Fonte: Pauperclass

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30/08/2016

 

Tre ipotesi sull’iniziativa militare di Erdogan in Siria

di Eugenio Orso

 

A mio sommesso avviso, tre sono le ipotesi che si possono fare a riguardo del comportamento del neo-ottomano islamista Erdogan e del suo bellicoso regime.

Dopo il fallito golpe in Turchia, con lineamenti da operetta, che per alcuni è stato supervisionato dalla Cia americana, dopo il presunto riavvicinamento di Erdogan alla Russia successivo al golpe e alla conseguente epurazione di massa, dopo l’invasione turca nel nord della Siria, impiegando sul campo militari turchi e carri, nonché mercenari jihadisti detti “ribelli moderati” (nonostante partecipino i tagliagole di al-nusra mascherati), la situazione, nello scacchiere geopolitico siriano sconvolto dal conflitto (o meglio, da una serie di conflitti intrecciati), sembra che sia diventata illeggibile, così come paiono imprevedibili gli sviluppi futuri di questa situazione.

Indubbiamente, per la prima volta i turchi in armi hanno messo piede stabilmente in Siria, conquistando senza sforzo la città confinaria di Jarabulus, prima che la liberino dalla presenza dell’isis i curdi filoamericani. La motivazione ufficiale addotta è la solita “lotta contro lo stato islamico”, che, in tal caso, nasconde la volontà turca di impedire ai curdi siriani delle unità di protezione popolare (YPG) di assumere il controllo di tutta la fascia confinaria con la Turchia. L’invasione turca nel nord della Siria è diretta, quindi, principalmente contro i curdi siriani, vicini a quelli turchi del PKK. Altro motivo non dichiarato dell’invasione, che nasconde un interesse comune a Washington e Ankara, è la dissoluzione della Siria in staterelli fra loro conflittuali, che consentirebbe di prolungare il conflitto e la destabilizzazione di tutta l’area.

Per la verità, meno di anno fa – nel dicembre 2015, se non ricordo male – le truppe turche erano entrate e si erano stabilite nel nord dell’Iraq, in provincia di Mosul, sempre con la scusa della “lotta all’isis”, ma in una situazione diversa dall’attuale. Quella presenza fu più limitata e temporanea, perché i turchi si ritirarono, subendo anche le pressioni di Barack Obama. In Siria i turchi hanno intenzione di rimanervi in pianta stabile, a quanto sembra.

Il punto di partenza più ovvio della riflessione non può essere che il fallito golpe del 15 luglio 2016, poco chiaro se non sospetto sotto diversi punti di vista. Questi golpisti “in erba”, gulenisti o tardo-kemalisti che siano, evidentemente mal diretti all’onnipotente Cia (che, se giocava, giocava per farli perdere), si sono lasciati sfuggire il tiranno Erdogan. Costoro hanno sbagliato obbiettivi, nel senso che non si sono curati di personalità di primo piano del regime, come ministri e vice ministri, hanno mostrato cedevolezza nei confronti di quelli che apertamente li contestavano, o addirittura li affrontavano (avrebbero dovuto tagliarli subito in due con i mitragliatori, perché il golpe, in questo come la rivoluzione, non è una passeggiata …).

Non si comandano soldatini ignari, giovani e probabilmente inesperti, anche se ben sbarbati e pettinati, per un’operazione “sporca” come il golpe. Militari che in breve si arrendono, vista la malaparata, e almeno uno di loro è stato decapitato, dagli islamisti sunniti inferociti (questi sì determinati!) al grido di “dio è grande”.

Se si vuole che l’operazione abbia almeno una qualche speranza di successo, s’identificano correttamente gli obbiettivi da raggiungere, i gangli vitali e le personalità del regime nemico da colpire, ci si vale di uomini determinati e senza scrupoli, consapevoli di ciò che fanno, determinati e disposti a falciare la folla, se necessario (in tal caso tutta fecciaglia turca/turcofona, neo-ottomana e islamista, spinta a scendere in strada a sostegno di Erdogan).

Fatte questi semplici considerazioni sul tentato golpe in Turchia, che chiunque poteva fare, già durante la notte fra il 15 e il 16 di luglio, è bene presentare, di seguito, le tre ipotesi in merito al comportamento e alle intenzioni di Erdogan, che sta invadendo la Siria senza incontrare troppa resistenza, diplomatica e militare:

1)    Il tentato golpe, per quanto raffazzonato, non era destinato aprioristicamente a fallire, gli Usa sono sospettati di averlo appoggiato almeno in un primo tempo, se addirittura non organizzato, la Ue non ha condannato prontamente, fin dalla prima ora, il colpo di stato e il tiranno turco, nemico dei curdi più che dell’isis, si è indispettito per questo. Un Erdogan vittorioso, scampato per un pelo alla cattura o alla morte, ha incassato un grande consenso popolare (è oggettivo: i turchi lo appoggiano in maggioranza), ha dato il via, prontamente, alle incarcerazioni e alle epurazioni di massa che sognava da tempo (con liste di proscrizione già confezionate) e si sta progressivamente allontanando dagli Usa, dalla Nato e dalla tremebonda Ue che costui è solito ricattare (a suon di miliardi di euro, per non inondare di profughi il vecchio continente). Altro elemento che ha allontanato Erdogan dall’occidente a guida americana è stato il rifiuto degli Usa di concedere l’estradizione in Turchia del miliardario sunnita Fethullah Gulen, venduto dal regime turco come l’ispiratore del golpe. Se così stanno le cose, naturale che il tiranno ottomano e il suo governo cerchino di cambiare di campo, riavvicinandosi a Mosca, all’Iran e addirittura manifestando pubblicamente l’intenzione di normalizzare i rapporti con il governo siriano. In tal caso, l’invasione del nord della Siria da parte dei suoi giannizzeri (esercito turco e mercenari jihadisti) sarebbe stata preventivamente e segretamente concordata con la Russia, che però nega di aver dato l’assenso, e avrebbe spiazzato gli Usa, che sono stati costretti a far ritirare i curdi e ad approvare l’invasione in territorio siriano denominata “Scudo sull’Eufrate”.

