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14 marzo 2016

 

Dopo la strage l’ira di Ankara sul Pkk

Bombe in Iraq e tank nelle città curde

di Monica Ricci Sargentini

 

Ancora nessuna rivendicazione per la strage di domenica ma il governo è sicuro del mandante. Erdogan alla popolazione: «O siete con noi oppure con i terroristi»

 

«È stato il Pkk». Il primo ministro Ahmet Davutoglu parla di «seri e quasi certi indizi» contro i terroristi curdi. Sarebbero stati loro gli autori della strage di domenica pomeriggio ad Ankara dove sono morte 37 persone e ne sono state ferite 125. La lussuosa Bmw bianca, imbottita di esplosivo e pezzi di metallo per fare maggiori danni, era partita da Viransehir, nella provincia sudorientale, la zona curda che da decenni chiede maggiore autonomia. L’identità dei due kamikaze sarà certa solo dopo il test del Dna ma, dalle prime indiscrezioni, si tratterebbe di un uomo di nazionalità turca, con dei precedenti penali per legami con il Pkk, e di Seher Cagla Demir, una studentessa di 24 anni di Kars, vicino al confine armeno, sparita nel 2014 e già processata per attività di propaganda per i separatisti curdi del Pkk.

 

In assenza di una rivendicazione ufficiale dell’attentato, Ankara è passata comunque all’azione. Lunedì mattina undici jet F-16 e F-4 turchi hanno colpito almeno 18 roccaforti del Pkk nascoste nelle montagne di Qandil e Gara nel Nord dell’Iraq distruggendo bunker, rifugi, depositi di munizioni. Intanto le forze di sicurezza hanno continuato a martellare il Sud-est della Turchia: lunedì è stata colpita Nusaybin, al confine con la Siria, mentre i carri armati sono stati schierati a Yuksekova, alla frontiera con l’Iraq. Un coprifuoco è stato imposto a Sirnak dove le forze di sicurezza sono pronte a intervenire.

 

La tregua tra il Pkk e il governo turco era finita lo scorso luglio anche a causa del conflitto in Siria dove sono attivi i curdi del Ypg che Ankara ha bollato sin dall’inizio come terroristi alla stregua dei loro omologhi in Turchia ma che invece hanno stretto una salda alleanza con gli americani per combattere la minaccia dell’Isis mettendo così le basi, secondo il governo turco, per la creazione di uno Stato curdo autonomo. Stretta tra lo Stato turco e il Pkk, la popolazione curda ha assistito negli ultimi mesi a un ritorno di una «guerra», nello stile di quella degli anni 90 che ha fatto ben 40 mila morti.

 

Uno scenario da incubo che potrebbe aver portato il gruppo terroristico a cambiare strategia e colpire per la prima volta anche i civili con l’obiettivo di portare «lo stato di guerra che si vive nel Sud-est anche nell’Ovest del Paese — ha spiegato alla Reuters Aliza Marcus, autrice di Blood and Belief, un libro sulla storia del Pkk —. In Turchia c’è molta rabbia tra i curdi. Centinaia di persone sono state uccise, le città sono state distrutte. È come se il Pkk ora volesse far provare ai turchi la sofferenza dei curdi».

 

Di certo per l’intelligence turca è una grossa sconfitta. L’attentato di domenica, il terzo in cinque mesi nella capitale, insieme con quelli di gennaio nel centro turistico di Sultanahmet a Istanbul e di luglio a Suruc, al confine con la Siria, hanno provocato oltre 200 morti. Qualcosa dovrà cambiare. Il presidente Erdogan, che martedì ha annullato una visita a Baku in Azerbaigian, ha detto che è «necessario ampliare la definizione di terrorismo per includere i sostenitori del terrorismo, che sono ugualmente colpevoli» e ha chiamato il Paese all’unità: « O siete con noi o siete con i terroristi» ha aggiunto.

 

Per la Turchia l’uso delle autobomba è una novità: «Sono attacchi che si vedono in Siria e in Iraq ma non qui da noi» ha detto alla Reuters Metin Gurcan, ex militare turco e analista politico. Secondo gli esperti della sicurezza questo tipo di attentati sono molto difficili da prevenire, anche per l’impossibilità ad aver informazioni di intelligence dalla Siria e dall’Iraq.

 

L’opposizione accusa il governo. «Centinaia di persone hanno perso la vita a causa del terrorismo. Chi è il responsabile?» ha detto il leader del Chp Kemal Kilicdaroglu che ha chiesto le dimissioni del ministro dell’Interno Efkan Ala. E in piazza Taksim, a Istanbul, centinaia di persone si sono radunate per esprimere la loro rabbia al grido di «Erdogan ladro» e sono state disperse dalla polizia a colpi di gas lacrimogeni.

 

Lunedì è stato anche il giorno dei funerali di alcune delle vittime dell’attentato. Tra questi il padre del calciatore del Galatasaray e della nazionale turca Umut Bulut che rientrava a casa dopo aver visto giocare il figlio allo stadio. E sul Web è scoppiata la polemica: «Siete stati Charlie, siete stati Parigi. Perché nessuno piange per Ankara?».

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