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8 maggio  2017

 

La grande divisione: il ritorno del nazionalismo 

di Patrick Cockburn

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Improvvisamente il mondo è pieno di leader, da Theresa May al Presidente Erdogan della Turchia che affermano di unire i loro paesi mentre chiaramente rendono più profonde le loro divisioni. Le denunce di ipotetiche minacce in patria e all’estero, sono una caratteristica comune di questo nuovo stile politico, sia che vengano twittati dalla Casa Bianca che comunicati a voce dal podio di Downing Street  n. 10.

“Minacce contro la Gran Bretagna sono state pronunciate da politici e funzionari europei” ha detto la May questa settimana, accusando di cercare deliberatamente di influenzare i risultati dell’elezione generale dell’8 giugno. Tutto questo sembrava molto simile a Hillary Clinton convinta che la Russia aveva contribuito a farle perdere l’elezione presidenziale, anche se, nel caso della Gran Bretagna, qualsiasi calcolo di quel genere è molto improbabile, data la comune supposizione europea che la Signora May avrà una vittoria schiacciante.

Difendere la madrepatria contro gli schemi malvagi degli stranieri, è uno stratagemma politico che è stato attuato innumerevoli volte fin dall’età di Pericle, ma il suo impatto dipende dal contesto politico in cui viene usato. Al momento è particolarmente distruttivo, dato che il nazionalismo etnico che riafferma se stesso come veicolo delle lagnanze e della rivalità tra stati nazione differenti sta raggiungendo nuove altezze. I leader nazionalisti populisti da Manila, Varsavia, a Washington promettono più di quanto possano dare e cercano capri espiatori in patria e all’estero da incolpare quando le cose vanno storte. Il nazionalismo ha sempre avuto bisogno di minacce vere o inventate per sovraccaricare la solidarietà comunitaria.

In un’epoca di stati nazione rinvigoriti, il nazionalismo inglese è più pericoloso di quello che sembra. Sostituisce un nazionalismo più vago e più inclusivo, spostando i rapporti dell’Inghilterra con la Scozia e l’Irlanda del Nord. Potrebbe certo essere che la Scozia non diventerà indipendente o che l’Irlanda del Nord si unirà con la Repubblica Irlandese, ma queste opzioni sono già sufficientemente fattibili da preoccupare lo stato britannico.

Un elemento distruttivo nel nazionalismo inglese viene raramente identificato. La gente in Inghilterra comprensibilmente non sopportano il modo in cui il loro nazionalismo che considerano semplicemente come una difesa per i loro interessi, venga condannato come razzista e sciovinista quando al nazionalismo scozzese e irlandese  (o, se è per questo, il nazionalismo algerino e vietnamita) si dà libero accesso come lodevole perseguimento di libertà e di autodeterminazione.

C’è qualcosa in questo, ma c’è una differenza tra il nazionalismo dei paesi deboli, la cui storia è una storia di conquista e di occupazione, e il nazionalismo di nazioni più grandi e più forti che hanno fatto conquiste e occupazioni. Paesi più piccoli o comunità sotto attacco giocano sempre una mano più debole di carte politiche  rispetto ai loro rivali, e non possono fare ciò che vogliono, ma questo ha il vantaggio di dare loro una buona comprensione delle realtà del potere.

Però, paesi come gli Stati Uniti, la Gran Bretagna, la Francia e la Russia che hanno un passato imperiale, possiedono un senso meno preciso di ciò che è fattibile e di ciò che non lo è. Il loro nazionalismo è colorato di miti  auto-giustificativi sulla loro superiorità e sull’inferiorità di altri. Questo non è soltanto sgradevole, ma reca i semi della frustrazione e della sconfitta. L’Impero Britannico, ha sottovalutato fatalmente

la resistenza degli Afgani e dei Boeri nel 19° secolo e quella degli Irlandesi, degli Indiani e dei Greco Ciprioti, tra  gli altri, nel secolo 20°.

Si potrebbe vedere la stessa arroganza auto-distruttiva  in atto più di recente in Iraq dopo il 2003 e in Afghanistan dopo il 2006. L’opinione pubblica in patria non ha mai

accettato  la portata del fallimento britannico là fosse più completa di quella degli americani. In Iraq, le forze britanniche hanno finito con il firmare un accordo umiliante con una milizia sciita. Non è stata appresa nessuna lezione dalla sconfitta, come la promessa  superficiale di Boris Johnson di unirsi agli Stati Uniti nell’attaccare il presidente Assad.

