Originale: Alternet

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12 aprile 2017

 

Il più recente disastro imperiale dell’America

di Vijay Prashad

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Lontano dalla Siria, negli uffici con l’aria condizionata dei gruppi di esperti e nelle sale operative stanno seduti gli intellettuali del nostro ordine mondiale. Fissano lo sguardo sulle carte geografiche della Siria – un paese con cui non hanno legami emotivi e sulla cui terra forse non hanno camminato. Non sono i primi uomini spinti dalle fantasie di prendersi le risorse e di risolvere i problemi disegnando nuovi confini. Seguono la tradizione del 1916 del diplomatico britannico Mark Sykes e della sua controparte francese Françoia Georges-Picot che hanno suddiviso la Siria Ottomana in zone di influenza per i loro rispettivi paesi. Cento anni dopo, gli uomini che seguono le orme di Sykes e di Picot nascondono le loro ambizioni imperiali nella retorica umanitaria. Le loro linee iniziano con delle ‘zone sicure’ e poi vanno verso una confederazione e infine a una Siria smembrata. Sostengono che la spartizione, garantita dalla forza aerea e dalle truppe americane, è la soluzione per la crisi siriana. Seriamente malandata dalla guerra civile, con metà della sua popolazione sfollata e oltre mezzo milione di morti, la Siria è indebolita al punto di un effettivo crollo. La caduta del governo di Bashar al-Assad a Damasco non sarebbe, come concordano molti di questi intellettuali – il miglior risultato possibile. ‘Realisticamente,’ come disse nel 2015,  Michael O’Hanlon, della Brookings Institution,  ‘la sostituzione di Assad’ non ‘sembra a portata di mano’, data la mancanza di alternative accettabili. Le forze moderate – per quanto determinano gli Stati Uniti – sono semplicemente non disponibili. Per questo la cacciata di Assad in maniera precipitosa è considerata avventata.

Allora, invece di rimuovere Assad, gli Stati Uniti dovrebbero – sostiene O’Hanlon – spingere verso la creazione di una o due zone sicure in luoghi relativamente promettenti,’ appoggiate da ‘forse 1.000 militari americani.’ In queste ‘zone sicure, le forze locali – dei moderati, si spera – potrebbero essere addestrate per mettere pressione sul governo di Assad. ‘In sostanza, e idealmente’, sostiene O’Hanlon, ‘alcune delle zone sicure potrebbero unirsi come elementi chiave in una futura sistemazione confederale.’ Questa dinamica potrebbe benissimo portare alla ‘totale spartizione della Siria se sarà necessario.’ La spartizione viene immaginata lungo linee di setta religiosa e di appartenenza etnica: una zona Sunnita, una zona Alawita e una zona Curda. O’Hanlon chima questa operazione: ‘smantellare la Siria.’

In un recente articolo, Thomas Friedman, del New York Times riflette sui possibili futuri della Siria. ‘La soluzione meno peggiore è una spartizione della Siria,’ suggerisce Friedman, ‘e la creazione di un’area protetta, primariamente sunnita – protetta da una forza internazionale che includa, se necessario, delle truppe statunitensi.’ Il divario tra O’Hanlon e Friedman è semplicemente che il primo riconosce che nelle grandi città miste di Damasco e Aleppo, Hama e Homs, una spartizione non sarebbe facile. ‘La prudenza dovrebbe essere la parola d’ordine,’ scrive O’Hanlon.

Né O’Hanlon né Friedman – entrambi voci influenti a Washington D.C., sembrano preoccupati per i loro gesti imperiali. Sono molto contenti di parlare a favore dei siriani, di offrire tutela alla Siria che sembra non sia in grado di definire il suo proprio destino. Questi sono uomini che parleranno di democrazia e di diritti umani quando gli sta bene, ma che poi si trasformano in burocrati imperiali, pronti con i loro pastelli a disegnare delle linee sulla carta geografica di qualcun altro.

L’influenza di questi uomini si sente tangibilmente nei corridoi del potere. Alla fine dello scorso anno, il Direttore della CIA John Brennan ha detto, molto informalmente: “Non so se la Siria e l’Iraq potranno essere ricomposte.  C’è stato così tanto spargimento di sangue, così tanta distruzione, così tante, prolungate tensioni e divisioni che ribollono.” Il risultato di tutto questo, ha suggerito, è la divisione della Siria. L’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Siria, Robert Ford, ha detto che già ‘una spartizione della Siria che sta emergendo’ in sei zone e che porterà alla somalizzazione della Siria.’ Amos Gilad, il Consigliere Strategico presso il Ministero della Difesa israeliano e altamente considerato nei circoli dell’intelligence statunitense, ha detto: “La Siria è arrivata alla fine.” Loro, con grande arroganza, chiedono lo smembramento del paese.

