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mercoledì 18 ottobre 2017

 

L’azione terrorista ancora senza un colpevole

di Marco Cochi

 

Nonostante non ci sia stata una rivendicazione ufficiale, in molti ritengono che il terribile attentato del 14 ottobre a Mogadiscio porti la firma del movimento jihadista somalo al-Shabaab.

 

L’attacco terroristico che sabato scorso ha devastato un’estesa area di Hodan, uno dei quartieri commerciali più centrali di Mogadiscio, uccidendo oltre 320 persone, è stato il più grave che ha colpito la Somalia, da quando il gruppo islamista al-Shabaab ha lanciato l’insurrezione antigovernativa all’inizio del 2007.

Finora nessun gruppo ha rivendicato la carneficina di innocenti, ma tutti i sospetti cadono su al-Shabaab. Subito dopo l’attentato, il governo del presidente Farmajo ha attribuito la responsabilità agli estremisti somali, che hanno una lunga storia di attacchi indiscriminati nella capitale.

 

Perché al-Shabaab sarebbe responsabile dell’attentato

Tra le motivazioni che inducono a ritenere al-Shabaab responsabile del massacro c’è il fatto, che il gruppo evita generalmente di rivendicare le sue azioni terroristiche per non danneggiare la propria immagine tra la popolazione somala.

Inoltre, dall’inizio del 2015, al-Shabaab ha attaccato spesso aree di alto profilo di Mogadiscio, tra cui alberghi, posti di blocco militari e le zone vicino al palazzo presidenziale. E ha intensificato la sua offensiva con l’avvio del processo elettorale nell’agosto 2016, proseguendola dopo l’elezione del nuovo presidente Mohamed Abdullahi Mohamed “Farmajo”.

Come riscontro diretto, ci sarebbe la confessione di uomo arrestato sabato scorso a Mogadiscio nel tentativo di far saltare in aria un secondo veicolo pieno di esplosivo. Alcuni funzionari della sicurezza somali hanno dichiarato che il fermato è un elemento della cellula, che ha lanciato l’attacco di sabato scorso. L’uomo avrebbe confermato che al-Shabaab è responsabile del massacro.

Gli stessi funzionari hanno rivelato anche alcuni particolari sulla dinamica dell’attentato, spiegando che l’esplosivo che ha causato la carneficina era stato nascosto sotto il riso, lo zucchero e altre merci trasportate nel camion usato per l’attacco, che peraltro era passato indisturbato a un checkpoint controllato dall’esercito somalo a Sinka Dheer, a circa sette chilometri da Mogadiscio.

Dalle prime indagini, è anche emerso che il vero obiettivo dei terroristi non era l’Hotel Safari, dove è avvenuto l’attentato, ma la vicina sede del ministero degli Esteri.

 

La provenienza dell’esplosivo

Gli inquirenti somali adesso stanno tentando di capire se gli estremisti avessero un infiltrato all’interno delle forze di sicurezza e stanno anche cercando di stabilire la provenienza dell’esplosivo utilizzato dai terroristi.

Le prime notizie confermano che si tratta di esplosivo militare e che potrebbe essere stato sottratto in uno dei recenti assalti di al-Shabaab alle basi dell’Amisom, la missione di peacekeeping dell’Unione africana, che conta più di 20mila effettivi nel paese.

Gli islamisti somali sono stati cacciati da Mogadiscio nel 2011, ma controllano ancora gran parte delle aree periferiche nel sud della Somalia. E secondo Michael Horton, analista capo per le questioni arabe presso la Jamestown Foundation, sono proprio i saldi legami stabiliti dal gruppo in queste zone, che imprimono all’organizzazione terroristica una profondità strategica e la forniscono la capacità di operare in piena autonomia.

Nei fatti, trascorsi più di dieci anni dalla sua affermazione tra i gruppi armati somali, al-Shabaab continua a minacciare la stabilità del paese del Corno d’Africa e a esercitare pressione su gran parte del territorio.

Una pressione che si sta estendendo anche nelle vicinanze di Mogadiscio dopo che lo scorso 14 ottobre i jihadisti somali hanno assunto il controllo della città di Bariire nel Basso Scebeli, conquistando un avamposto a meno di cinquanta chilometri a sud della capitale somala.

 

Una rappresaglia contro i droni americani

Gli analisti ritengono che l’attentato di sabato possa essere stato pianificato come rappresaglia per l’aumento degli attacchi dei droni americani, dopo che lo scorso marzo il presidente Usa Donald Trump, ha ampliato i poteri che consentono al Dipartimento della Difesa Usa di condurre azioni legali contro il gruppo terroristico.

Dall’inizio dell’anno, le forze speciali statunitensi hanno lanciato 15 attacchi aerei contro i capi, i combattenti, i campi di addestramento e le basi logistiche di al-Shabaab, tra cui ben cinque solo nel mese scorso.

Lo scorso 30 luglio, durante uno di questi attacchi nei pressi della città di Tortoroow, una roccaforte di al-Shabaab, è stato ucciso Ali Mohamed Hussein, noto anche come Ali Jabal, responsabile delle operazioni militari contro Mogadiscio e la regione di Banadir.

Dopo l’uccisione del leader jihadista somalo, l’Africom, il Comando delle forze armate degli Stati Uniti per gli interventi nel continente africano, aveva affermato che l’eliminazione di Ali Jabal avrebbe significativamente ridotto la capacità di al-Shabaab di coordinare attacchi nella capitale e nel sud della Somalia. Evidentemente, l’Africom si sbagliava.

 

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