‘coprivo’ la ‘guerra jugoslava’, spostandomi tra Sarajevo, Pale, Belgrado e il fronte. Mentre la maggior parte dei miei colleghi giornalisti andavano in treno a Vienna (non c’erano voli e gli stranieri non avevano il permesso di guidare la macchina) per prendersi una pausa, io optavo sempre per Istanbul, prendendo i treni lenti per la Bulgaria ed Edirne. Sentivo di dover conoscere e capire l’impero ottomano, se volevo realmente comprendere i Balcani.

In quei giorni, Erdo?an riusciva a terrorizzare molte persone della classe media e alta filo-occidentale e laica di Istanbul. Apparteneva a un partito islamista in un città che a sempre guardava all’Europa. Alla fine, però, introdusse alcune ampie riforme sociali

e  migliorò notevolmente le infrastrutture della città, dal sistema di riciclaggio dei rifiuti ai trasporti.  Il Programma delle Nazioni Unite per gli insediamenti umani, UN-HABITAT, gli ha concesso un doppio riconoscimento.  Volevo parlargli, sentire che cosa aveva da dire, e accettò.

Invece di un fanatico religioso, trovai un politico pragmatico, egocentrico, molto motivato, pragmatico, un populista.

“Parla turco?” mi chiese invece di salutarmi.

“Non bene,” risposi. “Soltanto poche parole.”

“Vedi!” urlò trionfante, il turco che parli fa pena, ma sai pronunciare  il nome del mio partito, Refah Partisi, perfettamente, senza nessun accento. Non è questa già una prova di quanto siamo importanti, di quanto siamo indispensabili?”

Non ero sicuro di questo. Cercavo di capire, di seguire la sua logica. Devo ammettere che mi sentivo più a mio agio in una trincea in Jugoslavia, che qui, a Istanbul, di fronte a questo uomo dominante, che ovviamente faceva viaggiare il suo grande ego.

Ma continuò a portare a termine iniziative e gran parte del popolo turco, ha continuato a votare per lui, fino al 2003 quando è diventato primo ministro e nel 2014, Presidente della Turchia.

Islamista o no, dal 2003 Erdo?an non è stato rifiutato dall’Occidente; era il leader di fatto del paese che è stato un membro fedele e non pentito della più potente alleanza occidentale – la NATO. Non ha fatto alcun tentativo di romperne i legami.

Periodicamente, la Turchia aveva dei litigi non importanti con l’Occidente, i suoi partner e Stati clienti, ma nulla che avrebbe potuto mettere a repentaglio l’alleanza. Dopo l’attacco letale del 2010 a una nave turca diretta a Gaza, Erdo?an affrontò Israele ma per lo più soltanto verbalmente. I legami militari non furono tagliati; per esempio, la Turchia non smise di addestrare i piloti da combattimento israeliani nel suo aeroporto militare fuori da Konya.

C’erano troppe contraddizioni? Certamente!

In Turchia è davvero estremamente difficile capire ‘chi è chi?’. I giuramenti di lealtà cambiano e le posizioni degli individui e delle organizzazioni continuano a variare.

Durante una delle sue visite in Turchia come Segretario di Stato, si dice che Hillary Clinton avesse chiesto al governo turco di chiudere l’Aydinlik Gazetesi, un importante giornale socialista e nazionalista. In varie occasioni Aydinlik mi ha intervistato. Io ho intervistato il suo caporedattore e altri membri del suo staff. Ho lavorato con la sua stazione televisiva affiliata, Ulusal Kanal, la sede centrale di uno dei più prolifici documentaristi turchi,  (e mio amico) Serkan Koc.

Serkan e i suoi colleghi mi hanno aiutato moltissimo durante le riprese del mio documentario per la stazione televisiva sudamericana TeleSUR sull’insurrezione di Gezi Park  a Istanbul nel 2013 e sull’ISIS che veniva addestrata  e appoggiata nei campi dei ‘rifugiati’ e nella zona di confine con la Siria, intorno alla città di Hatay.

Mi hanno spiegato in che modo i terroristi venivano addestrati nel campo di rifugiati ad Apaydin, così come in una tristemente nota struttura della NATO fuori della città di Adana – la base aerea di Incirlik. In tre occasioni, sono riuscito a filmare e a fotografare entrambe le strutture, spesso rischiando la vita.

Fate, però,  delle domande, alla sinistra intransigente in Turchia, in particolare ai Comunisti riguardo sia ad Aydinlik che a Ulusal Kanal e le risposte che otterrete non saranno certo unanimi!

E domandate alle persone di Aydinlik circa la brutta situazione del popolo curdo e sul PKK e otterrete alcune dichiarazioni sprezzanti, o, almeno, estremamente critiche. Credono che ci dovrebbe essere un sole forte stato turco laico, punto, e che il PKK è soltanto un gruppo terrorista.

