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martedì 01 agosto 2017

 

Il dinosauro non molla

di Marco Cochi

 

Il 93enne Robert Gabriel Mugabe, dopo 37 anni passati alla guida dello Zimbabwe, sembra non avere alcuna intenzione di cedere il potere. Il più anziano capo di stato del mondo lo ha ribadito sabato scorso ai media locali, durante un incontro politico organizzato dal partito di governo, Zanu-Pf. 

 

Mugabe sembra sempre più determinato a ripresentarsi alle prossime elezioni presidenziali del luglio 2018, con il sostegno di sua moglie Grace, 51anni, che ha più volte dichiarato che il marito raccoglierebbe voti anche da morto.

La ricandidatura di Mugabe, tuttavia, ha spaccato lo Zanu-Pf (Unione nazionale africana dello Zimbabwe - Fronte patriottico), mentre Grace Mugabe non ha mai nascosto l’ambizione di prendere il posto dell’ultranovantenne consorte, diventando così la prima donna a governare il paese. Per la first lady, però, la strada verso la presidenza, che alcuni sostenevano fosse già spianata, si presenta più difficile e tortuosa del previsto.

La stessa signora Mugabe ha spiegato che nelle alte sfere del partito di governo c’è chi la detesta e fa di tutto per sbarrarle il cammino. Il vecchio leader, però, non ha ancora deciso chi lo sostituirà in seno allo Zanu-Pf, sempre più frammentato da aspre lotte interne per ostacolare o favorire l’ascesa del suo vicepresidente, l’eroe della guerra di liberazione Emmerson Mnangawa.

La settimana scorsa, Grace Mugabe, ha invitato suo marito designare un successore e porre fine alla faida interna a partito. Secondo la first lady, intervenuta nel corso di una riunione della Lega delle donne dello Zanu-Pf, «non c’è nulla di male in un presidente che nomina un successore per permettere a tutti i membri del partito di convergere verso un unico candidato».

Malgrado ciò, il presidente non accenna a dare segni di cedimento e anche lo scorso 21 febbraio, il giorno del suo compleanno festeggiato con una torta di 93 chilogrammi, ha confermato che governerà fino alla sua morte, come aveva affermato nel lontano 1980, quando per la prima volta fu nominato presidente.

Proprio per questo motivo, non si è ancora adoperato a scegliere il suo successore, mentre lo Zanu-Pf deve tenere conto dell’avanzata di altri diciotto partiti e i movimenti di cittadini, spesso trainati dai gruppi di studenti.

In un recente articolo pubblicato sul sito dell’Austrian Economics Center, l’esperta di questioni africane Teresa Nogueira Pinto descrive tre scenari possibili dopo la morte di Mugabe: l’ascesa al potere dell’attuale vicepresidente Emmerson Mnangagwa, che porterebbe delle riforme; la vittoria di Grace Mugabe, che provocherebbe una grave crisi politica; l’implosione dello Zanu-PF, che trascinerebbe il paese nel caos.

 

50 milioni di dollari in viaggi all’estero

Nella prima decade di luglio, Robert Mugabe si è recato a Singapore per la terza volta dall’inizio dell’anno. Nella città-stato si è sottoposto a nuove cure mediche suscitando le aspre critiche dell’opposizione, che lo accusa di governare l’ex Rhodesia del Sud da un letto d’ospedale.

Lo scorso anno, Mugabe ha speso più di 50 milioni di dollari (42 milioni e 605 mila euro) per viaggi all’estero, una cifra che, secondo i dati del ministero del Tesoro dello Zimbabwe, corrisponde a più del doppio della somma stanziata per la riqualificazione degli ospedali e dei centri di salute del paese, e ai 30 e 32 milioni di dollari assegnati rispettivamente al Parlamento e al ministero degli Affari esteri.

Le iperboliche spese sostenute dal presidente per le sue trasferte estere, costituiscono un paradosso in un paese schiacciato da una grave crisi economica, dove, come rilevato lo scorso aprile dal Financial Times, la realtà è ben diversa da quella descritta dalla propaganda di governo.

Per il quotidiano britannico, la prova della gravità della situazione è rappresentata dal fatto che il bestiame è ormai usato come moneta di scambio, un evidente segno della disperazione che regna nel paese dell’Africa australe, dove la disoccupazione è arrivata al 95%.

Senza dubbio, un uomo di 93 anni, chiunque esso sia, non può fornire delle risposte a una situazione così drammatica e la propaganda, che è all’origine dei problemi, non potrà diventare la soluzione.

 

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