Originale: TomDispatch.com

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30 maggio 2017

 

E’ il nostro Piccolo Grande Uomo.

di Tom Engelhardt

traduzione di Giuseppe Volpe

 

E’ enorme. Smisurato. Riempie il vuoto di notizie in ogni momento del giorno. La sua faccia super abbronzata risplende incessantemente nei salotti di tutti gli Stati Uniti. Mai un presidente è stato così tanto grosso. Così assolutamente mostruoso. O così tanto piccolo.

Lo so, lo so … induce panico, paura, ansia, insonnia. Strizzacervelli dei liberali Stati Uniti vi diranno che, da novembre 2016, i loro pazienti sono sottoposti a farmaci più intensi e sono in forma peggiore. E’ un incubo, un mostro unico. Sono passati quasi due anni da quando ha fatto il suo ingresso nella competizione per la presidenza in tutto questo tempo dubito ci sia stato un solo momento in cui le telecamere non si siano puntate su di lui, in cui non sia stato un’”edizione straordinaria”. (A tutto maggio 2016 risultava aver ricevuto in “presenza mediatica”   l’equivalente di quasi tre miliardi di dollari di pubblicità gratuita). Lui e le sue interminabili controverse dichiarazioni, pastrocchi, tweet, bugie insulti, vanti, narrazioni marziane e aggettivi pazzeschi sono oggetto di servizi quotidiani al modo in cui, un tempo, lo furono solo Pearl Harbour e l’assassinio di Kennedy.

Consideratelo la fine del mondo come noi, o forse chiunque, compreso Vladimir Putin, lo abbiamo conosciuto. Per me questo significa una cosa sola, anche se la maggior parte di voi non sarà d’accordo: penso che dobbiamo a Donald Trump un piccolo inchino di ringraziamento e un sincero debito di gratitudine. Ci insegna qualcosa di inestimabile, qualcosa che probabilmente non avremmo afferrato senza di lui. Ci sta insegnando semplicemente quando profondamente squilibrato sia in effetti il nostro mondo statunitense, perché diversamente egli non sarebbe al posto che occupa.

Un paese da incubo

Consideratelo un messaggero degli dei, essendosi smarrite le divinità dell’impero. Ci hanno inviato un uomo senza un centro, indubbiamente perché dopo 17 anni nel ventunesimo secolo il nostro paese è privo di un centro, e un uomo senza un’opinione fissa o una singola convinzione, salvo riguardo a sé stesso e alla sua famiglia, perché questo paese è oggi un casino vorticoso di convinzioni contraddittorie e di gruppi l’uno alla gola dell’altro. Ci hanno mandato il nostro primo presidente miliardario che ha lasciato innumerevoli persone a far da scaricabarile delle sue varie, spesso fallite, imprese affaristiche.  Riporta alla mente quella classica espressione “quelli che seminano vento raccoglieranno tempesta” proprio come noi ora stiamo raccogliendo i risultati della politica dell’un per cento che si è guadagnata tanta popolarità in anni recenti; e di un genere di belligeranza in stile statunitense che inizialmente pareva mirata alla supremazia globale ma oggi non pare avere alcun obiettivo concepibile. Siamo evidentemente destinati a continuare a uccidere sempre più gente, a produrre sempre più profughi, a frantumare sempre più nazioni, e a diffondere sempre più movimenti terroristici fino alla fine dei tempi. Ci hanno inviato un uomo pronto a costruire un muro vanaglorioso sul confine messicano e a versare più soldi all’esercito statunitense in un momento in cui sta diventando sempre più difficile per gli statunitensi immaginare di investire in qualcosa che non sia uno stato di sicurezza nazionale sempre più potente, persino mentre l’infrastruttura del paese sta cominciando a crollare. Hanno inviato un miliardario che ha abbandonato un numero sorprendente dei suoi affari per salvare un paese che non potrebbe essere più potente di così e tuttavia si è dimostrato incapace di costruire un solo chilometro di ferrovia ad alta velocità.

In questo incubo gli dei hanno mandato l’uomo che ama la superbomba MOAB, che sbava per i “miei generali”, che vuole costruire un “magnifico muro grande e grosso” sul nostro confine meridionale ma che non ha la minima idea di dove stia davvero il potere a Washington.

