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12 luglio 2017

 

Russiagate: Donald Trump jr. ha mentito. Tutti gli uomini del presidente

di Enrico Oliari

 

Alla fine era vero: Donald Trump Jr. ha incontrato il 9 giugno 2016 l’avvocata russa Natalia Veselnitskaya, considerata vicina al Cremlino, per ottenere informazioni utili a screditare in campagna elettorale la concorrente democratica Hillari Clinton. Erano addirittura “avidi” di informazioni, ha detto Veselnitskaya in un’intervista alla Nbc.

Con il figlio di Donald Trump erano presenti il responsabile della campagna elettorale, Paul J. Manafort e il suo genero, Jared Kushner, ma Veselnitskaya ha smentito oggi di essere collegata con il Cremlino e di aver avuto le informazioni che i tre cercavano. Tuttavia nell’incontro non sì parlò del programma statunitense sulle adozioni, che era stato sospeso, come ebbe a dire solo due giorni fa Trump Jr., ma sì erano cercate informazioni su Clinton e sulla sua campagna elettorale. In cambio di cosa?

Fatto sta che il 9 giugno Hillary Clinton aveva parecchi punti di vantaggio su Trump, ma poco dopo hacker russi divulgarono oltre 20mila email del partito democratico che portarono alla luce un’operazione del comitato centrale, che avrebbe dovuto essere neutrale, volta a screditare il candidato alle primarie Bernie Sanders a vantaggio dell’ex segretario di Stato.

Messo sotto pressione in particolare dal nemico giurato dei Trump, il New York Times, il figlio del presidente ha ammesso oggi che i contatti ci sono stati, e sulla stampa è circolato un suo scambio di mail con il promoter musicale Rob Goldstone, il quale lo aveva invitato ad incontrare “il procuratore della Corona russo” in quanto “avrebbe voluto offrire alla campagna elettorale di Trump documenti ufficiali e informazioni che avrebbero potuto incriminare Hillary Clinton e i suoi affari con la Russia”. “Sarebbe molto utile per tuo padre”, conclude la mail. “Fantastico!”, gli rispose Trump Jr..

Più che lo scambio di mail, ad avere la potenza esplosiva di una bomba atomica è stato il fatto che Donald Trump Jr. ha mentito, fatto imperdonabile che getta dubbi e ombre sulla Casa Bianca. Lo ha fatto quando ha negato l’esistenza stessa dell’incontro con Veselnitskaya alla Trump Tower, lo ha fatto quando ha affermato che in quell’incontro si era parlato di adozioni, lo ha fatto quando ha dichiarato di non essere al corrente del fatto che i russi avevano informazioni su Clinton, dal momento che rispose a Goldstone con un “Fantastico!”.

E se così fu, cosa promisero gli uomini di Trump ai russi in cambio del loro appoggio nell’agguerrita campagna elettorale?

Tutti gli uomini del presidente.

Il nome di Trump Jr. si aggiunge così al ventaglio di individui coinvolti nel Russiagate, che in molti vedono come il primo passo del processo di impeachment: lo stesso presidente è indagato dalla specifica commissione del Senato, se non altro per intralcio alla giustizia, ma poi c’è il caso.

 

– Michael Flynn, l’effimero consigliere per la Sicurezza nazionale che avrebbe tenuto contatti con la Russia sia prima che dopo la campagna elettorale, addirittura promettendo all’ambasciatore russo a Washington Sergey I. Kislyak l’eliminazione delle sanzioni al suo paese.

 

 

– Il ministro Jeff Sessions, ora autosospesosi, è stato riascoltato dalla stessa commissione senatoriale dove ancora una volta ha negato sotto giuramento di avere avuto rapporti con i russi durante la campagna elettorale, ma l’Fbi continua a dirsi certa di avere le prove di almeno tre incontri dell’Attorney General con l’ambasciatore russo Kislyak.

 

– Il genero di Trump, Jared Kushner, pure lui per poco tempo consigliere, avrebbe avuto rapporti con Flynn ma anche con Serghei Gorkov, capo della banca russa Vneshecononmbank, vicina al Cremlino e nell’elenco degli obiettivi delle sanzioni.

 

 

– Anche Paul Manafort ha scheletri russi nel proprio armadio: già nell’agosto 2016 si era dimesso dal suo ruolo di responsabile della campagna elettorale del candidato repubblicano in quanto risultato essere stato sul libro paga del partito filorusso dell’ex presidente ucraino Viktor Yanukovich, per delle consulenze da 12,7 milioni di dollari che interessarono il periodo dal 2007 al 2012. Una montagna di denaro evasa, ma anche tanto imbarazzo per l’allora candidato repubblicano: gli inquirenti ucraini avevano informato che da una loro inchiesta su società utilizzate dal cerchio magico di Yanukovich per mantenere un lussuoso stile di vita era saltato fuori un affare di 18 milioni di dollari per vendere partecipazioni della tv via cavo ucraina a una società creata in partnership tra lo stesso Manafort e un oligarca russo, Oleg Deripaska, vicino al presidente russo Vladimir Putin.

 

Nell’incontro con il collega Donald Trump tenutosi a margine del G20, il presidente russo Vladimir Putin ha tuttavia negato l’esistenza di contatti fra Mosca e i membri dell’entourage di quello che sarebbe diventato il capo della Casa Bianca. Ma difficilmente avrebbe affermato il contrario.

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