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13 gen 2016

 

A Istanbul è stata colpita la Turchia, non l’Europa

di Chiara Cruciati

 

Come in Tunisia e in Egitto, lo Stato Islamico aveva come target un paese sempre tollerante ma che oggi deve mostrare intransigenza per non perdere il treno del negoziato siriano.

 

Roma, 13 gennaio 2016, Nena News –

 

Il giorno dopo l’attentato nel cuore di Istanbul, un massacro avvenuto sotto gli occhi del simbolo della città, la Moschea Blu, si finge normalità. Alcuni turisti girano per la piazza nel quartiere Sultanahmet, altri lasciano fiori. Ma sono pochi. Molte famiglie in vacanza lasciano gli hotel dove avrebbero dovuto trascorrere le vacanze, da fuori chi non è ancora partito cancella la prenotazione.

A morire ieri sono stati 10 turisti (9 tedeschi e un peruviano), oltre all’attentatore, Nabil Fadli, un saudita membro dell’Isis con documenti falsi siriani. Un chiaro attacco ad una delle principali fonti di entrata dell’economia turca, il turismo, che ogni anno fa incassare 30 miliardi di dollari. Non a caso sono stati colpiti dei tedeschi, quelli che più di altri visitano la Turchia (5 milioni di turisti l’anno). Perché un attacco al cuore della città più visitata del paese significa generare il panico tra gli stranieri: la Turchia è pericolosa. Il modello è quello tunisino e quello egiziano, dove il numero di turisti in arrivo è crollato drammaticamente togliendo a due paesi in difficoltà uno degli strumenti per restare a galla. Per questo appaiono sterili i commenti che ieri si moltiplicavano nei media italiani ed europei: l’Isis, ieri, non ha attaccato l’Europa, non ha attaccato “lo stile di vita europeo”. Ha attaccato la Turchia, come prima ha attaccato la Tunisia e l’Egitto.

Il motivo per cui lo Stato Islamico colpisce un paese che ha dimostrato di non volerlo combattere sta negli ultimi sviluppi della strategia regionale del presidente Erdogan. Per anni islamisti di diversi gruppi di opposizione al presidente siriano Assad hanno attraversato il porosissimo confine tra Turchia e Siria senza alcun tipo di problema. Nel sud est kurdo gli attivisti dicevano di sapere bene dove gli islamisti si incontravano, nelle città turche, e come adescavano nuovi adepti. Per mesi, durante la resistenza di Kobane, i kurdi turchi hanno girato e pubblicato video che mostravano con chiarezza gli stretti legami tra la gendarmeria e l’esercito turco e i miliziani islamisti: parlavano tra loro, si salutavano, mentre veicoli e camion attraversavano il confine in entrambe le direzioni. Fino allo scandalo principe che ha punito chi lo ha rilevato: i servizi segreti turchi che consegnavano camioni di armi agli islamisti. Per questo il direttore di Cumhuriyet Can Dündar e il capo redattore Erdem Gül sono in carcere da oltre un mese e rischiano la pena di morte.

Pochi giorni fa il The Guardian pubblicava una serie di documenti sequestrati dalle forze kurde in Siria e datati dicembre 2014-marzo 2015 e che mostravano l’esistenza di una sofisticata rete, gestita dall’Isis al confine turco-siriano, che permetteva il passaggio e il transito da un territorio all’altro. Un vero e proprio “dipartimento d’immigrazione” che produceva documenti e timbri e gestiva il trasporto con compagnie private. Impossibile una simile organizzazione senza che uno dei paesi coinvolti, membro della Nato, non sapesse né vedesse nulla.

Perché ora l’Isis colpisce? Perché ora Ankara è costretta a seguire la coalizione internazionale e ad evitare di suffragare le accuse di complicità con il “califfato” di al-Baghdadi. A luglio, dopo il massacro di giovani turchi a Suruc, Erdogan ha detto di dichiarare guerra all’Isis in Siria. Ha bombardato solo per qualche giorno, poi ha mandato i jet a colpire il PKk, reale obiettivo bellico. Nato e Stati Uniti, però, imbarazzati dal lassismo turco hanno costretto Ankara a prendere misure serie al confine: barriera in costruzione, esercito di vedetta, maggiore attenzione a chi entra e chi esce, basi aeree a disposizione degli aerei della coalizione. Dopotutto ai profughi siriani in fuga dalla guerra civile è molto facile chiudere la porta in faccia, dovrebbe essere altrettanto per i miliziani islamisti.

Ora la Turchia deve dimostrare serietà se non vuole perdere definitivamente il posto al tavolo del futuro negoziato siriano. Tra ieri e oggi sono stati arrestati 68 sospetti membri dell’Isis in tutto il paese, da Ankara a Izmir, da Sanliurfa a Mersin, ulteriore dimostrazione della ramificazione delle cellule islamiste in un territorio che per lungo tempo è stato aperto al passaggio. Tra loro anche tre cittadini russi, considerati collegati all’attentato suicida a Sultanahmet. La polizia ha anche confiscato una serie di documenti e dei cd. Nena News

 

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