E’ un uomo con una storia ma senza un senso della storia, un uomo per il quale tutto è immaginabile e tutto è modificabile, compreso il passato. In questo, pure, è sintomatico della nazione che ora “guida”. Chi tra noi almeno ricorda l’insieme di dirigenti di Washington che, solo un decennio e mezzo fa, ha avuto i sogni gloriosi di stabilire una Pax Americana globale e che ci ha condotto così infallibilmente a un inferno interminabile nel Grande Medio Oriente? Chi ricorda che quei dirigenti dell’amministrazione di George W. Bush avevano anche un altro sogno: di una Pax Republicana, uno stato imperiale a partito unico che si sarebbe esteso che si estendesse attraverso il sud statunitense in profondità nel Midwest, Southwest e parti del West, gambizzando per l’eternità il Partito Democratico e lasciando quel reperto di un passato bipartitico confinato nelle aree costiere del paese? Il loro sogno – e non avrebbe potuto essere più immodesto – era di governare il mondo e anche la sua grande superpotenza residua per … beh … più o meno per sempre.

Dovevano dominare gli Stati Uniti e gli Stati Uniti dovevano dominare tutto il resto in un modo mai praticato da alcun paese nella storia, né dai romani, né dai britannici. Nella loro visione, dopo l’implosione dell’Unione Sovietica, non ci sarebbe stata nessun’altra superpotenza, nemmeno un blocco di grandi potenze, in grado di ostacolare il futuro destinato degli Stati Uniti. Se ne sarebbero occupati loro e i loro successori.

Gli Stati Uniti sarebbero stati la terra della ricchezza e del potere in un modo in precedenza inimmaginabile. Sarebbero stati la terra che produceva tutto ciò che faceva il botto di sera e in questo (e forse solo in questo) i loro sogni si sarebbero avverati. A oggi Hollywood e i suoi film d’azione dominano gli schermi del pianeta mentre i mercanti d’armi statunitensi hanno un quasi monopolio delle vendite nel mondo dei loro pericolosi giocattoli. Come ha detto recentemente il nostro nuovo presidente, le loro energie e quelle del governo statunitense dovrebbero restare concentrate nel far sì che i paesi di tutto il mondo si dedichino “all’acquisto di mucchi di magnifici equipaggiamenti militari”. Nientemeno.

Quanto al resto del loro sogno di dominio geopolitico, ha cominciato a finir male in modo rimarchevolmente rapido. Come è emerso l’esercito che i presidenti statunitensi hanno regolarmente salutato in questi anni come “la maggiore forza per la liberazione umana che il mondo abbia mai conosciuto” o “la migliore forza combattente della storia del mondo” non è stato nemmeno in grado di vincere guerre contro insorti debolmente armati o far fronte a nemici che impiegavano bombe stradali che potevano essere costruite attraverso Internet al prezzo di una pizza. L’esercito statunitense (e le sue industrie belliche alleate) si è rivelato non una forza di eterno ordine e trionfo bensì, almeno in tutto il Grande Medio Oriente e in Africa, di eterno caos e di diffusione di movimenti terroristici. Questi ultimi sono stati la tempesta che ha significato che né quella “pax” né quell’”americana” si sarebbero verificate.

 

Mentre Roma bruciava … 

Nel frattempo in patria uno stato manipolato, quasi monopartitico, è effettivamente sorto con i Repubblicani che hanno dilagato nella maggior parte dei governatorati, conquistato il controllo di una considerevole maggioranza dei parlamenti statali, inchiodato Camera e Senato e, infine, quando il Piccolo Grande Uomo è entrato nello Studio Ovale, preso tutto. Per i libri di storia è stato un exploit, o almeno così è parso per poco tempo. Il risultato, invece, è stato il caso, grazie in parte al Partito Repubblicano che in realtà è tre o quattro partiti e a un presidente a malapena collegato a esso, quando è scoppiata una guerra di tutti contro tutti. Nulla di questo avrebbe dovuto sorprendere considerato un partito del Congresso che aveva affinato le proprie competenze non sul governare bensì sul bloccare il governo. Negli ultimi mesi si è largamente dimostrato incapace persino di governare sé stesso, per non dire del selvaggio e della sua imprevedibile squadra di consiglieri alla Casa Bianca.

