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29/03/2016

 

I documenti sui legami fra Ankara e lo Stato islamico

 

Documenti abbandonati dai jihadisti e testimonianze di combattenti catturati rivelano il legame fra Ankara e Daesh in tema di petrolio. I fascicoli riportano nel dettaglio le modalità di trasporto, il valore del greggio venduto e il numero di fattura. Civili costretti a lavorare nelle raffinerie sotto minaccia. Le frontiere turche, spesso sguarnite, favoriscono gli spostamenti dei miliziani.

 

Documenti abbandonati da miliziani dello Stato islamico (SI) in ritirata nel nord della Siria, e ritrovati dai combattenti curdi, uniti alle testimonianze di jihadisti catturati, mostrano le prove del legame fra Turchia e Isis nel commercio del petrolio. A denunciarlo è una inchiesta approfondita di RT, il canale satellitare russo che ha inviato una propria troupe nell’area e ha raccolto testimonianze di prima mano. Le carte sono finite nelle mani delle Unità di protezione popolare (Ypg) nell’assalto alla città di Ash Shaddadi, durante la quale sono stati catturati diversi “foreign fighters” provenienti da Turchia e Arabia Saudita, i quali hanno confermato i rapporti fra Daesh [acronimo arabo dello SI] e Ankara.

Lo Stato islamico ha saputo conquistare in pochi mesi ampie porzioni di territorio in Siria e Iraq, compiendo decapitazioni, omicidi di massa, riduzione in schiavitù di interi gruppi etnici, promuovendo al contempo le proprie gesta sul web attraverso un’abile propaganda. I jihadisti sarebbero implicati anche in attacchi su larga in scala in altri continenti, come testimoniano i fatti di Parigi e, più di recente, Bruxelles.

Analisti ed esperti sottolineano che, accanto a una organizzazione militare di primo livello, vi è al contempo una capacità di movimento e organizzazione impensabile senza l’appoggio logistico e finanziario dall’esterno. Fra i Paesi ritenuti in qualche modo fiancheggiatori dello SI - assieme ad Arabia Saudita e Qatar - vi è proprio la Turchia, che pur dichiarandosi nemica giurata dei jihadisti, nei fatti - e i documenti ne sono la prova - si comporta in tutt’altro modo.

Alcuni dei documenti finiti nelle mani dei combattenti curdi riportano voci dettagliate, compilate dai miliziani dello SI, relative ai proventi del petrolio dei pozzi e delle raffinerie, oltre che il volume totale delle estrazioni. Ciascun fascicolo contiene in cima alla pagina il simbolo dello SI. Ogni voce comprende il nome dell’autista, il veicolo utilizzato, peso del mezzo - vuoto e a pieno carico - oltre che il prezzo di vendita e il numero della fattura. Una di queste è datata 11 gennaio 2016 e rivela che lo SI ha estratto circa 1.925 barili dal pozzo di Kabibah, vendendoli per 38.342 dollari.

Gli autori dell’inchiesta hanno interrogato anche civili della zona, costretti a lavorare per l’industria petrolifera dell’Isis sotto minaccia. “Il greggio estratto - racconta una fonte - veniva portato in una raffineria, per essere trasformato in gasolio e altri prodotti petroliferi”. In previsione della vendita “venivano intermediari da Raqqa e Aleppo [Siria] i quali raccoglievano il petrolio e spesso parlavano della Turchia” come meta finale. Alla voce dei residenti si aggiunge quella di un jihadista, un prigioniero turco, il quale conferma che “il petrolio estratto da Daesh viene venduto in Turchia”. E le quantità sono “tali che le autorità” di Ankara “non possono non esserne al corrente”.

Un combattente curdo ha mostrato una collezione di passaporti prelevati dai cadaveri dei jihadisti uccisi in battaglia. Nelle immagini si vedono miliziani di varie nazionalità, fra cui Bahrain, Libia, Kazakistan, Russia, Tunisia e la stessa Turchia. La maggior parte è entrata nelle aree di guerra di Siria e Iraq passando proprio attraverso i confini turchi, che il più delle volte - a raccontarlo sono gli stessi jihadisti prigionieri - non sono pattugliati e consentono un facile attraversamento.

Del resto è risaputo che la leadership turca del presidente Recep Tayyip Erdogan ha fornito sostengo logistico ai miliziani in lotta contro il presidente Bashar al Assad, o comunque “non ha interferito” nei movimenti trans-frontalieri dei jihadisti. Inoltre, molto del materiale che alimenta la propaganda dello Stato islamico viene prodotto e stampato in aziende sparse sul territorio turco. “La Turchia è il vicino diretto dello SI” e se il governo di Ankara tagliasse i rifornimenti dei miliziani, “l’organizzazione terroristica non potrebbe certo sopravvivere”.

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