Il mese scorso, prima degli attacchi americani a un campo d’aviazione del governo, il Segretario di Stato Rex Tillerson ha consigliato che, una volta rimossa l’ISIS dalla città settentrionale siriana  di Raqqa, essa sarebbe ‘governata da forze locali’ con l’appoggio degli Stati Uniti. Quello che si sta considerando è che gli Stati Uniti potrebbero creare, nella Siria settentrionale, uno sviluppo analogo a quello del Governo regionale del Kurdistan, che è autonomo dal governo iracheno. Questa dichiarazione è stata fatta in Turchia dove si teme uno stato siriano curdo sul suo confine. La Turchia non è preoccupata dal frazionamento della Siria. Quello che teme è la realtà concreta che tale spartizione produrrà una regione autonoma curdo siriana con l’appoggio degli Stati Uniti per tutta la lunghezza del suo confine meridionale.

Anche in questo caso i sentimenti turchi sono sovrastimati. L’anno scorso, il Generale Hulusi Akar ha accettato che ‘la coalizione e la Turchia lavoreranno insieme a un piano a lungo termine per prendere, tenere e governare Raqqa.’ Questo significa che gli Stati Uniti e i Turchi adotterebbero questa regione e che i Turchi saranno impazienti di rendere i Curdi marginali rispetto alla loro zona occupata.

Insomma, tutti i maggiori protagonisti che usano il linguaggio sciropposo della democrazia, sono molto disponibili a pianificare in maniera non democratica lo smembramento della Siria.

Indebolire la Siria per indebolire l’Iran

Fin dal 1979, l’Iran ha turbato l’Occidente e i suoi alleati dell’Asia occidentale, cioè Israele e l’Arabia Saudita. La questione per queste potenze è stata di trovare un meccanismo per indebolire l’Iran, l’Arabia Saudita e la lunga guerra dell’Iraq contro l’Iran,  appoggiata dall’Occidente per accerchiare la Repubblica Islamica.

Nel 1979, proprio dopo la Rivoluzione dell’Iran, il funzionario dell’ambasciata degli Stati Uniti , Talcott Seelye ha scritto da Damasco che il suo governo avrebbe dovuto ampliare la presa  sullo stato siriano in modo da infrangere la legittimità di Hafez al-Assad, padre dell’attuale presidente. Seelye ha scritto che era importante liberarsi

di Assad, per  intaccare  il ruolo dell’Iran nella regione.  Seelye ha scritto: “Siamo propensi a considerare che ha i giorni contati,”  perfino tramite il suo assassinio.” Anche se in realtà non c’è un controllo Alawita sul governo, Seelye ha osservato, “la percezione è più importante della realtà.”

Durante la guerra tra Iran-Iraq,  (1980-88), gli Stati Uniti volevano colpire la Siria come modo di indebolire l’Iran. In un cablogramma eloquente del 1983, il capo della CIA Graham  Fuller esortava i suoi “ufficiali pagatori” a ‘utilizzare la forza vera contro la Siria.’ Fuller consigliava che ‘gli Stati Uniti considerassero di aumentare aggressivamente le minacce militari contro la Siria dai tre stati di confine ostili alla Siria: Iraq, Isrele e Turchia.’ Sperava che se questi paesi avrebbero attaccato simultaneamente la Siria, avrebbero indebolito la sua posizione e il suo prestigio. Se la posizione della Siria era scalfita , sosteneva Fuller, l’Iran sarebbe stato costretto a ‘riconsiderare di portare a termine la guerra.’ Quello che è importante è che i paesi della regione, come l’Iraq,  ‘hanno ancora necessità di rimanere in guardia rispetto all’influenza e al potere iraniano in tutto il Golfo.’

Colpire la Siria indebolirebbe l’Iran. Questa era la posizione nel 1983 come era nel 1979 e come è oggi.

