Originale: Counterpunch   

http://znetitaly.altervista.org

18 agosto 2017

 

La feticizzazione della violenza

di Vincent Emanuele 

traduzione di Giuseppe Volpe

 

“L’esperienza che abbiamo dall’interno delle nostre vite, la narrazione che ci raccontiamo a proposito di noi stessi al fine di spiegare quello che stiamo facendo è fondamentalmente una bugia; la verità sta all’esterno, in quello che facciamo” – Slavoj Žižek

 

Una nazione estremamente violenta

Negli Stati Uniti d’America la violenza resta uno dei nostri maggiori passatempi. Dal massacro dei nativi americani e dalla schiavizzazione, tortura e uccisione di afroamericani, alla conquista dei filippini e all’incenerimento dei vietnamiti, la storia degli Stati Uniti è simile a un racconto dell’orrore. Senza alcun dubbio è una nazione costruita e mantenuta dalla violenza.

Oggi gli statunitensi sparano per uccidersi a vicenda e per uccidere sé stessi a un livello senza precedenti e in misura sproporzionata nel confronto con le nostre controparti industriali. Lo Zio Sam, come dice regolarmente Chris Hedges, parla il “linguaggio della violenza”. Quando in bambini crescono vedendo i loro presidenti e leader civici minacciare di usare la violenza non dovrebbe essere una sorpresa che quegli stessi bambini ricorrano alla violenza per risolvere i loro problemi.

Crescendo sono stato immerso nella violenza, sia personalmente sia socialmente. Gli amici di mio padre passavano il loro tempo in strada. Capivano come funziona la violenza nel mondo reale. Capivano anche l’utilità della violenza. Ma pagarono il prezzo per la loro devozione alla violenza. Molti di loro sono diventati alcolisti. Alcuni sono morti di droga. Altri sono in carcere. Le loro famiglie e le loro vittime pagano il prezzo finale.

Sono nato nel 1984. Sono cresciuto a COPS, Rambo e Navy Seals. Ho giocato con armi giocattolo e alla fine con armi vere. Sono cresciuto sparando. Sono cresciuto con poliziotti e veterani dell’esercito in visita alle case della nostra infanzia. Parlavano il linguaggio della violenza. Bevevano e fumavano e bestemmiavano. Erano arrabbiati. Rimangono arrabbiati.

La violenza, se impiegata correttamente, è estremamente efficace. E’ per questo che è così allettante usare la violenza come mezzo per un fine. Quelli che sostengono che la violenza non risolve nulla non hanno mai incontrato molta violenza. Purtroppo la violenza è orribilmente potente e molto utile in molti contesti. Detto questo, le conseguenze sociali, ecologiche e culturali di lungo termine del comportamento violento sono ugualmente distruttive.

Dal punto di vista di uno stato nazione la violenza può risolvere problemi di breve termine ma non può risolvere sfide complesse di lungo termine quali il cambiamento climatico, il razzismo istituzionale, il militarismo, eccetera. Oggi l’Impero statunitense sta imparando velocemente i limiti della violenza protratta. L’Impero statunitense sta crollando sotto il suo stesso peso, come indica regolarmente lo storico Alfred McCoy.

Ogni impero, repubblica, movimento politico o individuo che basi la sua attività sulla violenza alla fine soccomberà a una violenza estrema. Quanto più l’apparato statale attacca in modi violenti e quanto più gruppi estremista di destra si danno al terrorismo, tanto più probabile è che la sinistra reagisca con violenza (un punto su cui torneremo più avanti in questo articolo). Il ciclo della violenza deve finire, e presto.

Rompere con 400 anni di storia e violenza coloniali non sarà facile, ma si può fare. Non c’è nessuna legge o regola che dica che dobbiamo continuare su questo percorso violento e distruttivo. Tuttavia, in modo molto simile a un alcolista da una vita, ci vorranno grandi sforzi per cambiare la mentalità e la cultura che incoraggiano le persone e pensare e comportarsi violentemente. Cosa più importante, dobbiamo smantellare le istituzioni e i meccanismi economici, culturali, sociali e psicologici che creano le condizioni per la violenza.

 

Il collegamento Charlottesville – esercito

James Alex Field Jr., il terrorista di destra che ha lanciato la sua auto contro una folla di dimostranti, uccidendo Heather D. Heyer e ferendo altre venti persone è un veterano dell’esercito. Secondo notizie mediatiche Fields durante i suoi anni alle superiori era un adolescente solitario e confuso che divenne interessato alla seconda guerra mondiale e ai nazisti. Dopo l’aggressione sono emerse fotografie che mostrano Field che partecipa a marce di Vanguard America.

