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Mar 11, 2016

 

Il destino del Sultano è segnato

di Michael Collins

Tradotto da Mario B.

 

I tentativi del Presidente Turco Recep Teyyp Erdogan di demonizzare l’YPG, l’esercito Curdo Siriano, e di minacciare e intimorire gli Stati Uniti stanno avendo l’effetto finale di creare un potente movimento volto alla sua rimozione, basato sulla motivazione che in questo modo l’opinione pubblica negli Stati Uniti e in Europa dimenticherebbe chi sono i veri colpevoli nel tragico attacco alla Siria e focalizzerebbe la propria attenzione sulle accuse di genocidio sollevate contro l’ISIS. L’accusa di genocidio sarebbe collegata a Erdogan come risultato del suo documentato supporto all’ISIS, e alla fine segnerebbe il suo crescente ruolo dittatoriale in Turchia. Anziché distogliere l’attenzione dei Turchi dai suoi crimini e dalla propria enorme negligenza come mezzo per mantenere il proprio potere, la punizione che Erdogan sta riservando a i Curdi e, in modo più significativo, il suo tentativo di ricatto nei confronti degli USA provocherà la sua condanna in un futuro prossimo.

 

Erdogan si sta scatenando in tutte le direzioni in un momento in cui percepisce il crollo dei ribelli siriani che avevano avuto il suo pieno sostegno, ISIS compresa. La rabbia del presidente nei confronti degli Stati Uniti è contemporaneamente inattesa e pericolosa. Per settimane, Erdogan si è opposto al sostegno USA per l’YPG, l’esercito curdo siriano che controlla quasi completamente la regione siriana al confine con la Turchia.

La scintilla che ha fatto perdere le staffe ad Erdogan è scoccata una decina di giorni prima dell’inizio della conferenza di pace di Monaco, voluta da USA e Russia, riguardante il conflitto siriano. L’YPG e l’Esercito Arabo Siriano sono le due sole grandi forze di terra che combattono l’ISIS. Anche se l’YPG avrebbe dovuto essere invitata alla conferenza di Monaco, gli USA hanno accontentato Erdogan escludendola dall’elenco delle fazioni invitate.

All’incirca nello stesso momento in cui l’YPG veniva tagliato fuori dalla conferenza di Monaco, la Casa Bianca mandava Brett McGurk, “inviato del Presidente Barack Obama presso la coalizione internazionale che combatte l’IS in Siria e in Iraq”, a fare visita alle forze curdo siriane a Kobani, in Siria. Funzionari francesi e inglesi hanno viaggiato assieme a McGurk. L’inviato ha espresso l’ammirazione e il sostegno USA nei confronti degli sforzi dell’YPG. Diversamente da Erdogan e dal suo ministro degli esteri, i Curdi hanno dato il benvenuto a braccia aperte alla delegazione e hanno potuto discutere delle loro preoccupazioni dovute al fatto di essere stati lasciati fuori dagli incontri di Monaco.

Invece di accettare una vittoria parziale, Erdogan e il suo ministro degli Esteri hanno minacciato gli USA ponendoli di fronte a un’aspra alternativa. Gli USA devono dimostrare di essere con la Turchia inserendo l’YPG nella lista delle organizzazioni terroriste, o contro la Turchia continuando a sostenere l’YPG e i suoi sforzi contro l’ISIS.

L’atteggiamento nei confronti degli USA ha continuato ad essere aspro e, tra le altre cose, ci sono state implicite minacce di un attacco di terra turco-saudita contro la Siria.

I Turchi successivamente sono passati alle vie di fatto bombardando le forze dell’YPG che si stavano avvicinando ad Azas, città siriana di confine importante dal punto di vista strategico.

Nonostante le provocazioni, Washington ha provato a essere imparziale. Il portavoce del Dipartimento di Stato Mark Toner ha suggerito che l’YPG fermasse la sua avanzata su Azaz, e contemporaneamente ha chiesto ai Turchi di cessare il loro fuoco di sbarramento sull’YPG e su altre forze anti-ISIS in Siria. L’esercito turco ha continuato a bombardare.

Dopo giorni di minacce agli USA e azioni sconsiderate contro i loro alleati curdi, il 20 febbraio Il Saker notava l’abietta follia delle affermazioni e delle azioni di Erdogan: “Se Erdogan e i suoi consiglieri pensano seriamente di poter ricattare pubblicamente una superpotenza come gli Stati Uniti, allora vuol dire che hanno i giorni contati.“

Sfortunatamente per Erdogan, la nota del Saker non gli è arrivata. Il 24 febbraio il leader turco ha detto: “Se Daesh (IS/ISIS) e Al-Nusra sono tenuti fuori dal cessate il fuoco, allora analogamente il PYD_YPG devono esserne esclusi visto che loro sono terroristi proprio come gli altri,” parole di Erdogan a funzionari locali ad Ankara.”