D’altra parte, molti Comunisti turchi hanno abbracciato la causa curda e sono molto critici nei confronti dei nazionalisti e dei loro media.

Ma dove si situa davvero il PKK politicamente? Ebbene, tutto dipende dalle persone a cui si chiede. Alcuni dicono che è il movimento nazionalista curdo e che è indiscutibilmente ‘di sinistra’. Altri sono fortemente in disaccordo, definendolo apertamente ‘quinta colonna’, e anche un’emanazione della CIA.

La “questione” curda” non è però l’unica riguardo alla quale quasi nessuno in Turchia sembra essere d’accordo. Fate domande sul genocidio armeno e vi renderete subito conto che vi siete proprio paracadutati proprio in mezzo a (già menzionato prima) un campo minato. Anche la maggior parte della sinistra turca rifiuterà con fermezza la definizione “genocidio”. Potreste perdere la maggior parte dei vostri amici, in una sola notte, soltanto introducendo nella conversazione le questioni” curde e armene.

Poco chiaro? Non ancora, diventa anche peggiore. Se, prima del 2014, vi foste recati

alla  prigione di Silviri  a circa 80 km da Istanbul, sul lato europeo, avreste capito che cosa la vera confusione! Questa struttura di alta sicurezza, di solito ospitava centinaia di generali  e ufficiali turchi di alto livello e anche degli intellettuali e degli attivisti. Tutti erano lì a causa della cosiddetta Operazione Sledgehammer (in turco Balyoz Harekât?), un presunto fallito colpo di stato militare laico risalente al 2003.

Ma chi erano i generali e che cosa c’era realmente dietro il loro arresto? Incontrai le famiglie di alcuni di loro e filmai le loro testimonianze. Parecchi di loro si opponevano fortemente ad Erdo?an e al suo partito AKP. Alcuni credevano nello “Euroasianismo” turco, mentre altri (anche se molto pochi e non sempre apertamente

si opponevano all’ingresso della Turchia nella NATO.

Qualunque cosa fosse, il governo trovò che i generali e i loro alleati erano ‘scomodi’, perfino pericolosi. La causa contro di loro molto probabilmente fu inventata e fu pesantemente criticata in patria e all’estero. Aveva, però un forte sostenitore, il movimento Cemaat che è un movimento islamista guidato dall’ecclesiastico esiliato e (allora) stretto alleato dell’AKP, Fethullah Gülen!

Non sorprende  che dopo che l’AKP e Gülen avevano litigato fra loro, nel 2014, gli accusati venissero scarcerati e che  il 31 marzo 2015 tutti i 236 sospettati fossero  assolti.

E ora il presidente Erdo?an accusa Fethullah Gülen di essere dietro il recente sanguinoso colpo di stato abortito e ne chiede l’estradizione dagli Stati Uniti in Turchia! Come cambiano rapidamente e radicalmente le cose in questo paese!

Per rendere il tutto anche più complicato, i miei colleghi turchi di sinistra – giornalisti investigativi – mi chiesero già nel 2012 di aiutarli a indagare sulle attività del movimento Cemaat in generale e di Fethullah Gülen in particolare, in Africa (dove mi trovavo allora), principalmente in collegamento con la costruzione di scuole e di diffusione di tutti i tipi di forme pericolose di insegnamento religioso estremista. In quei giorni  Fethullah Gülen in Turchia era ancora considerato stretto alleato sia degli Stati Uniti che dell’AKP!

A un certo punto, il ‘Nuovo Ottomanesimo’ andò ‘un poco fuori controllo’ per quanto riguardava  l’Occidente, ma la Turchia   appoggiando l’Occidente e la sua politica imperialistica nella regione. Nel recente passato, il principale alleato dell’AKP (anche se ora è il suo arci-nemico),  Fethullah Gülen, faceva parte di quel ‘buon corso’.

Il mio amico, Yi?it Günay,  scrittore, storico e giornalista, educato a Cuba, mi ha spiegato parecchi mesi prima del recente colpo di stato:

“La politica fu chiamata “Neo-Ottomanesimo. L’idea era che il governo dell’AKP, o la Turchia stessa, avrebbe operato come “appaltatore” dell’imperialismo nella regione e, in quanto tale, avrebbe esteso la sua zona di influenza in quelle regioni che hai appena definito. In quei giorni c’era anche il movimento di Gülen con base negli Stati Uniti. Adesso il governo e questo movimento sono nemici, ma allora erano alleati. Il movimento di Gülen era particolarmente attivo in Africa, perché il loro principale vanto è aprire scuole e università. E ha un’enorme quantità di denaro. Ho letto in un rapporto che nel 2013 aveva circa 130 “charter schools”*, negli Stati Uniti soltanto. E se avete charter schools avete milioni i dollari che vengono versati direttamente dai contribuenti americani. E’ anche organizzato molto bene, possiede enormi società, è ricco. E usa questa ricchezza per aumentare la sua influenza.

