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17 settembre 2017

 

L’Inferno del miracolo tedesco

di Claudio Conti - Olivier Cyran 

 

Nessuno può tenere da solo sotto controllo quel che accade di rilevante nel mondo. Molti dei mutamenti strutturali, inoltre, appaiono controluce quando si comincia a sgranare una condizione individuale che si rivela ben presto universale. Anche perché il peggio del peggio, nella nuova subordinazione schiavistica dei lavoratori, non viene presentato dal potere nella sua “crudezza”, ma come un “aiuto”, un “supporto”, un “incentivo” o altre mille espressioni rassicuranti partorite dagli esperti della “comunicazione”.

Una sintesi davvero notevole dei meccanismi più perversi presenti sul nuovo “mercato del lavoro europeo” viene offerta da questo articolo, meritoriamente ripreso e tradotto da Voci dall’estero. Parla della Germania e della povertà assoluta dei “nuovi lavoratori” tedeschi. Ma non serve un grande sforzo per vedere la stessa tessitura dispotica che struttura le “riforme del lavoro” avvenute in Italia e in Grecia, e quelle che Macron vuole imporre senza alcuna mediazione sociale in Francia.

Gli analisti “da fuori”, tra cui anche noi, avevano certamente colto molte conseguenze delle “riforme Hartz” sul mercato del lavoro tedesco; precarietà, bassi salari, formazione di una generazione di lavoratori poveri schiacciata sui “mini jobs”, ecc. Quel che viene aggiunto da questo contributo è il carattere costrittivo violento, intimidatorio, intrusivo del meccanismo istituzionalizzato del workfare sperimentato in Germania e di lì in via di diffusione tutta l’Unione Europea. Un sistema che non conosce limiti (“Alla fine del 2016, per esempio, il Jobcenter di Stade, nella Bassa Sassonia, ha inviato un questionario ad una disoccupata nubile e in attesa di un figlio, chiedendo di divulgare l’identità e la data di nascita dei suoi partner sessuali”) e che pretende di “mettere a valore” (o computare come “reddito”) qualsiasi relazione umana.

Un sistema che colpevolizza il povero e il disoccupato, facilitato certamente dalle contorsioni della lingua (debito e colpa, in tedesco, sono com’è noto identificati con il termine schuld, che significa anche obbligo e delitto) e disegna consapevolmente una società in cui la maggioranza dei “faticatori” non ha diritto di parola né rispetto, introietta la “colpa” per la propria povertà e si ritira dalla scena pubblica. 

Verrebbe la tentazione di definirlo un sistema “nazista”, ma sarebbe un grave errore. Il nazismo hitleriano si fondava infatti sul consenso interno comprato con salari alti (un keynesismo “molto autoritario”, ebbe a dire lo stesso Keynes), per costruire una potenza economica che andava poi a conquistare i mercati altrui con la violenza militare e la sottomissione criminale di altri popoli considerati “inferiori”.

Il “modello mercantilista” attuale, fatto proprio dalla Ue, si fonda invece sui salari da fame – quelli garantiti dai “mini-jobs” sono già inferiori ai salari cinesi – su cui si scarica tutto il margine di “competitività” di merci che, nei restanti “fattori della produzione”, sono condizionate ferreamente dai prezzi internazionali di materie prime ed energia. Questo modello esporta merci e condizioni del mercato del lavoro, senza l’accompagnamento di carri armati (almeno per ora).

Un modello che sconta anticipatamente gli effetti a medio termine della “disoccupazione tecnologica” anche all’interno del proprio paese e “prepara” dunque una massa di lavoratori dequalificati e flessibili, chini e disponibili per qualsiasi mansione (dal lavoro operaio al sexy shop), scandagliati in ogni aspetto della propria vita privata per scovarvi ulteriori possibilità di riduzione del salario (l’esatto contrario di quel che avevano capito, per esempio, i “negriani”, secondo cui ogni comportamento individuale sarebbe “produttivo di valore”).

Un modello che sembra meno nazionalistico di quello hitleriano ma che si va estendendo su tutto il continente (anche se, nell’attuale cultura delle classi dirigenti tedesche, non giureremmo che le “cicale meridionali” siano oggi escluse dal novero dei “popoli inferiori”…) con la forza del potere economico, il quadro giuridico dei trattati europei e le formule retoriche messe a disposizione dai socialdemocratici (come in Italia col Pd e in Francia con i “socialisti”, da Hollande a Macron).

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