Come mai il governo turco è ossessionato dall’YPG? Ci sono svariate ragioni, nessuna delle quali correlata al terrorismo e tutte invece aventi a che fare con la sopravvivenza del corrotto e repellente Erdogan, della sua famiglia e dei suoi compari nel partito AKP.

Di cosa hanno paura Erdogan e compagnia?

La galera.

Conversazioni di Erdogan e suoi compari sono state registrate e sono diventate di pubblico dominio, mentre erano impegnati nelle seguenti attività: istruire suo figlio su come e dove nascondere enormi quantità di contanti; dire ai giudici che decisione prendere su casi critici per i suoi interessi; pianificare un’operazione false flag in cui soldati turchi avrebbero dovuto colpire con armi da fuoco il confine turco dal territorio siriano, dandone la colpa alla Siria; ordinare espropri governativi di aziende private, in particolare organi di stampa che semplicemente si opponevano al suo governo; ordinare il dissequestro di armi inviate ai ribelli siriani confiscate dalle autorità locali ai confini con la Siria; e consentire il transito e la vendita di petrolio dell’ISIS sul territorio turco e la sua spedizione da porti turchi.

Questi crimini sono ben noti in Turchia. Dovesse arrivare al potere una qualunque coalizione governativa diversa da quella controllata da Erdogan, allora lui, i suoi familiari e i suoi complici verrebbero processati e probabilmente condannati a lunghe pene detentive.

Cosa dovrebbe temere Erdogan più della galera?

Barack Obama.

Vi potrete chiedere perché non abbia detto Vladimir Putin. È semplice. Putin in effetti è nemico di Erdogan, è uno che quest’ultimo dovrebbe temere molto. Però Erdogan non lavora per Putin, lavora per Obama. Putin può rendere la vita molto difficile a Erdogan, ma solo Obama può licenziarlo. La Turchia fa parte della NATO, che è dentro fino al collo nel sostegno agli estremisti islamici in lotta per rovesciare il governo siriano. Nello specifico, Erdogan è stato un volenteroso servitore della Casa Bianca tramite il ruolo chiave della Turchia nell’addestramento, rifornimento, e trasferimento di “foreign fighters” in Siria, e nel sostegno alle locali forze ribelli.

Il generoso sostegno di Erdogan ai ribelli siriani non è avvenuto come risultato di una qualche diuturna rivalità Sciita-Sunnita o alla sua ostinata opposizione a Bashar Al-Assad, il presidente eletto della Siria. Ancora nel 2010 Erdogan si impegnava in uno sforzo di diplomazia personale con Al-Assad per stringere le relazioni in termini di scambi commerciali e sicurezza, ma quando l’allora Segretario di Stato Hillary Clinton dichiarò ‘Assad must go,’ Erdogan si allineò immediatamente. Questo percorso fu addolcito con incentivi da parte dell’Arabia Saudita, ma non ci sono dubbi chi fosse (e tuttora sia) il maestro: il Presidente Barack Obama.

Nelle ultime settimane, quando è diventato evidente che la politica USA dell’‘Assad must go’ fosse un fallimento, è arrivato per Erdogan il momento di retrocedere e seguire il leader. Ciò era necessario per due motivi stringenti. Primo, Obama e non Erdogan è il leader. La Turchia non è la superpotenza dominante nel mondo. Sono gli Stati Uniti.

Il secondo motivo per seguire Obama è un po’ più sottile.

Tutto quello che la Turchia ha fatto per attizzare l’estremismo islamista, compreso il sostegno all’ascesa dell’ISIS, è ben noto agli Stati Uniti, e in molti casi ha visto il coinvolgimento della Casa Bianca e dei suoi sottoposti a Londra, Parigi, e Berlino. La Turchia era lo stato sulla linea del fronte. Ma Obama e tutto il cast di supporto dei leader della NATO fornivano istruzioni e stavano prendendovi parte.

Avesse la Turchia cooperato e consentito tranquillamente a ciò che sarebbe inevitabilmente successo, cioè la pace in Siria con un governo scelto dai Siriani, allora la Casa Bianca e tutta la compagnia avrebbero potuto farsi un giro d’onore con la consapevolezza che nessuno si sarebbe spinto a considerare con attenzione tutto ciò che avevano fatto per distruggere una società.

Non prestandosi a cooperare, e facendo uno spettacolo della propria sfida a Obama, la Turchia aumenta il rischio di un’indagine più dettagliata sul suo sordido coinvolgimento – la causa reale della perdita di 250.000 vite – in Siria; la causa reale della crisi dei rifugiati (non ce n’erano prima dell’attacco alla Siria); il forte sostegno, diretto o indiretto a tutti i partiti di estremisti jihadisti che si sono gloriati di uccidere Cristiani, Drusi e altre minoranze in Siria.

Il tentativo di Erdogan di creare una serie di drammi sempre più grandi per distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica, ha fatto sì che adesso sembri che la cosa più razionale da fare sia rimuoverlo.

Ecco emergere la base per la scomparsa dello pseudo Sultano.