Mentre Fields rappresenta il tipo di terrorista malaccorto e irrazionale che egli probabilmente disprezza, il personaggio più interessante di questa tragedia è Dylan Ulysses Hopper, l’amministratore delegato di Vanguard America, e uno dei principali organizzatori dei gruppi di destra scesi a Charlottesville.

Hopper, un ex sergente del Corpo dei Marine, è divenuto ufficialmente un suprematista nel 2012, circa nello stesso periodo in cui era diventato reclutatore del Corpo dei Marine in Ohio. Hopper ha scalato rapidamente i ranghi di Vanguard America, usando le sue competenze di reclutatore e il suo addestramento militare per promuovere i ranghi dell’organizzazione suprematista bianca. Hopper, un veterano sia della guerra dell’Iraq sia di quella dell’Afghanistan, rappresenta una tendenza in aumento nell’esercito statunitense. Secondo il Southern Poverty Law Center, che cita uno studio del FBI:

Secondo un rapporto del FBI i capi suprematisti bianchi stanno attuando uno sforzo concertato per reclutare soldati in servizio attivo e veterani combattenti recenti delle guerre in Iraq e in Afghanistan. La Valutazione d’Intelligence del FBI non classificata, intitolata ‘Reclutamento di personale militare da parte di suprematisti bianchi dopo l’11 settembre” rafforza i risultati di una denuncia di un Rapporto dei Servizi Segreti del 2006 che rivelava che un numero allarmante di estremisti razzisti stava approfittando dei ridotti standard di reclutamento del tempo di guerra per arruolarsi nelle forze armate. 

‘L’esperienza militare si riscontra in tutto il movimento suprematista bianco in conseguenza delle campagne di reclutamento di gruppi estremisti e di autoreclutamento di veterani simpatizzanti delle cause suprematiste’, afferma il rapporto del FBI. ‘I leader estremisti cercano di reclutare membri con esperienza militare al fine di sfruttarne disciplina, conoscenza di armi e di esplosivi e competenze tecniche così come [nel caso di soldati in servizio attivo] accesso ad armi e a informazioni di spionaggio’. 

Naturalmente nulla di tutto questo dovrebbe costituire una grande sorpresa. Da un’istituzione costruita su razzismo, genocidio, xenofobia, disumanizzazione, estrema violenza e maschilismo tossico dovremmo attenderci che crei mostri simili. Dagli Hell Angels all’attentato di Oklahoma City i suprematisti bianchi hanno sempre trovato conforto nei ranghi dell’esercito statunitense.

Nel corso del mio servizio nel Corpo dei Marine era normale sentire i miei commilitoni riferirsi ai marine di colore come a “verdi scuro” o peggio “negri”. Iracheni e afgani erano chiamati “haji” [arabi, pellegrini della Mecca – n.d.t.], “teste da asciugamano” oppure “negri delle sabbie”. Le donne marine erano chiamate WM, che sta per “Walking Mattresses” [materassi che camminano]. I marine ispanici erano etichettati “clandestini” o “ispanici”. E i marine asiatici erano regolarmente chiamati “musi gialli” o “polpette di riso”.

Questo genere di comportamento e ideologia regressivi è prevalente in molte istituzioni che sono dominate da bianchi, tra cui squadre sportive, vigili del fuoco e dipartimenti di polizia. Ricordate l’agente Jason Lai del Dipartimento di Polizia di San Francisco (SFPD)? Era il poliziotto sorpreso a inviare testi a colleghi che dicevano “detesto quel mangiafagioli [ispanico]ma il negro è peggio!”, “Gli indiani sono disgustosi” e “Radere al suolo Walgreens [ ? – una grande catena di farmacie – n.d.t.] e uccidere i barboni!”

L’agente Lai, di discendenza asiatico-statunitense, si identificava appieno e sposava il tipo di idee reazionarie di destra dei suoi colleghi suprematisti bianchi nel SFPD. E dire che stiamo parlando di San Francisco, non di Miami, Birmingham, St. Louis o Chicago. Si può solo supporre che la maggioranza dei colleghi agenti di polizia di Lai nel SFPD coltivi idee simili. Si può solo immaginare che cosa pensano gli agenti di polizia di vari dipartimenti degli Stati Uniti della gente di colore, dei poveri, dei mussulmani o dei dimostranti.

