Tratto da: Arianna Editrice

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Nov 06, 2017

 

Agonia del dollaro?

di F. William Engdahl

traduzione di Paolo Di Remigio

 

Il sistema monetario internazionale, nato a Bretton Woods nel 1944 e sviluppatosi fino al presente, è divenuto, detto onestamente, il più grande intralcio alla pace e alla prosperità mondiali. Ora la Cina, sempre più sostenuta dalla Russia – le due grandi nazioni euroasiatiche – sta facendo passi decisivi per creare un’alternativa praticabile al dispotismo del dollaro sul commercio e sulla finanza mondiale. Wall Street e Washington non ne sono contenti, ma non hanno il potere di fermarla.

 

Poco prima della fine della seconda guerra mondiale, il governo statunitense, consigliato dalle principali banche internazionali di Wall Street, disegnò ciò che molti credono erroneamente essere un nuovo gold standard. In verità, era un dollar standard, nel quale tutti gli altri membri valutari del Fondo Monetario Internazionale fissarono il valore della loro valuta in dollari; in cambio il dollaro USA fu fissato all’oro per un valore di 1/35 di un’oncia d’oro.

 

Al tempo Washington e Wall Street poterono imporre tale sistema perché la Federal Reserve deteneva più del 75% di tutto l’oro monetario mondiale come conseguenza della guerra e dei relativi sviluppi. Bretton Woods impose il dollaro che divenne poi la valuta di riserva del commercio mondiale detenuta dalle banche centrali. Alla fine degli anni ‘60, con i crescenti deficit del bilancio federale statunitense per i costi della guerra in Vietnam e per altre spese folli, il dollar standard iniziò a mostrare i suoi profondi difetti strutturali. Un’Europa occidentale e un Giappone in ripresa non avevano più bisogno di miliardi di dollari per finanziare la ricostruzione. La Germania e il Giappone erano divenuti economie di esportazione di livello mondiale con un’efficienza superiore all’industria statunitense, a causa della crescente obsolescenza delle industrie statunitensi di base, dall’acciaio alle auto, e delle infrastrutture di base.

 

Per correggere il crescente squilibrio del commercio mondiale, Washington avrebbe allora dovuto svalutare parecchio il dollaro rispetto all’oro. Questa svalutazione del dollaro avrebbe aumentato le entrate delle esportazioni delle imprese USA e ridotto gli squilibri commerciali. Sarebbe stata una spinta gigantesca all’economia reale; ma per le banche di Wall Street avrebbe significato perdite gigantesche; così le amministrazioni di Nixon e di Johnson stamparono più dollari e in effetti esportarono inflazione nel mondo. Le banche centrali, specialmente quelle di Francia e Germania, reagirono alla sordità di Washington chiedendo alla Federal Reserve oro a 35 $ per oncia in cambio delle loro riserve di dollari, come stabilito dall’accordo di Bretton Woods. Nell’agosto 1971 l’acquisto di oro con i dollari inflazionati aveva raggiunto un punto di crisi tale che l’alto funzionario del Tesoro, Paul Volcker, consigliò Nixon di distruggere il sistema di Bretton Woods. Nel 1973 Washington lasciò che l’oro fosse scambiato liberamente e non fosse più la base di un dollaro affidabile. Anzi, nell’ottobre 1973 uno choc ben architettato del prezzo del petrolio, che nel giro di pochi mesi lo aumentò di oltre il 400%, creò ciò che Henry Kissinger chiamò poi il petro­dollaro.

 

Il mondo aveva bisogno di petrolio per l’economia. Accordandosi nel 1975 con la monarchia saudita, Washington stabilì che l’OPEC araba rifiutasse di vendere una sola goccia del suo petrolio per qualunque valuta diversa dal dollaro. Il valore del dollaro salì rispetto alle altre valute, come il marco tedesco o lo yen giapponese. Le banche di Wall Street furono inondate di depositi di petrodollari. Il casinò dollaro era aperto e in attività, e il resto del mondo stava per essere spennato. […]

 