Dal suo “magnifico muro bello grosso” al suo “fenomenale” piano fiscale di “Serie A” al suo programma sanitario di “assicurazione per tutti” il presidente promette di essere prova vivente che la lungamente sognata Pax Republicana è soltanto un’altra forma di guerra senza fine sul fronte interno.

La sua vittoria è stata, in un certo senso, una rivelazione che entrambi i partiti politici sono stati svuotati, con ogni candidato presidenziale Repubblicano eccetto lui messo alla porta senza cerimonie e senza discussioni in una grandine di insulti. Contemporaneamente il Partito Democratico, ormai una macchina politica considerevolmente irrazionale (e priva di spina dorsale) senza molto a sostenerla, è finito per apparire sempre più l’equivalente nazionale di quegli stati falliti che la guerra al terrore stava creando nel Grande Medio Oriente. In breve, la politica statunitense è stata visibilmente vacillante e, nella tempesta che ha conferito la carica al Piccolo Grande Uomo, anche un vasto segmento degli statunitensi è sembrato in pericolo di affondare, compresi gli utenti di Medicaid, gli aventi titolo all’Obamacare, gli anziani assistiti da pasti a domicilio e i beneficiari di buoni alimentari in quello che potrebbe diventare un collasso al rallentatore di vite vivibili nel mezzo di una proliferazione di miliardari. Considerateci una nazione nel corso di consumare sé stessa, anche mentre il nostro presidente trasforma la Casa Bianca in un affare privato. Se questo è un “declino” imperiale, ne è certamente una versione curiosa.

E’ stato nel crescente inferno che è passato per la “sola superpotenza” del pianeta che gli dei hanno inviato il Piccolo Grande Uomo – non una creatura di forma cangiante bensì un uomo senza forma e privo di qualsiasi idea costante (salvo riguardo a sé stesso). E’ stato perfettamente capace di dire qualsiasi cosa in qualsiasi situazione e poi, in circostanze mutate, di dire il contrario senza sbattere le palpebre o nemmeno evidentemente accorgersene. Il suo recente viaggio in Arabia Saudita è stato un classico caso proprio di questo. Sparite le denunce in campagna elettorale dei sauditi per il loro trattamento dei diritti umani e di essere forse dietro gli attacchi dell’11 settembre, nonché dell’Islam come religione che “ci odia”; sparita la sua critica di Michelle Obama per non aver indossato un velo durante la sua visita a Riyadh (Melani a e Ivanka hanno fatto lo stesso), e di Barack Obama per essersi inchinato a un re saudita (l’ha fatto anche lui). Fuori dalla finestra la sua precedente insistenza che qualsiasi politico statunitense rispettoso di sé stesso doveva usare l’espressione “terrorismo radicale islamico”, che egli ha attentamente evitato.  E nulla di tutto questo è stato diverso da, diciamo, giurare durante la campagna elettorale che non avrebbe mai toccato Medicaid e poi, nel suo primo bilancio, presentare piani per tagliare 880 miliardi di dollari da tale programma nel prossimo decennio.

Bisogna concedere che Donald Trump – e, sì, è la prima volta che uso il suo nome, ma non ce n’era bisogno, vero? – deve ancora nominare senatore il suo cavallo (o forse la sua macchinina del campo da golf) nè, per quanto ne sappiamo, ha commesso atti d’incesto nella tradizione di Caligola, il primo imperatore romano matto. Tuttavia per molti versi non pare qualcosa di simile a una versione aggiornata di quella figura o forse di Nerone che così notoriamente si trastullava – in realtà, secondo la storica Mary Beard nel suo libro SPQR, suonava la lira –  mentre Roma bruciava?