Fondamenti per la fine di Erdogan – sostenere il genocidio dell‘ISIS

La Casa Bianca sta subendo pressioni per etichettare come genocidio le azioni dell’ISIS. Pressioni che arrivano dai Cattolici Americani, dal Vaticano, dai Repubblicani, alcuni Democratici (tra cui Hillary Clinton), ed un vario assortimento di accademici.

Il Segretario di Stato John Kerry è stato spinto ad etichettarli in tal modo nel corso di una recente audizione al Congresso. Nel corso di questa audizione presso il Sottocomitato per gli Stanziamenti sulle operazioni di Stato ed Estere della Camera dei Rappresentanti (24 febbraio), il Rappresentante Jeff Fortenberry, repubblicano del Nebraska, ha chiesto al Segretario di Stato John Kerry di “usare l’autorità del suo ufficio per definirlo [l’attacco dell’ISIS contro i Cristiani e altre minoranze] genocidio.” Kerry ha risposto dicendo “… ovviamente nessuno di noi ha visto cose di questo genere nella propria vita, a anche se, evidentemente, ripensando all’Olocausto, il mondo le ha già viste.”

Un comunicato stampa dell’ufficio di Fortenberry immediatamente dopo l’audizione, dimostra la natura bipartisan degli sforzi tesi a dichiarare l’anatema per l’ISIS.

“Una coalizione in crescita sta esortando il mondo a riconoscere che l’ISIS sta commettendo un genocidio contro i Cristiani, gli Yazidi e altre minoranze etniche e religiose. Anche se il Segretario di Stato John Kerry non è ancora giunto a questa conclusione [etichettare gli atti dell’ISIS come genocidio], io sono grato per la sua apertura a intrattenere un dialogo denso di riflessioni su un argomento di così grande importanza. Spero che il Dipartimento di Stato dia al più presto una completa e globale definizione di genocidio.”

Questo non è il classico comportamento dei parlamentari repubblicani nei confronti del Segretario di Stato, e non è un caso. Le parole “grato e aperto” insieme a “dialogo denso di riflessioni” sono un chiaro segno di convergenza bipartisan contro l’ISIS. Quelli che nel Congresso e alla Casa Bianca sostenevano la causa dei ribelli siriani e che hanno consentito alla Turchia di rifornirli di fondi e materiali, astenendosi adesso dall’obiettare, si ritrovano assieme nel caratterizzare le azioni dell’ISIS nei termini più duri, genocidio.

Questo soddisfa due scopi. Crea un grande diversivo per qualunque serio esame della storia della politica USA nel conflitto, compreso l’inizio dell’attacco con la pretesa che Assad lasciasse il potere (Assad must go).

L’etichetta di genocida è anche un pretesto per affibbiarla al Presidente Erdogan e ai suoi complici in quanto sostenitori dell’ISIS e degli atti di genocidio. L’accusa è l’atto di apertura per la fine del governo di Erdogan. Quando il Dipartimento di Stato farà ciò che Kerry ha indicato che avrebbe fatto per metà marzo, etichettare le azioni dell’ISIS come genocidio, la sentenza sarà stata emessa e la sopravvivenza del governo di Erdogan diventerà un affronto per il mondo, l’Unione Europea e la NATO. Come possiamo sopportare di avere come partner internazionale, una nazione che sostiene un gruppo che commette un genocidio, sarà la domanda ricorrente.

I sostenitori USA, britannici e francesi degli attacchi contro la Siria saranno in grado di nascondere la loro complicità in quest’abominio di politica dietro le sensazionali richieste che venga fatto qualcosa per fermare il genocidio. Visto che la Turchia è stata presa con le mani nel sacco per aver reso possibile l’ISIS ed esservisi alleata, non ci sarà possibilità di evitare l’accusa. A questo punto gli oppositori di Erdogan nell’AKP si uniranno nel richiederne la rimozione. I fondatori dell’AKP Bulent Arinc e Abdullah Gul sono due personaggi noti e altamente considerati, da tenere d’occhio. Arinc ha già criticato apertamente il presidente circa le sue politiche verso i Curdi di Turchia. Un attacco diretto contro Erdogan da parte di Gul per la situazione dell’ISIS potrebbe fungere da colpo di grazia.

Come avverrà questa rimozione dipende dai centri di potere della società turca. Erdogan sarà costretto a trovare molti sostenitori che abbiano voglia di rischiare gli accordi di relazioni commerciali con l’UE e l’appartenenza alla NATO semplicemente per conservare al potere l’aspirante Sultano. Il presidente avrà difficoltà a trovare uomini d’affari o commercianti che continuino a sostenerne la causa se alle sanzioni russe si aggiungeranno anche quelle delle nazioni europee. Erdogan sarà un dittatore non più in grado di comandare, un bullo che si ritroverà ad essere più piccolo di coloro su cui aveva costantemente tiranneggiato, e cosa peggiore di tutte, un pericoloso e imbarazzante inconveniente e intralcio.

Erdogan è già condannato. Solo che non lo sa.

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