Fortunatamente o sfortunatamente non dobbiamo tirare a indovinare poiché abbiamo prove più che sufficienti per dimostrare che questo genere di sbrocchi razzisti e violenti non sono incidenti isolati. Tragedie del passato e in corso, da Charlottesville a Oklahoma City sono prevedibili in modo nauseante. Istituzioni quali l’esercito alimentano intrinsecamente il suprematismo bianco che affligge la società e la cultura statunitensi.

 

Il mito della seconda guerra mondiale e il potere della propaganda

Alla luce di eventi recenti, attivisti in rete e altri hanno preso a pubblicare immagini di soldati all’attacco delle spiagge della Normandia come modo per collegare le lotte antifasciste attuali alla sconfitta del fascismo italiano e del nazismo tedesco nella seconda guerra mondiale. Il problema con questo genere di proteste per reazione è che alimenta i continui miti che circondano la seconda guerra mondiale, cioè l’idea che gli Stati Uniti si siano coinvolti nella guerra per sconfiggere fascismo e nazismo.

L’Impero statunitense, come tutti gli imperi precedenti, non entra in guerra perché è la cosa giusta o morale da fare. L’Impero statunitense ha interessi. E i suoi interessi non sono gli interessi nostri. Se nell’ambito della portata degli interessi imperiali statunitensi ha luogo qualcosa di positivo, come la sconfitta del nazismo, è una mera coincidenza, non un obiettivo calcolato. L’obiettivo principale degli stati-nazione non consiste in crociate morali (anche se crociate morali sotto la maschera della cristianità illuminata sono state comunemente condotte per dominare popoli di tutto il mondo); l’obiettivo principale degli stati-nazione consiste nel consolidare ed esercitare il potere.

Indubbiamente la sconfitta momentanea del nazismo e del fascismo andrebbe festeggiata, ma non al modo in cui è esaltata attualmente. Si ricordi che furono i comunisti, non gli statunitensi, a sconfiggere il fascismo. Alcune stime suggeriscono che l’Unione Sovietica abbia avuto quasi 27 milioni di morti durante la seconda guerra mondiale. I comunisti subirono il fardello del fascismo e del nazismo. Tuttavia gli statunitensi si deliziano del mito che i nostri poco più di 500.000 morti furono il fattore decisivo nello sforzo bellico. Ricordiamo anche le centinaia di migliaia di anarchici, comunisti, socialisti, ebrei, zingari e altri che combatterono valorosamente contro il fascismo.

Oggi i miti che circondano la seconda guerra mondiale continuano a infestare la psiche statunitense, compromettendo la nostra capacità di esaminare criticamente la storia, l’ideologia e il nazionalismo statunitensi. La maggior parte degli statunitensi ha concluso che la nostra guerra contro il Giappone fu giusta e i nostri sforzi contro i tedeschi e gli italiani virtuosi. Tuttavia, come il grande storico scomparso Howard Zinn segnala nella sua classica opera A People’s History of the United States:

Quando l’Italia di Mussolini invase l’Etiopia nel 1935 gli Stati Uniti dichiararono un embargo sulle munizioni ma permisero che imprese statunitensi inviassero in Italia petrolio in grandi quantità, essenziale per la conduzione della guerra da parte dell’Italia. Quando in Spagna ebbe luogo una rivolta fascista nel 1936 contro il governo liberal-socialista eletto, l’amministrazione Roosevelt patrocinò un atto di neutralità che ebbe l’effetto di tagliare l’aiuto al governo spagnolo mentre Hitler e Mussolini offrivano a Franco un aiuto cruciale. Offner afferma:

“… gli Stati Uniti si spinsero oltre persino le previsioni legali della loro legge sulla neutralità. Se fossero arrivati aiuti dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra e dalla Francia, considerato che la posizione di Hitler sugli aiuti alla Francia non era ferma almeno fino al novembre 1936,“… gli Stati Uniti si spinsero oltre persino le previsioni legali della loro legge sulla neutralità. Se fossero arrivati aiuti dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra e dalla Francia, considerato che la posizione di Hitler sugli aiuti alla Francia non era ferma almeno fino al novembre 1936, i repubblicani spagnoli avrebbero ben potuto trionfare. Invece la Germania ricavò ogni vantaggio dalla guerra civile spagnola”. 