Per fortuna, diversamente da ogni psichiatra in circolazione, io non sono vincolato dalla “Regola Goldwater”, che vieta la diagnosi di una figura pubblica che non si sia esaminata personalmente. Anche se non ho la competenza per dire se Donald Trump sia affetto da una “personalità narcisistica” non vedo motivo per non dire l’ovvio: è un individuo chiaramente disturbato. Che nonostante ciò sia stato eletto presidente ci dice molto riguardo a dove ci troviamo oggi come paese. Come ha detto recentemente Tony Schwartz, che è stato il reale autore della sua autobiografia campione di vendite L’arte di fare affari: “Mi è stato ugualmente chiaro che Trump non valutava – nemmeno necessariamente riconosceva – le qualità che tendono a emergere quando le persone diventano più sicure, quali empatia, generosità, riflessività, capacità di rimandare la gratificazione o, soprattutto, una coscienza, una sensazione interiore di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato”.

Ora, ciò dovrebbe incutere paura. Dopotutto, considerato chi è, considerata la sua paura di “perdere”, di essere respinto, di non essere amato (o, più accuratamente, adulato) di, in breve, essere cancellato chi può dire che cosa farebbe un uomo simile in una crisi, compreso cancellare il resto di noi. Dopotutto egli vive già in un mondo privo di confini o definizioni fisse, o di storia, ed è per questo che nulla di ciò che dice ha un reale significato. E tuttavia egli non potrebbe essere più significativo. Egli è un messaggio, un avvertimento di prim’ordine, e se fosse questo tutto ciò che è, egli sarebbe un inconsapevole maestro riguardo alla natura del nostro mondo statunitense e potremmo davvero essergli grati e fare del nostro meglio per passare oltre.

Sfortunatamente c’è un altro fattore di cui tener conto. L’umanità, negli anni precedenti il suo arrivo, si è inventata due modo diversi e devastanti di farci fuori, uno un Armageddon istantaneo, l’altro un viaggio al rallentatore verso l’inferno. Ciascuno di essi minaccia di storpiare o distruggere il pianeta stesso che ci ha nutrito in queste decine di migliaia di anni. Non è stato, naturalmente, Donald Trump che ci ha messo in questo pericolo. Lui è solo un severo richiamo a ricordare quanto pericoloso è davvero diventato il nostro mondo.

Dopotutto il Piccolo Grande Uomo ha ora un accesso senza precedenti alle armi più “magnifiche” di tutte ed è ansioso di aggiornare ed espandere un arsenale statunitense già vasto di esse. Sto parlando, ovviamente, di armi nucleari. Ogni presidente che abbiamo eletto ha avuto, dagli anni ’50, il potere di far fuori il nostro pianeta. Solo una volta ci siamo arrivati davvero vicini. Ciò nonostante che il controllo di tale arsenale sia nelle mani di un presidente gravemente imprevedibile e visibilmente disturbato è un pericolo per tutti noi.

Si potrebbe supporre che gli dei che lo hanno mandato nello Studio Ovale in un momento simile abbiano un senso perverso dell’umorismo. Certamente riguardo al secondo di tali pericoli mortali egli ha già intrapreso azioni sulla base di un’altra delle sue fantasie: che rendere di nuovo grandi gli Stati Uniti implichi riportarli agli anni ’50 alimentati dai combustibili fossili. La sua ignoranza del cambiamento climatico e le sue azioni per accentuarne gli effetti hanno già portato gli Stati Uniti, i secondi maggiori emittenti di gas serra del pianeta, fuori dalla lotteria del cambiamento climatico e in un territorio inesplorato. Queste azioni e il desiderio di promuovere i combustibili fossili in ogni modo immaginabile saranno indubbiamente considerati un giorno crimini contro l’umanità. Ma allora avranno già portato a termine il loro lavoro sporco.

Se non ci sosterrà la fortuna, Donald Trump può finire per far sembrare degli statisti Caligola e Nerone. Se la fortuna non ci assiste egli può essere il Più Piccolo Grande Uomo fra tutti.


Tom Engelhardt è cofondatore dell’American Empire Project e autore di ‘The United States of Fear’ e di una storia della Guerra Fredda, ‘The End of Victory Culture’. E membro del Nation Institute e amministra TomDispatch.com dove questo articolo è inizialmente comparso. Il suo libro più recente è ‘Shadow Government: Surveillance, Secret Wars, and a Global Security State in a Single-Superpower World’.   


Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/little-big-man/

 

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