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16 novembre 2017

 

Zimbabwe, la parabola del dittatore Robert Mugabe

di Carlo Terzano

 

La repressione contro omosessuali e oppositori. L'influenza della moglie Grace. I rapporti col Vaticano. E quello con i guerriglieri. Ascesa e caduta del presidente, finito nelle mani dei militari.

 

Un vecchio cable di Wikileaks del 2011 lo dava gravemente malato di cancro alla prostata. Lui stesso, anni fa, era apparso in televisione per dichiarare: «Questo è il mio territorio e ciò che è mio me lo tengo fino a quando sarò in vita». A quel tumore Robert Mugabe, dittatore dello Zimbabwe, è sopravvissuto ma, stando alle cronache di questi giorni, ha dovuto arrendersi comunque a cedere le redini del Paese che teneva ben strette in mano dal 1987, finito com'è sotto la custodia dei militari che hanno preso il comando delle operazioni. Prima di diventare presidente, Mugabe ricoprì la carica di primo ministro per sette anni dal 1980, traghettando il Paese nella difficile fase che seguì l'indipendenza dal Regno Unito. Nel 1987 ricevette dal popolo della Repubblica dello Zimbabwe un mandato praticamente a vita, anche se i tentativi - democratici e non - di detronizzarlo non sono mancati. Vani, almeno fino a oggi.

 

1. Il dittatore quasi centenario: vietato parlare di successione

Con i suoi 93 anni e mezzo, Mugabe era il capo di Stato più anziano al mondo e, formalmente, lo è ancora dato che resta in carica. Fino all'arresto del 14 novembre 2017 non aveva mai mostrato alcuna intenzione di ritirarsi. Quando, nel 2016, in occasione dell'intervista concessa annualmente per il suo compleanno (giorno di festa per tutta la nazione), un giornalista della televisione di stato osò domandargli se stesse pensando a un suo successore, il vecchio Mugabe ruggì: «Per caso vuole che le dia un pugno per accorgersi che sono ancora qui?» Aggiungendo: «La successione non fa parte della nostra cultura repubblicana. La mia carica non è un’eredità: in un partito democratico di un Paese democratico non si stabilisce chi sia il leader in questo modo. Deve essere scelto dalle persone».

 

2. Il ruolo della first lady: Grace era sempre più influente

In realtà, i dissidenti mormorano che Mugabe avesse intenzione di nominare pubblicamente il suo successore prima delle elezioni del 2018. Formalmente era in corsa ma, se vi avesse partecipato, il mandato sarebbe scaduto poco prima dei suoi 100 anni. Per questo, con ogni probabilità, al suo posto avrebbe dovuto presentarsi la moglie Grace, di 40 anni più giovane. La donna seguiva il presidente come un'ombra in tutti gli incontri politici e, dal 2014, aveva iniziato anche a sostituirlo con maggiore frequenza, il che l'aveva resa invisa agli alti gerarchi dell'esercito e dell'unico partito del Paese, l’Unione Popolare Africana dello Zimbabwe, che speravano di potersi presto candidare alla presidenza. Il 4 marzo del 2016, il ministro Chris Mutsvangwa era stato sospeso dal partito di governo con l'accusa di avere mancato di rispetto alla first lady. Molti sostengono che, nell'ultimo periodo del suo lungo regno, Mugabe fosse diventato una marionetta nelle mani della donna.

 

3. L'aggressione di Grace alla modella: il Sudafrica insabbiò la vicenda

Anche Grace si comportava come un vero e proprio tiranno. Nel luglio 2017, in occasione di un viaggio di Stato dei due consorti in Sudafrica per partecipare alla conferenza della Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale, la first lady si rese protagonista di una misteriosa aggressione ai danni della 20enne Gabriella Engels. La ragazza, modella piuttosto nota nel Corno d'Africa, apparve alla stampa visibilmente scossa e con un grosso cerotto sulla fronte: ai giornalisti raccontò di essere stata malmenata da Grace Mugabe mentre si trovava in una camera d'albergo in compagnia dei due figli della coppia presidenziale. Secondo la vittima, Grace non si limitò a picchiarla, ma avrebbe anche tentato di strozzarla usando il cavo di un telefono. A nessun giudice venne però concesso di accertare i fatti perché il Sudafrica scelse di insabbiare velocemente la faccenda, concedendo alla first lady l'immunità diplomatica.