Oggi il dollaro è, per dirla con dolcezza, un fenomeno strano. Dal 1971 gli Stati Uniti si sono trasformati da principale nazione industriale in un gigantesco casinò speculativo gonfio di debiti. Con i tassi di interesse dei fondi FED tra lo zero e l’uno per cento da nove anni – senza precedenti nella storia moderna – le maggiori banche di Wall Street, quelle la cui condotta finanziaria illecita e la cui avidità criminosa avevano creato la crisi dei subprime del 2007 e il suo tsunami finanziario globale del 2008, hanno iniziato a costruire una nuova bolla speculativa. Anziché prestare alle città cariche di debiti per le infrastrutture urgenti o per altri impieghi produttivi nell’economia reale, hanno creato un’altra bolla colossale nel mercato azionario. Le principali compagnie hanno usato credito a buon mercato per ricomprare le proprie azioni, stimolando così i prezzi delle azioni nella borsa di Wall Street, un rialzo nutrito dalla pubblicità e dai miti della ‘ripresa economica’. L’indice azionario S&P-500 è salito del 320% dalla fine del 2008. Posso assicurarvi che questi rialzi azionari cartacei non sono avvenuti perché l’economia reale statunitense sia cresciuta del 320 %.

 

Da decenni, ogni anno le famiglie americane guadagnano meno in termini reali: dal 1988 il reddito mediano delle famiglie è stato stagnante con l’inflazione in aumento costante – un reddito reale declinante. Esse devono indebitarsi come non mai nella storia. […] L’industria americana è stata chiusa e la produzione spedita all’estero – ‘outsourced’ è l’eufemismo. Tutto ciò che resta è un’”economia dei servizi” marcia, altamente indebitata, in cui milioni lavorano part-time in due o tre posti solo per tenersi a galla. Il solo fattore che trattiene il dollaro dal collasso totale è la forza militare statunitense e il dispiegamento ovunque di ONG ingannevoli per facilitare il saccheggio dell’economia mondiale.

 

Finché gli sporchi trucchi di Washington e le macchinazioni di Wall Street sono stati in grado di creare crisi come hanno fatto nell’Eurozona nel 2010 attraverso la Grecia, paesi in surplus nel commercio mondiale come Cina, Giappone e poi Russia non hanno alternativa pratica se non comprare più debito pubblico USA – titoli del Tesoro – con la massa del loro avanzo commerciale in dollari. Washington e Wall Street sorridono; possono stampare volumi infiniti di dollari non sostenuti da nulla di più prezioso degli F-16 e dei carri armati Abrams. Nel comprare il debito USA, Cina, Russia e altri detentori di obbligazioni in dollari hanno in realtà finanziato le guerre USA dirette contro di loro. Allora avevano poche opzioni alternative praticabili. Ora, ironicamente, due delle economie estere che hanno permesso al dollaro l’allungamento della sua vita artificiale oltre il 1989 – Russia e Cina – stanno svelando cautamente questa temutissima alternativa: una valuta internazionale sostenuta dall’oro e, potenzialmente, parecchie valute simili che possono sostituire l’attuale ingiusto ruolo egemonico del dollaro.

 

Per parecchi anni sia la Federazione russa che la Repubblica Popolare Cinese hanno comprato enormi quantità d’oro, da aggiungere in gran parte alle riserve valutarie delle loro banche centrali, che altrimenti sono in dollari o in valute europee. Finché recentemente non è diventato chiaro perché. Per parecchi anni era noto nei mercati d’oro che i più grandi compratori di oro fisico erano le banche centrali di Cina e Russia. Ciò che non era tanto chiaro era quale riposta strategia esse avessero, oltre la semplice creazione di fiducia nelle loro valute minacciate da crescenti sanzioni economiche e da dichiarazioni bellicose di guerra commerciale da parte di Washington. Ora è chiaro perché. Cina e Russia, insieme probabilmente ai paesi loro maggiori partner commerciali dei BRICS (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica), come pure ai loro partner euroasiatici dell’Organizzazione di Shanghai per la Cooperazione (SCO) sono sul punto di completare l’architettura funzionante di una nuova alternativa monetaria al mondo del dollaro.

 

Al presente, oltre ai membri fondatori Cina e Russia, i membri effettivi della SCO includono Kazakistan, Kyrgyzstan, Tagikistan, Uzbekistan, e più recentemente India e Pakistan. È una popolazione di più di 3 miliardi di persone, circa il 42 % dell’intera popolazione mondiale, che si associa in una cooperazione politica ed economica coerente, pianificata e pacifica. Se ai paesi membri della SCO aggiungiamo gli Stati osservatori ufficiali – Afghanistan, Bielorussia, Iran e Mongolia, Stati con espresso desiderio di associarsi formalmente come membri pieni, uno sguardo alla carta geografica mostrerà le potenzialità impressionanti dell’emergente SCO. La Turchia è un interlocutore formale che esplora la possibile applicazione dell’appartenenza alla SCO, come lo sono Sri Lanka, Armenia, Azerbaijan, Cambogia e Nepal.