Venti anni dopo, nel 2006, il funzionario politico americano a Damasco, William Roebuck, ha scritto che il suo paese avrebbe dovuto unirsi all’intelligence dell’Arabia Saudita per alimentare  timori di settarismo nel paese. Il loro mezzo sarebbe stato  indicare alla comunità sunnita che l’Iran stava promuovendo un piano di azione sciita in Siria. Il cablogramma di Roebuck rivela la prosecuzione della politica di creare terrore riguardo all’Iran per aumentare i sentimenti settari per indebolire la società e lo stato siriano. ‘Ci sono timori in Siria,’ scriveva Roebuck, ‘che gli Iraniani siano attivi sia nel fare proseliti e nel convertire i Sunniti che sono per lo più poveri.’

Ciò che sorprende è che Roebuck allora ammetteva che questo è ’spesso esagerato’. Gli americani, diceva Roebruck, malgrado tutte  le prove, dovrebbero unirsi ai Sauditi per pubblicizzare meglio e  incentrare l’attenzione su questo argomento.’

Le prove in realtà mostravano che i predicatori sauditi erano entrati in Siria in gran numero e che si erano stabiliti nei quartieri poveri. E in queste moschee predicavano con una virulenta retorica settaria e preparavano la società allo scoppio dei violenza settaria. Questo è stato esattamente ciò che   la Siria nel 2011.  Roebuck consigliò i suoi “ufficiali pagatori” di incoraggiare le divisioni tra i  militari, consigliò gli Arabi del Golfo di smettere di indagare in Siria e ha incoraggiato qualsiasi dispetto che priverebbe il regime di qualsiasi appoggio. In altre parole, Roebuck insisteva a preparare il terreno per un cambiamento di regime che avrebbe danneggiato – come l’intelligence degli Stati Uniti ha detto apertamente un decennio fa – sia il gruppo politico-militare libanese, Hezbollah, che l’Iran.

Due anni fa, il Dipartimento di Stato americano ha osservato in un memorandum: “Il modo migliore di aiutare Israele a occuparsi della crescente capacità nucleare dell’Iran, è aiutare i Siriani a rovesciare il regime di Bashar al-Assad.” La paura dell’Iran impregna questo documento. L’argomento fondamentale è che l’Iran ha la sua presa sull’Asia occidentale tramite la Siria e su Hezbollah che devono essere portati all’obbedienza. Se il governo di Assad cade, allora si interromperebbe il canale con Hezbollah. E’ quindi essenziale rovesciare Assad. Questo non ha nulla a che fare con i Siriani o con le loro necessità, ma ha tutto a che fare con le allucinazioni di Tel Aviv per il potere iraniano. I diplomatici hanno calcolato che la caduta di Assad significherebbe che l’Iran non avrebbe più un punto di appoggio in Medio Oriente dal quale minacciare Israele e minare la stabilità nella regione.

Se Assad cade e un regime nuovo e forse islamista radicale va al potere a Damasco, come aiuterebbe Israele? Questa settimana un funzionario dell’intelligence statunitense mi ha detto che la parola di questo periodo è: ‘Jugoslavia.’ Ha detto che il frazionamento della Jugoslavia si è lasciata dietro stati minori senza nessun potere regionale. La balcanizzazione, ha detto con un sorriso, sarebbe la soluzione adatta per la Siria. Frazionatela e l’Iran perderebbe il suo punto d’appoggio e nessuno stato potente rimarrebbe al confine di Israele per costituire una minaccia. Israele potrebbe rivendicare in eterno le Alture del Golan, sul confine siriano emergerebbe uno stato sostenuto dagli Stati Uniti, la Giordania potrebbe prendersi la totalità dell’Altopiano di Hawran, uno stato alawita si prenderebbe la pianura costiera, abbandonando una serie di stati sunniti che vanno dalla Valle di al-Ghab al deserto di Hamad.

Una Siria debole sarebbe facile da dominare.

La discordia circonda la Siria. La spartizione è considerata un modo di distruggere quello stato e di offrire sollievo a Israele sui suoi confini con la Siria e il Libano. I diritti e le ambizioni del popolo siriano sono irrilevanti per questi complotti e schemi.


Vijay Prashad  è professore  di studi internazionali al Trinity College ad Hartford, Connecticut. E’ autore di 18 libri, tra i quali : Arab Spring, Libyan Winter [Primavera araba, inverno libico], (AK Press, 2012), The Poorer Nations: A Possible History of the Global South [Le nazioni più povere: una storia possibile del sud globale],(Verso, 2013) e The Death of a Nation and the Future of the Arab Revolution [La morte di una nazione e il futuro della rivoluzione araba], (University of California Press, 2016). I suoi articoli sono pubblicati su AlterNet ogni mercoledì.

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/americas-latest-imperial-disaster

 

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