Si trattò semplicemente di una cattiva valutazione, un errore sfortunato? O fu la politica logica di un governo il cui principale interesse non consisteva nel fermare il fascismo, bensì nel promuovere gli interessi imperiali degli Stati Uniti? Per quegli interessi, negli anni trenta, pareva migliore una politica antisovietica. In seguito, quando Giappone e Germania minacciarono gli interessi mondiali degli Stati Uniti, divenne preferibile una politica filosovietica e antinazista. A Roosevelt interessava fermare l’oppressione degli ebrei tanto quanto a Lincoln interessava fermare lo schiavismo durante la guerra civile; la loro priorità in politica (quale che fosse la loro personale compassione per le vittime delle persecuzioni) non erano i diritti delle minoranze bensì il potere nazionale.

Non furono le aggressioni di Hitler agli ebrei che fecero entrare gli Stati Uniti nella seconda guerra mondiale, non più di quanto la schiavizzazione di quattro milioni di neri determinò la guerra civile nel 1861. L’attacco dell’Italia all’Etiopia, l’invasione dell’Austria da parte di Hitler, la sua presa della Cecoslovacchia, il suo attacco alla Polonia … nessuno di questi eventi spinse gli Stati Uniti a entrare in guerra, anche se Roosevelt cominciò in effetti a concedere importanti aiuti all’Inghilterra. Quello che fece entrare gli Stati Uniti pienamente in guerra fu l’attacco giapponese contro la base aerea statunitense di Pearl Harbour, Hawaii, il 7 dicembre 1941. Certamente non fu la preoccupazione umana per il bombardamento di civili da parte del Giappone a indurre Roosevelt all’indignato appello alla guerra; l’attacco del Giappone alla Cina nel 1937, il suo bombardamento di civili a Nanchino non avevano indotto gli Stati Uniti alla guerra. Fu l’attacco giapponese a una maglia dell’Impero Statunitense nel Pacifico a determinarlo. 

Fintanto che il Giappone restava un membro beneducato di quel circolo imperiale di Grandi Potenze che – attenendosi alla Politica della Porta Aperta – condivideva lo sfruttamento della Cina, gli Stati Uniti non si opposero. Avevano scambiato note con il Giappone nel 1937 affermando che ‘il governo degli Stati Uniti riconosce che il Giappone ha speciali interessi in Cina’. Nel 1928, secondo Akira Iriye (‘After Imperialism’) consoli statunitensi in Cina appoggiarono l’arrivo di soldati giapponesi. Fu quando il Giappone minacciò potenziali mercati statunitensi mediante il suo tentativo di impossessarsi della Cina, ma specialmente quando si diresse allo stagno, alla gomma e al petrolio dell’Asia sud-orientale, che gli Stati Uniti si allarmarono e assunsero quelle misure che determinarono l’attacco giapponese: un embargo totale sui rottami di ferro, un embargo totale al petrolio nell’estate del 1941.

Lasciando da parte la giustificazione dell’attacco giapponese contro Pearl Harbour, è importante ricordare che prima della seconda guerra mondiale gli Stati Uniti avevano precedenti atroci riguardo alla difesa di lotte per la libertà e la democrazia.

Chiedetelo ai libici (1801-1805), agli haitiani (1791-1804, 1888, 1891, 1914, 1915-1934), ai cubani (1814-1825, 1906-1909, 1912, 1917-1922, 1933), ai filippini (1890-1913), ai messicani (1806-1810, 1842, 1846-1848, 1859, 1866, 1873-1896), ai portoricani (1814-1825), ai cinesi (1843, 1854, 1855, 1866, 1894-1895, 1899, 1900, 1911-1941), ai russi (1918-1920), ai nicaraguensi (1853-1857, 1867, 1894-1899, 1910-1925), ai panamensi (1856, 1865, 1885, 1912-1925), agli algerini (1815), agli hawaiani (1870, 1874, 1889-1893) o ai guatemaltechi (1920), per citare solo alcune delle occasioni in cui l’esercito statunitense fu usato per proteggere interessi statunitensi e reprimere lotte per la libertà e la democrazia.

Invece di esaltare la violenza sancita dallo stato, gli attivisti degli Stati Uniti farebbero bene a evidenziare i veri eroi della seconda guerra mondiale, persone come Gunnar Eilifsen, quelli che parteciparono alla Rivolta di Varsavia, Irena Sandler, Lepa Radic e innumerevoli altri senza nome che difesero le loro famiglie e comunità dal nazismo e dal fascismo. Non erano arruolati. E non erano sostenuti dal più potente impero militare del mondo. Furono veri combattenti della resistenza e dovremmo ricordare i loro sacrifici.