 

Tutto questo, detto semplicemente, è enorme. Fino a tempi recenti i think tank di Washington e il governo hanno disprezzato le istituzioni euroasiatiche emergenti come la SCO. A differenza del BRICS, che non è composto di paesi contigui in una vasta massa di territorio, il gruppo SCO forma un’entità geografica chiamata Eurasia. Quando a un incontro in Kazakistan nel 2013 il presidente cinese Xi Jinping ha proposto la creazione di quella che allora è stata chiamata la ‘via della seta della nuova economia’, pochi in occidente l’hanno presa sul serio. Oggi il nome ufficiale è ‘Belt, Road Initiative’ (BRI, Iniziativa per la cintura stradale’). Oggi il mondo inizia a prendere seriamente atto dello scopo della BRI. È chiaro che la diplomazia economica della Cina, come della Russia e del suo gruppo di paesi dell’Unione Economica Euroasiatica, verte soprattutto sulla realizzazione di ferrovie avanzate ad alta velocità, porti, infrastrutture per l’energia, che insieme intrecciano un nuovo vasto mercato tale da eclissare, entro meno di un decennio al ritmo attuale, ogni potenzialità economica nei paesi OECD economicamente stagnanti e gonfi di debiti della UE e del Nord America.

 

Ciò che finora era di necessità vitale, ma non chiaro, era una strategia per liberare le nazioni dell’Eurasia dal dollaro e dalla loro vulnerabilità a nuove sanzioni del Tesoro USA e alla guerra finanziaria basata sulla loro dipendenza dal dollaro. Questo sta per succedere. […] Secondo un articolo nella Japan Nikkei Asian Review, la Cina sta per lanciare un contratto future per il petrolio greggio denominato in yuan cinesi che sarà convertibile in oro. Questo, se combinato con altre mosse cinesi negli ultimi due anni per diventare un’alternativa praticabile a Londra e a New York, diventa realmente interessante. La Cina è il più grande importatore mondiale di petrolio, gran parte del quale è ancora pagato in dollari USA. Se ottiene ampia accettazione, il nuovo contratto future in yuan per il petrolio potrebbe diventare il più importante riferimento per il petrolio greggio basato sull’Asia, dato che la Cina è il più grande importatore mondiale di petrolio. Questo potrebbe sfidare i due contratti di riferimento per il petrolio dominati da Wall Street, i contratti future North Sea Brent e West Texas Intermediate, che finora hanno dato a Wall Street enormi vantaggi nascosti.

 

Sarebbe eliminata dalla Cina e dai suoi partner petroliferi, inclusa in particolare la Russia, una delle più grosse leve di manipolazione. […] La Cina è oggi il più grande produttore mondiale di oro, molto più avanti del Sudafrica, esso stesso membro dei BRICS, con la Russia come numero due. La Cina ha ora creato un vasto centro di deposito nella zona cinese di libero commercio di Qianhai, vicino a Shenzhen, la città di circa 18 milioni di abitanti immediatamente a nord di Hong Kong sul delta del Fiume delle Perle. […] Inizia a diventare chiaro perché alla fine del 2014 una falsa ONG di Washington come la National Endowment for Democracy abbia tentato, senza successo, di suscitare a Hong Kong una rivoluzione colorata anti Beijing, la rivoluzione degli ombrelli. Ora aggiungere il nuovo contratto future per il petrolio scambiato in Cina in yuan garantiti dall’oro porterà a un cambiamento drammatico tra i membri chiave dell’OPEC, anche in Medio Oriente; preferire per il loro petrolio yuan garantiti dall’oro ai dollari USA inflazionati comporta un rischio geopolitico, come ha sperimentato il Qatar in seguito alla visita di Trump a Riad qualche mese fa.

 

Da notare che il gigante petrolifero di Stato russo Rosneft ha appena annunciato che la compagnia petrolifera cinese di Stato CEFC China Energy Company Ltd. ha appena acquisito dal Qatar la quota del 14% di Rosneft. Tutto inizia a ingranare in una strategia molto coerente.

 

L’impero del dollaro è in una penosa agonia mortale e i suoi patriarchi sono in uno stato di negazione della realtà, altrimenti noto come presidenza Trump. Intanto gli elementi più sani di questo mondo stanno costruendo alternative positive, pacifiche. Sono anche disposti ad ammettere che Washington si unisca a loro sotto regole oneste. Non è evidentemente generoso?

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