 

4. I rapporti diplomatici: Mugabe bandito da Usa e Ue, ma accolto dal Vaticano

Nonostante Unione europea e Stati Uniti abbiano apposto sul passaporto del Presidente il timbro “persona non grata” (ovvero non gradita, formula latina per indicare i Capi di Stato che finiscono nella lista nera di altre diplomazie), il 20 ottobre 2017 l’Organizzazione Mondiale della Sanità, agenzia dell’Onu che si occupa di salute e medicina, aveva proposto di nominarlo “ambasciatore di buona volontà”. Date le proteste di molteplici organizzazioni umanitarie, l'Oms ha fatto poi marcia indietro. Fino alla sua deposizione, Mugabe intratteneva invece ottimi rapporti con lo Stato del Vaticano. Vi si recò, nonostante l'embargo dell'Unione europea, in occasione dei funerali e della cerimonia di beatificazione di Giovanni Paolo II. Tant'è che, nel 2011, l’euro-parlamentare socialista Veronique De Keyser presentò un’interrogazione ex art. 117 del Regolamento alla Commissione europea chiedendo chiarimenti sul caso.

 

5. Una storia di repressioni: contro omosessuali, minoranze e oppositori politici

Nel 2015, all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite a New York, Mugabe rifiutò di introdurre nel suo Stato diritti a tutela degli omosessuali sulla base dell'affermazione che «nello Zimbabwe non siamo gay» e che tali disposizioni sarebbero risultate «contrarie ai valori, alle norme, alle tradizioni e al credo» dello Stato africano. Il presidente è sospettato di avere violato il diritto internazionale in più occasioni, perseguitando le minoranze etniche presenti nel Paese e soffocando nel sangue le proteste politiche della sparuta opposizione. Sebbene non ci siano accuse ufficiali, sarebbe stato Mugabe a ordinare la messa in stato di arresto del suo principale oppositore, l'ex primo ministro Morgan Tsvangirai, che alla stampa dichiarò di essere stato torturato. Dopo le Politiche del 2013, Mugabe apparve in televisione per ammonire i dissidenti: «Chi non riconosce la mia vittoria e non riesce a digerire la sconfitta può suicidarsi: nemmeno i cani annuseranno le loro carcasse».

 

6. La "politica" economica: generosi emolumenti ai guerriglieri

Secondo i dissidenti, Mugabe avrebbe affamato di proposito il proprio Paese e, aspetto peggiore, avrebbe intercettato gli aiuti internazionali a sostegno della popolazione. Sul finire degli Anni 90, Mugabe espropriò le terre degli ex coloni britannici ordinandone la redistribuzione. Non riuscì però a gestire il passaggio e la produzione agricola dell'ex granaio d'Africa crollò. Per arginare la crisi e finanziare i numerosi conflitti bellici cui il Paese partecipava, il presidente ordinò di stampare moneta a ritmo serrato. Non solo: per molti anni Mugabe fu ostaggio dei guerriglieri dello Zanla, lo Zimbabwe African National Liberation Army, che tenne faticosamente a bada elargendo generosi emolumenti e pensioni. Anche questa attività venne finanziata stampando fiumi di cartamoneta

 

7. L'emergenza socio-sanitaria: un Paese piegato da crisi e Aids

Negli Anni 2000 l'inflazione arrivò a livelli tali che Mugabe ordinò alla Banca Centrale di emettere banconote da 100 mila miliardi di dollari dello Zimbabwe. Quando, nel giugno del 2015, il Paese si arrese alla fame e abbandonò la propria moneta per il dollaro americano, ogni singola banconota da 100 mila miliardi poteva essere cambiata in 40 centesimi statunitensi. I 175 milioni di miliardi in circolazione nel Paese vennero commutati in 5 dollari americani. Dopo il passaggio da una valuta all'altra, si scoprì che nelle casse statali erano rimasti appena 217 dollari. Mugabe lascia dietro di sé una nazione piegata dalla crisi economica e dall'Aids (oltre un quarto della popolazione ne è affetto).

 

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