Nel frattempo dovremmo fare del nostro meglio per contestare il nazionalismo statunitense, i miti storici e la feticizzazione della violenza che ha rialzato la sua testa odiosa alla luce delle recenti aggressioni suprematiste bianche contro manifestanti di sinistra. Alla fine, la seconda guerra mondiale fu la più grande tragedia singola della storia della specie umana. Ed è esattamente così che dovrebbe essere ricordata.

 

Antifa, rivolta dei ‘colli rossi’ (redneck), Black Bloc e sinistra

Recentemente ho pubblicato su media sociali un articolo di Louis Proyect intitolato “Antifa and the Perils of Adventurism” e ho ricevuto alcune reazioni negative, ma anche alcune riflessioni interessanti. Purtroppo è chiaro che molti negli Stati Uniti, compresi attivisti e organizzatori navigati, hanno molte difficoltà nell’esaminare eventi recenti in un modo che non sia di natura eccessivamente emotiva o irrazionale.

Una persona ha scritto: “Conclusione: o si sta con Antifa o sia sta con i fascisti!” Questa mancanza di sfumature è simbolica di una sinistra che non si guarda allo specchio, una sinistra che rifiuta di porsi domande serie sui propri movimenti, organizzazioni e membri e una sinistra che manca di disciplina, visione e strategia. Ricordate: è la visione che dovrebbe dettare la strategia, che a sua volta detta le tattiche. Oggi molti a sinistra negli Stati Uniti capovolgono la cosa: si concentrano prima di tutta sulle tattiche, non discutono la strategia e sono privi di una visione a lungo termine.

Gruppi antifascisti esistenti, quali Antifa e l’organizzazione più militante Redneck Revolt, hanno colmato un vuoto di proteste, ma le loro tattiche sono approssimative e la loro strategia e visione sono inesistenti. La schiacciante maggioranza degli attivisti di Antifa è costituita da bianchi, maschi, di classe media e scollegati dai continui sforzi quotidiani di organizzatori e attivisti. Per essere giusti alcuni fanno tutto quanto precede, ma sono una razza rara.

Il punto di Proyect sull’”avventurismo” è colto bene: negli anni ho incontrato molti “avventuristi”, specialmente durante le proteste di Occupy Wall Street. Ho anche sperimentato fenomeni simili alle proteste contro la guerra nell’era Bush. A Charlottesville c’è una chiara evidenza che i manifestanti di sinistra non erano preparati alla violenza della destra, né erano preparati a garantire sicurezza alle loro marce.

Nel guardare video della Dodge Charger di Fields scagliata contro una folla di dimostranti, uccidendone una, ho immediatamente pensato tra me: “Perché nessuno guardava le loro ore sei?”, gergo militare “Chi copre il perimetro e le nostre spalle?” Indubbiamente è facile formulare queste critiche da fuori, ma sono stato in situazioni simili, in particolare in Iraq.

Se gli attivisti di sinistra facessero sul serio riguardo alla sicurezza, specialmente durante le manifestazioni, arruolerebbero l’aiuto di veterani contro la guerra che hanno le conoscenze e le competenze per garantire il genere di sicurezza richiesto in eventi simili. Sappiamo come organizzare la sicurezza del perimetro. Sappiamo come gestire posti di controllo dei veicoli. E sappiamo come stare in guardia. Sappiamo come marciare all’unisono, eseguire ordini diretti e dare ordini diretti. Sappiamo come pattugliare strade cittadine, e sappiamo come operare in squadre di 40 (plotone), 12 (unità) e 4 (gruppo speciale).

Ogni persona ha un compito specifico. Il compito di ogni persona opera in tandem con i compiti e le competenze di altri membri. Tutti sono addestrati a queste competenze e compiti per mesi e anni ogni volta. Il processo di addestramento non termina mai. In realtà persino nelle unità più disciplinate e compatte si commettono gravi errori. Alcuni sono stati uccisi nel corso di esercitazioni di addestramento. E moltissimi sono rimasti feriti.

Vedete, io non ho scrupoli riguardo alla violenza o alla resistenza militante. In realtà in molti contesti è assolutamente necessaria per la sopravvivenza. Qui, negli Stati Uniti, tuttavia, temo che i miei amici di sinistra facciano il passo più lungo della gamba. Le comunità dovrebbero essere in grado di difendersi? Assolutamente sì. Ma come funziona nel mondo reale?

