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martedì 05 settembre 2017

 

Kasai, “la cenerentola delle crisi”

di Marco Cochi

 

Preoccupa il degenerare della situazione umanitaria nella regione congolese del Kasai, dove si concentrano centinaia di migliaia di persone fuggite al locale conflitto e che necessitano di riparo, cibo e assistenza sanitaria. L’ong Oxfam denuncia scarsa attenzione internazionale e carenza di fondi per questa crisi.

 

«La Cenerentola delle crisi», così l’ha definita Oxfam. Stiamo parlando del conflitto che da ormai un anno interessa le province centrali della regione del Gran Kasai (Kasai, Kasai centrale, Kasai orientale), dove più di 920mila persone sono state costrette a fuggire dalle loro case nei primi sei mesi del 2017.

 

La grande rete internazionale di organizzazioni non governative sottolinea che quanto sta accadendo nella regione della Repubblica democratica del Congo (RdC), ha finora richiamato pochi aiuti umanitari e una scarsa attenzione a livello internazionale. Tutto questo, nonostante le persone sfollate dalle zone dei combattimenti siano più del totale dei profughi in fuga dai conflitti in atto in Sud Sudan e nel nord-est della Nigeria.

Il direttore generale di Oxfam, Mark Goldring, ha espresso tutta la sua preoccupazione per il rapido deterioramento della situazione umanitaria e per l’inadeguatezza della risposta della comunità internazionale. Il numero uno della confederazione internazionale ha denunciato che «centinaia di migliaia di persone sono senza casa e affamate, per questo c’è urgente bisogno di un massiccio sforzo di aiuti per ridare loro la speranza. E aggiunge che tra i paesi dove sono in corso grandi crisi umanitarie, solo l’Afghanistan sta attualmente ricevendo meno aiuti del Congo».

Nel 2016, la Rd Congo ha contato più rifugiati della Siria e il numero totale degli sfollati nel paese ammonta a 3,8 milioni, la più grande crisi di spostamento forzato di tutta l’Africa. Il paese ospita anche quasi 500mila profughi provenienti dal Burundi, dalla Repubblica Centrafricana e dal Sud Sudan, mentre oltre 1,5 milioni di persone nel paese sono ridotte alla fame.

Il governo di Kinshasa e la comunità internazionale non sono stati pronti nel dare una risposta all’emergenza, in parte a causa dell’instabilità provocata dalla crisi nella regione. La maggior parte delle persone in fuga dalla guerra non hanno ricevuto alcun aiuto esterno, mentre le comunità locali hanno generosamente cercato di tutelare il più possibile questa moltitudine offrendo il loro modesto aiuto.

Finora le Nazioni Unite hanno erogato meno di 600 milioni di dollari, pari a un quarto degli aiuti necessari per affrontare l’emergenza umanitaria in corso nel Gran Kasai. Senza contare, che la sofferenza della popolazione congolese è aggravata dalla situazione economica e politica del paese.

L’attuale aumento delle violenze in Congo è certamente legato al posticipo delle elezioni da parte del presidente Joseph Kabila, che continua a rimanere forzatamente al potere dopo la fine del suo secondo mandato, scaduto lo scorso 20 dicembre. Una decisione che ha innescato una serie di reazioni violente in tutta la nazione centroafricana, tra cui la ribellione del gruppo separatista Kamuina Nsapu nella regione del Kasai, che attualmente rappresenta la minaccia più grave per Kabila.

Il rinvio del voto e l’impasse politica hanno contribuito all’aumento dell’inflazione e al rallentamento dell’economia. I prezzi dei prodotti alimentari stanno aumentando vertiginosamente e i congolesi hanno sempre più difficoltà ad assicurarsi la sussistenza.

Finora le elezioni non sono state messe in calendario, ma lo scorso 9 maggio è stato formato un governo di “unità nazionale” sotto la guida dell’ex membro dell’Unione per la democrazia e il progresso sociale (Udps), Bruno Tshibala. Una nomina che ha spaccato l’opposizione e rischia ora di sfociare in uno scontro armato tra le diverse fazioni che vogliono la fine del lungo regno dell’irriducibile Kabila.

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