Praticamente, quando iniziò la Primavera Araba, l’attuale presidente Recep Tayyip Erdo?an e l’AKP erano molto scettici. Non capivano che cosa stesse realmente accadendo, fino a quando gli americani gli dissero….

“Non preoccupatevi, siamo noi che lo facciamo…”

C’è stato un momento  in cui i jet della NATO cominciarono a bombardare la Libia ed Erdo?an fece un discorso, dicendo, fondamentalmente: “Che cazzo sta facendo la NATO, sta bombardando la Libia?” E due  giorni dopo, la Turchia divenne parte della missione. Gli americani gli dissero: “Sei stupido? Non vedi che cosa sta succedendo?” E prontamente cambiò idea.  

Il concetto principale dietro a tutto questo era: la Primavera Araba è stata sostanzialmente favorevole all’AKP.  E’ stata  quello che si chiama “cambiamento di regime”, in tutta la regione. I nuovi regimi erano prevalentemente islamisti, e quindi l’AKP aveva l’opportunità di guadagnare influenza al loro interno.”

Tutto quello che ho scritto qui sopra serve soltanto a illustrare la complessità del labirinto politico turco.

Non c’è quasi nulla di coerente: vengono in mente le sabbie mobili come metafora più appropriata.

Dove è diretta realmente la Turchia adesso?

E’ davvero possibile che possa finalmente voltare a est?

Naturalmente ci sono grandi speranze! Naturalmente, queste speranze potrebbero, almeno parzialmente, essere giustificate, ma sono cauto e non ancora pronto a festeggiare.

L’Occidente è perfettamente consapevole che “perdere la Turchia” sarebbe un colpo poderoso ai suoi interessi geopolitici, leggasi: ai suoi piani imperialisti totalitari. E’ molto improbabile che mollerebbe facilmente e tranquillamente questo enorme paese che ha una delle posizioni geografiche più strategiche della terra.

Se il presidente turco non cederà all’Occidente, se farà uscire decisamente il suo paese dalla NATO, se chiuderà la base aerea di Incirlik (con le sue 50 testate nucleari), e specialmente se condividerà le strutture militari turche con i Russi, l’Occidente agirà certamente con la forza, anche brutalmente. Che cosa ci sarebbe sul ‘menu’ questa volta: un tentativo di assassinio, un altro colpo di stato militare o qualche altra agitazione provocata da fuori? Non lo sappiamo, ma possiamo indovinarlo: ci sarebbe  uno spaventoso bagno di sangue.

E da quale parte starebbero gli intellettuali turchi: tutti quei famosi giornalisti, artisti ed accademici? Spesso sono molto coraggiosi (Chomsky ed io li abbiamo chiamati nel nostro recente libro, ‘alcuni tra i più coraggiosi della terra’), ma dove sono le loro vere lealtà politiche? Alcuni di loro sono socialisti puri, anche marxisti, ma certamente non tutti. Molti in realtà guardano dritti a Occidente: Parigi, Londra, New York e Berlino.

Uno dei miei editori turchi e amico, ora scomparso, cioè il famoso chimico-fisico e biofisico molecolare turco, Oktay Sinano?lu (spesso definito “l’Einstein turco”), è stato uno dei più schietti critici dell’imperialismo occidentale. Era stato però, per molti anni, anche professore all’Università di Yale e i suoi ultimi anni li trascorse per lo più nella sua proprietà di fronte al mare in Florida. Il suo amore per la Turchia, era,  per i miei gusti, troppo lontano, troppo platonico.

Gli intellettuali turchi non sono neanche d’accordo su quali scrittori ammirare. Due dei più famosi romanzieri turchi contemporanei, il Premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk, e la scrittrice Elif Shafak, sono considerati da molti soltanto due mediocri letterati che si sono venduti totalmente all’Occidente, che ritraggono la Turchia come i loro editori e lettori stranieri si aspettano di vederla.

Molti giovani turchi colti di recente si dirigono verso l’America Latina per conoscere le sue nuove tendenze rivoluzionarie, i suoi governi e movimenti. Altri vanno in Asia. Per esempio, gli intellettuali che vivono a Istanbul, sono molto più cosmopoliti dei loro colleghi  sorprendentemente euro-centrici e provinciali di Atene. Ma il laicismo e il liberalismo europei sono ancora il principale punto di riferimento e anche l’obiettivo per la maggior parte dei turchi urbanizzati.