Molte di queste minacce di guerra nella settimana scorsa, fanno semplicemente parte dello sforzo di lunga data della Gran Bretagna prima del 1940 per dimostrare la sua prolungata utilità come principale alleato straniero degli Stati Uniti. Ma qui di nuovo sta cambiando il panorama politico in un modo che non si vedeva fin dal crollo dell’Unione Sovietica nel 1991. La leadership internazionale sotto Donald  Trump è “mutevole e imprevedibile”, e la Gran Bretagna deve ripensare le sue politiche in Medio Oriente, secondo un rapporto di questa settimana del comitato scelto della Camera dei Lord per le relazioni internazionali. Il suo presidente, l’ex ministro del Gabinetto Conservatore, Lord Howell, dice che “in un mondo meno automaticamente dominato dagli Stati Uniti che sostengono la sicurezza nella regione, non è più giusto avere una linea in ogni fase di “se soltanto andremo d’accordo con gli Stati Uniti, tutto andrà bene”.

Questo è tutto molto vero, ma non dà una risposta alle domande:  la Gran Bretagna, se non andrà  sulle  spalle della potenza militare americana, avrà o no l’inclinazione e le risorse di svolgere un ruolo più indipendente?

Ci sono altri dubbi sul quanto tempo il potere e l’influenza britannica sopravvivranno al dopo-Brexit. Non molti elettori favorevoli all’uscita dall’UE avranno veramente creduto nelle espressioni di lode di Shakespeare sull’Inghilterra “pietra preziosa incastonata nel mare d’argento”. Però i proponenti della Brexit sono stati sempre

sprezzanti rispetto a dove la Gran Bretagna al di fuori dell’UE si porrebbe in un mondo che sta diventando sempre più instabile. Appelli di vari gradi di sofisticazione rispetto allo spirito degli anni’40, dimenticano che la vittoria britannica nelle guerre napoleoniche ed entrambe le guerre mondiali erano dipese dalla Marina Reale e dallo sviluppo  di una rete di alleanze con altre potenze. Avendo   respinto l’Europa, questa seconda  strategia sarà molto difficile da perseguire. Già la May, Johnson e svariati reali si sono mossi freneticamente per vedere alleati sgradevoli in Arabia Saudita, Turchia, e tra i monarchi cleptocrati del Golfo.

Un aspetto del declino britannico è sottovalutato: sia le persone che sono a favore  o quelle contro la Brexit, parlano al futuro circa i benefici o i disastri che seguiranno quando la Gran Bretagna negozierà la sua uscita, ma una delle peggiori conseguenze della decisione è già  presente ed è semplicemente che il governo britannico è del tutto focalizzato sulla Brexit con esclusione di qualsiasi altra cosa.

La spiegazione della Signora May del motivo per cui  ha indetto le elezioni generali, cioè a usare più forza nel negoziare con Bruxelles, è un’ammissione della prevalenza del problema. Non ci sarà molto tempo per considerare nuove politiche per un Medio Oriente che cambia o per qualsiasi altra cosa.

Come è accaduto tutto questo? In molti sensi la globalizzazione si è rivelata essere più distruttiva  per lo status quo di quanto lo sia mai stato il comunismo. In suo nome il nazionalismo è stato messo da parte ed stato deriso dalle élite di governo che avevano un motivo economicamente rispettabile per prendere le distanze dal resto della società  e che non hanno visto che stavano tagliando il ramo sul quale erano seduti. Alla sinistra non è mai piaciuto molto il nazionalismo che sospetta sia una maschera per il razzismo e una deviazione da problemi sociali ed economici più importanti. I nazionalisti populisti sono andati al potere i una serie di paesi mentre altri si ritiravano dal nazionalismo e hanno riempito il vuoto.

L’aumentata rivalità degli stati nazione sarà più distruttiva e violenta di quanto è successo prima. Non è soltanto a causa di Donald Trump che tutto il mondo sta diventando più “mutevole e imprevedibile”. Dovunque i leader controversi stanno proponendo cambiamenti radicali che esacerberanno le divisioni.

 


Patrick Cockburn è autore di : The Rise of the Islamic State: ISIS and the New Sunni Revolution [L’ascesa dello Stato Islamico: ISIS e la nuova rivoluzione sunnita].


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://www.counterpunch.org/2017/05/08/the-great-division-the-return-of-nationalism

Originale: Non indicato

 

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