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Mercoledì 13 settembre 2017

 

I giovani e il terrorismo in africa

di Marco Cochi

 

Un rapporto di Undp rivela che da Boko Haram ad al-Shabaab, fino ad al-Qaeda nel maghreb islamico, fattori comuni spingono i giovani ad abbracciare il jihad. E che, paradossalmente, chi ha avuto un’educazione religiosa è più resistente al suo richiamo.

 

Negli ultimi sei anni, l’estremismo di tipo jihadista in Africa ha ucciso più di 33mila persone, con il maggior numero di decessi in Nigeria. Ha provocato crisi umanitarie che hanno prodotto lo spostamento forzato di milioni di persone e ha inciso in maniera molto negativa sulle prospettive economiche in tutto il continente.

Lo rileva un nuovo studio del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp) basato su due anni di ricerca e 718 interviste, tra cui 495 testimonianze di giovani reclutati in movimenti armati di questo tipo in Africa, la maggior parte dei quali militava nelle fila di Boko Haram (Nigeria) e al-Shabaab (Somalia).

Il report intitolato Viaggio nell’estremismo in Africa sottolinea che gli attori dello sviluppo dovrebbero essere coinvolti a pieno titolo nella ricerca di soluzioni atte a ridurre i fattori primari che spingono i giovani africani a unirsi ai gruppi radicali islamisti, come la povertà, la marginalizzazione e il sottosviluppo.

Un’altra delle motivazioni principali che ha indotto ben il 71% degli estremisti intervistati a compiere la scelta del radicalismo islamista armato, è riconducibile all’operato del governo e agli abusi di potere, inclusa l’uccisione oppure l’arresto di un familiare o di un amico. Nel contesto africano, questo strumento di coercizione costituisce spesso il “punto di non ritorno”, che spinge le persone ad unirsi a un gruppo terroristico.

Dallo studio emerge, inoltre, che l’83% degli jihadisti ritiene che il governo si occupi solo degli interessi di una ristretta cerchia di persone e più del 75% non ha fiducia nei politici o nell’apparato di sicurezza statale.

Quasi la metà degli intervistati ha spiegato di aver aderito ai gruppi armati per motivi religiosi, ma il 57% ha ammesso di comprendere poco a nulla dei testi religiosi e delle relative interpretazioni, sottolineando che ai fini dell’arruolamento, la frustrazione causata dalla condizione economica ha svolto un ruolo molto più incisivo dell’ideologia religiosa.

L’80% dei 495 ex terroristi intervistati ha dichiarato di essersi unito ai terroristi entro un anno dal primo contatto con loro e quasi la metà di questa larga percentuale ha aderito alle formazioni jihadiste nel giro di un mese, mentre 78 persone hanno riferito di essere state costrette ad unirvisi e 145 hanno dichiarato di non averne mai fatto parte.

È anche interessante rilevare che l’arruolamento dei giovani africani nei principali movimenti estremisti come Boko Haram, al-Shabaab e al Qaeda nel Maghreb islamico è avvenuto principalmente a livello locale su base individuale e non attraverso internet, come avviene in molte altre regioni interessate dal fenomeno.

Il reclutamento si concretizza principalmente attraverso un processo di socializzazione, come dimostra il fatto che il 50% delle persone si uniscono al terrorismo di questo tipo tramite un amico, mentre sono solo il 17% quelle che da sole abbracciano la causa del jihad. E nonostante questo metodo di reclutamento diretto, l’impatto dell’estremismo violento in Africa è molto elevato rispetto alla maggior parte delle altre regioni, ad eccezione del Medio Oriente.

La relazione dipinge un’immagine di individui frustrati ed emarginati sin dall’infanzia, con poche prospettive economiche, praticamente esclusi dalla partecipazione civica e con poco fiducia nella capacità del governo di assicurare i servizi primari e rispettare i diritti umani.

Lo studio rileva inoltre che la maggioranza degli estremisti reclutati dai terroristi provengono da aree remote, comprese le zone di confine che collegano due o più stati. Queste aree, come il Mali settentrionale, la Nigeria nord-orientale e la regione costiera keniana, tendono a subire in modo sproporzionato l’accentuazione del carattere multidimensionale della povertà.

Tra gli altri elementi risultati influenti nel condurre i giovani sulla via dell’estremismo islamista vi sono bassi livelli di istruzione, mancanza di contatti con altre etnie, genitori assenti durante l’infanzia e una minima comprensione dei principi fondamentali dell’Islam. L’agenzia dell’Onu ha infatti riscontrato che la comprensione della religione può rafforzare la resistenza al richiamo del radicalismo, rilevando che un minimo di sei anni di istruzione religiosa riducono di ben il 32% la probabilità di unirsi a un gruppo estremista.

Per questo, lo studio suggerisce di dare eco alle voci dei leader religiosi che sostengono la tolleranza e la coesione, giudicandolo un modo fondamentale per contrastare il reclutamento dei giovani africani nei gruppi jihadisti.

Nelle conclusioni, la lunga disamina rileva che per combattere con efficacia il fenomeno, i programmi di sviluppo devono investire sull’educazione e sui servizi sociali, assicurandosi che gli attori nazionali e internazionali concentrino i loro sforzi sulle aree difficili da raggiungere, con l’obiettivo di creare una sorta di resilienza contro l’estremismo violento.

 

 

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