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Mercoledì 08 marzo 2017

 

Punire la violenza sulle donne

di Giulia Bertoluzzi

 

La società civile in Tunisia preme sul parlamento perché concluda l’iter di approvazione di un ampio progetto di legge contro la violenza sulle donne, già approvato dal governo. Ma le resistenze sono ancora forti, in particolare sulle modifiche al Codice dello Statuto Personale.

 

Il Parlamento tunisino sta revisionando il progetto di legge organico di lotta alla violenza contro le donne, adottato dal consiglio dei Ministri il 13 luglio dell’anno scorso. Si è trattato di un passo importante, ma dopo oltre sei mesi la legge è ancora in stand by. 

Secondo un’inchiesta del centro di studi, ricerca, documentazione e informazione sulla donna (Credif), pubblicata nel marzo 2016, il 53,5% delle donne interrogate hanno rivelato di aver subito delle violenze (fisiche, psicologiche o sessuali) tra il 2011 e il 2015.

Sono cifre che parlano da sole, e lasciano intendere la capillarità del problema ed anche la serietà con cui deve essere affrontato a livello nazionale.  

La settimana dell’8 marzo è un’ennesima occasione della società civile tunisina per chiedere al parlamento di velocizzare la revisione e adottare la legge il prima possibile. Dibattiti, conferenze, spettacoli teatrali si alternano e tutte le personalità di spicco nella lotta per i diritti delle donna sono in prima fila. Il 10 marzo si terrà anche l’udienza pubblica dell’Istanza Dignità e Verità (organismo indipendente che fa luce sui crimini della dittatura) sulle violazioni ai danni delle donne. 

“Sono più di vent’anni che ci battiamo per una legge di lotta alla violenza contro le donne”, spiega Halima Jouini, membro della Lega per i diritti umani, organizzazione del quartetto insignito del Premio Nobel per la pace per il suo ruolo nella transizione democratica nel 2015. L’apparizione della legge organica spagnola nel 2004 “è stata di grande ispirazione e da quel momento lavoriamo per avere anche noi una legge organica”. 

L’attuale progetto di legge prevede che ci sia un approccio globale alla questione della violenza contro le donne: dalla prevenzione, alla protezione e presa a carico delle vittime, passando dall’interdizione ai mezzi stampa di veicolare stereotipi di genere che possano incoraggiare violenze e discriminazione. Il progetto di legge prevede inoltre cicli di formazione per il personale medico e sociale, per gli agenti delle forze dell’ordine e per i giudici. 

“Ci sono molti aspetti interessanti in questo testo di legge, come i riferimenti ai diritti umani universali, o alle violenze di tipo economico, definizione di vitale importanza nella Tunisia rurale, ma le lacune sono ancora profonde” spiega Halima Jouini.

 

Un Codice obsoleto

Infatti, il progetto non riesce a trattare alcune tematiche spinose che metterebbero in discussione il famoso Codice dello Statuto Personale, ‘Majalla’ (CSP). Per esempio, le nozioni di “dote” che il marito deve versare alla moglie, un ammontare simbolico che nei fatti diventa la condizione per poter “consumare il matrimonio” e con il quale il marito può soggiogare la moglie. Altro tema molto difficile da toccare è quello dell’ereditarietà femminile, per cui oggi una donna eredita la metà rispetto ad un uomo. 

Il CSP, di cui si è festeggiato il 13 agosto il sessantenario, è il codice promosso dal presidente e padre dell’indipendenza Habib Bourguiba, che ha stabilito le prime aperture alla tutela di alcuni diritti delle donne. “Il così detto femminismo di Stato - dice Monia Ben Jemai, presidente dell’Atfd, Associazione delle donne democratiche - per cui lo Stato si fa garante della protezione dei diritti femminili, se per l’epoca è stato rivoluzionario, in quanto ha eliminato la poligamia e istituito il divorzio, nel 2017 diventa obsoleto e anacronistico”. 

“Il progetto di legge attuale è stato molto disturbato dall’instabilità politica” nel post-rivoluzione, spiega Monia Ben Jemai. “Il primo disegno, promosso dalla ministra Neila Chabaane, era estremamente partecipativo, integrava i ministeri della Salute, della Giustizia, degli Affari Religiosi e degli Affari Sociali”. Si trattava di un progetto ambizioso che, sotto l’esempio della legge quadro spagnola, voleva modificare l’insieme della legislazione discriminatoria contro le donne e in particolare riformare il CSP. 

 

Le prime debacle

I governi successivi hanno invece iniziato a tirarsi indietro di fronte alla mole di lavoro e di ostacoli posti dai partiti più conservatori.

Tutte le riforme delle leggi discriminatorie sono state quindi tolte dal progetto di legge, “sapendo che Ennahda non le avrebbe mai accettate” spiega Ben Jemai, che evidenzia come ci siano priorità urgenti, come avere un sistema di protezione e di rifugio per donne maltrattate, che ad ora non esiste. 

Riformare il CSP si è rivelato ben più complicato del previsto, spiega Khadija Chefer, figura di spicco della società civile ed ex-presidente della Atfd. “Ci sono molti tradizionalisti che pensano che una donna libera possa mettere a repentaglio l’istituzione della famiglia - dice Chefer - e ancora troppi uomini pensano che sia lecito educare la moglie con la violenza”. Il rischio attuale è proprio quello di regredire, per cui “l’esistenza di questa legge è fondamentale”. 

Secondo Halima Jouini dopo tutti questi anni di lotta, la votazione della legge nella settimana dell’8 marzo sarebbe “il più grande regalo che il parlamento possa fare alla società civile tunisina”. I tunisini stanno aspettando da dicembre che il famoso ‘articolo della vergogna’, per cui in seguito ad uno stupro, se il carnefice sposa la sua vittima è assolto da tutte le colpe, sia emendato. Ma se questo articolo è stato trattato con priorità, la società civile preme per la votazione della legge nella sua interezza.

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