2)    Erdogan sta facendo il doppio gioco e cerca di tenere il piede in due scarpe, non rompendo definitivamente con Usa e Nato, da una parte, e non concedendo concretamente troppo a Russia e Iran, dall’altra. Così spera di fregare sia gli americani sia i russi, ottenendo il massimo vantaggio geopolitico – occupare l’ultimo tratto di confine con la Siria non ancora in mano curda, tarpando le ali al nemico, impedendo il sorgere di uno stato curdo in Siria, occupando territori siriani – nonché il massimo vantaggio economico possibile – ad esempio, la ripresa del progetto Turkish (South) Stream che farebbe diventare la Turchia importante hub, anche se forse non più il principale, del gas per l’Europa. Sarebbe proprio il doppiogioco del tiranno Erdogan a rendere caotica la situazione, ma il suo barcamenarsi fra Usa/Nato e Federazione Russa/Iran non potrà durare in eterno e quando il farabutto sarà scoperto, dagli uni o dagl’altri, allora la situazione si chiarirà e la Turchia ne pagherà lo scotto. Per ora, Washington mostra “comprensione” per la mossa militare dell’infido sultano, i curdi si ritirano a est dell’Eufrate (coglionati dagli americani), i russi e i siriani disapprovano, ma non lo colpiscono.

3)    Non sarebbe Erdogan a fare il doppio gioco, spiazzando gli Usa e barcamenandosi fra Russia e americani. Si tratterebbe di un vero e proprio piano, ordito dagli americani con la collaborazione dell’infame Erdogan per far cadere la Russia (e la sua colazione) in una trappola. Ciò significherebbe che le schermaglie diplomatiche fra l’amministrazione federale americana ed Erdogan, per l’estradizione dagli Usa di Gulen, sono soltanto un’abile recita. Ancor peggio, il golpe da operetta destinato a fallire è sicuramento avvenuto, in ipotesi, con la supervisione della Cia ed Erdogan, probabilmente, ne era informato in anticipo, tenendosi pronto con liste per l’epurazione già pronte da qualche tempo. Costui sta recitando la parte di chi vuole allontanarsi dai suoi “alleati” tradizionali, cioè Usa, Ue, Nato, e riavvicinarsi a Russia e Iran, addirittura alla Siria di Assad. Un falso riavvicinamento, naturalmente, perché non mi pare che l’ottomano abbia concesso qualcosa d’importante ai russi e, finora, non ha rotto con la Nato. L’incontro con Vladimir Putin, a San Pietroburgo il 9 di agosto, farebbe parte della recita, propedeutica al “trappolone” che gli americani hanno preparato a Putin, con la collaborazione interessata di Erdogan, che è sempre stato in combutta con gli Usa. Washington cerca di provocare subdolamente una reazione russa all’azzardo di Erdogan (infido ma complice), alimentando il caos, nel quadro dell’ormai arcinota Geopolitica del Caos, prediletta dagli Usa per estendere i conflitti e perpetuare la destabilizzazione d’intere aree del pianeta.

L’ipotesi numero uno – Erdogan scampa a un vero e proprio golpe, che fallisce, e si avvicina a Putin e all’Iran, allontanandosi dagli Usa e della Nato – la considero la meno probabile delle tre, ma è sicuramente la più diffusa, perché la suggeriscono molti media occidentali per confondere le idee.

L’ipotesi numero due – Erdogan doppiogiochista, Usa spiazzati e Putin che un po’ abbocca all’amo, pur con qualche riserva – è quella alla quale ho aderito subito dopo il fallimento dello strano golpe e le manovre, improvvise e sospette, per il riavvicinamento dell’infido neo-sultano alla Russia.

L’ipotesi numero tre – quella del piano ordito dagli Usa, con la partecipazione di Erdogan, per spingere la Russia a reagire cadendo in una trappola –  l’ho dedotta un paio di giorni addietro leggendo un commento, firmato da Salvatore Penzone, a un articolo comparso su Controinformazione dell’ottimo Luciano lago, dal titolo “Comandante iracheno accusa gli USA di aver fornito false informazioni sull’ISIS” (Fonte Pars Today), il cui link è: http://www.controinformazione.info/19248-2/

In questo momento, mentre gli eventi accadono, i bombardamenti turchi in Siria mietono vittime e l’incertezza permane, sono addirittura più propenso a scommettere sulla terza ipotesi, piuttosto che sulla seconda. Del resto, le élite finanziarie che controllano gli Usa hanno usato prima le “primavere arabe”, poi i mercenari jihadisti per destabilizzare e smembrare Siria, Iraq e l’intero Medio Oriente. In seguito, in Siria, hanno manipolato i curdi che dopo la conquista di Manbij, strappata allo stato islamico, hanno attaccato per la prima volta le truppe siriane ad Al-Hasakah e Qamishli, contro il loro stesso interesse, perché poi sono stati costretti a ritirarsi dagli americani davanti all’invasione turca. Le élite finanziarie occidentali non hanno scrupolo alcuno e usare i curdi “democratici”, l’isis oppure la soldataglia turca per raggiungere obbiettivi geostrategici per loro è indifferente …

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