Potrebbero essere ‘contro la NATO’ e ‘contro la politica estera statunitense’, ma spesso non si sa con certezza per che cosa sono.

Appoggerebbero il governo se dovesse decidere di cacciare via la NATO e di abbracciare invece la Russia e la Cina? Vorrebbero che la Turchia aderisse ai BRICS?

Erdo?an è un politico scaltro e pragmatico. Sa tutto di commerci e di ‘oggetti  di scambio’. Sa quanto conta il suo paese , per l’Occidente e per il suo imperialismo e per quelli che vi si oppongono!

La sua popolarità in patria sta aumentando rapidamente e raggiunge quasi il 70%.

Ha un chiaro ‘mandato morale’ quando critica l’Occidente per aver sostenuto (o anche scatenato il recente colpo di stato, o almeno per non aver fatto nulla per proteggere il ‘governo turco legittimo’ in un momento di grande crisi.

E l’Occidente ora, per la prima volta, prende sul serio le sue minacce!

In base alla sua passata esperienza,  Erdo?an potrebbe ora cominciare una trattativa estremamente dura con Washington, Berlino e altre capitali occidentali. Il recente ‘spostamento verso Est’ potrebbe essere soltanto un bluff  estremamente efficace.

Sia Obama che Putin lo sanno e questo è il motivo per cui i funzionari statunitensi non sono così realmente ‘preoccupati’ per le armi nucleari “immagazzinate” in Turchia. Ecco perché Putin è stato molto gentile quando ha incontrato Erdo?an a San Pietroburgo; gentile ma non di più.

Tutti sono in attesa della prossima della Turchia ed Erdo?an potrebbe prendersi del tempo per farne davvero una. Il tempo è dalla sua parte. Può ora mettere  il campo imperialista e quello anti-imperialista l’uno contro l’altro. Basta che funzioni!

La Russia e la Cina (a parte essere dalla parte giusta della storia) possono offrire molto, in pratica: la nuova Via della Seta che va dall’Oceano Pacifico a Istanbul, completa di collegamenti ferroviari ad alta velocità, corridoi IT, oleodotti e anche il totale rinnovamento del travagliato settore dell’industria energetica turca, solo per citare alcuni delle “chicche”.

La Turchia si aspetterebbe che l’Occidente offra di più, molto di più per appaiarsi e superare quello che offre l’Est.

Sfortunatamente, sembra che tutto questo non abbia a che fare con l’ideologia o anche con il semplice ‘giusto e sbagliato’, è soltanto  freddo pragmatismo e calcoli pratici.

Ma, come ho scritto all’inizio di questo saggio: ancora non sento di capire realmente la Turchia! E anche alcuni dei miei amici turchi ora mi scrivono e mi dicono che ‘neanche loro riescono a comprenderla!’

Qualsiasi cosa può cambiare lì. Il padre pragmatico della Turchia moderna, Mustafa Kemal Ataturk, era un vero nazionalista turco, ma fortemente influenzato dall’Occidente laico. Inoltre, per mantenere la sua nazione forte, unita e indipendente, ha dovuto lottare contro le potenze occidentali ed accettare moltissimo aiuto militare ed economico dall’Unione Sovietica.

Il presidente della Turchia sta tenendo il futuro della regione e del mondo nelle sue mani. E’ ben consapevole di questo. Può fare la storia con un solo tratto di penna.

Nel caso prenda una decisione giusta, tengo in frigorifero una buona bottiglia di champagne. E’ ben ghiacciato e pronto per essere stappato in qualsiasi momento. Spero, spero davvero che ci sarà presto un’occasione perché il tappo colpisca il soffitto!

 

https://it.wikipedia.org/wiki/Charter_school

 


Andre Vltchek è un filosofo, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Ha seguito guerre e conflitti in dozzine di paesi. I suoi libri più recenti sono “:“Exposing Lies Of The Empire” [Smascheramento delle menzogne dell’Impero] e “Fighting Against Western Imperialism” [Lotta contro l’imperialismo occidentale]. La sua discussione con Noam Chomsky “On Western Terrorism” [Sul terrorismo occidentale]. Point of No Return [Punto di non ritorno] è il suo romanzo politico acclamato dalla critica. Oceania – un libro sull’imperialismo occidentale nel Pacifico meridionale. Il suo libro provocatorio sull’Indonesia: “Indonesia – The Archipelago of Fear” [Indonesia, l’arcipelago della paura]. Andre realizza documentari per teleSUR e Press TV. Dopo aver vissuto per molti anni in America Latina e in Oceania, Vltchek attualmente risiede e lavora in Asia Orientale e in Medio Oriente.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: / http://www.counterpunch.org/2016/08/19/turkey-let-us-not-celebrate-yet

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