 

Vorrei suddividere il nostro dilemma sulla sicurezza in tre sezioni:

Sicurezza interna: Gli attivisti che cercano di garantire protezione nelle manifestazioni (Antifa, per esempio) operano in gruppi di affinità? Se non lo fanno, dovrebbero. E per essere chiari: ci sono molte forme diverse di gruppi di affinità. Quali meccanismi usano per le comunicazioni? Parlarsi di persona è il meglio, ma sono disponibili applicazioni elettroniche presumibilmente sicure. Gli attivisti parlano delle loro sfide e piani sui media sociali, via posta elettronica o in rete? Se lo fanno, stanno violando alcune delle regole fondamentali della cultura della sicurezza. Le organizzazioni di sinistra esistenti dovrebbero tenere discussioni difficili sul genere di cultura della sicurezza che desiderano vedere nelle rispettive organizzazioni. Negli ultimi undici anni ho visto ben poco per convincermi che questo tipo di attività sofisticata di organizzazione abbia luogo su vasta scala. D’altro canto gli attivisti di sinistra dovrebbero fare attenzione a non esagerare la minaccia alla nostra sicurezza. Ho visto un mucchio di persone finire preda di paranoie ingiustificate. E la maggior parte delle volte questo succede perché i gruppi non hanno in atto un’appropriata cultura della sicurezza. Se ce l’avessero, sarebbe molto più facile agire in modo razionale e stabilire facilmente chi/che cosa costituisce una minaccia e chi/che cosa no.

Sicurezza degli eventi: Al riguardo vorrei suggerire con forza che gli attivisti di sinistra cerchino veterani dell’esercito che siano stati attivi nel movimento per la pace e la giustizia. Assicuratevi che siano veterani. Parlate con i loro amici. Parlate con chi ha collaborato con loro. Sono responsabili nei confronti di una comunità o organizzazione? In caso contrario non collaborate con loro. E’ proprio semplice così. Solo agli attivisti più navigati dovrebbe essere consentito di agire da responsabili della sicurezza in eventi in ci si aspetta si presentino fascisti e suprematisti bianchi, o in una controdimostrazione contro tali gruppi. Attivisti nuovi possono essere addestrati ai metodi appropriati della sicurezza per eventi di dimensione minore: proteste locali, conferenze, seminari, raccolte di fondi, eccetera. Operare come squadra richiede una forte disciplina e un’adesione a un insieme di valori e di regole. Senza regole rigorose non si sopravvive in zona di combattimento. Lo stesso vale per dimostrazioni che precipitano nel caos. Tutto questo è contrario alla tipica idea anarchica-di sinistra che qualsiasi forma di autorità è un male e va rigettata. In determinate circostanze è necessario un autoritarismo estremo. Le zone di combattimento e i disordini sono due esempi.

Sicurezza esterna/continua: Al riguardo penso alla polizia e alle varie altre entità governative che esercitano grande potere e violenza. Prendere di petto la polizia è solitamente una strategia perdente. Gli attivisti di sinistra non hanno i numeri o la coerenza collettiva necessari per sopraffarla, e non abbiamo le armi per fermarla. Questo vale sia in singoli eventi, sia su base quotidiana nelle nostre comunità locali e regionali. Smantellare le strutture che producono violenza e paura dovrebbe sempre essere il nostro obiettivo principale. Nel frattempo, tuttavia, le persone continuano ad aver bisogno di sicurezza. Le comunità povere hanno paura sia dei poliziotti sia delle bande di strada. Le donne hanno paura dei loro compagni maschi. La violenza domestica è un enorme problema. I gruppi di sinistra sono preparati a reagire a incidenti di violenza domestica? Come possiamo aspettarci che le persone, particolarmente quelle vulnerabili, non chiamino la polizia in circostanze simili? I quartieri e le comunità sono organizzati a sufficienza per condurre pattugliamenti regolari, non tanto per tener d’occhio i loro vicini, quanto per neutralizzare l’influenza e il potere delle bande di strada e della polizia? Difenderci dalle milizie o dalle organizzazioni politiche di destra richiede lo stesso livello di disciplina e organizzazione. Oggi non c’è alcuna prova che i gruppi di sinistra siano preparati a impegnarsi in questo livello di sicurezza. Questo deve cambiare se facciamo sul serio riguardo al fornire alternative allo stato.

A margine, vorrei citare alcune cose sulle armi. Innanzitutto non mi fido di nessuno con un’arma. Sono cresciuto con le armi. Possiedo armi. E diversamente dal 99,99 per cento degli attivisti di sinistra, ho usato armi per uccidere. Da bambino passavamo ore su ore a imparare come pulire, maneggiare con sicurezza le nostre armi e sparare. Nel Corpo dei Marine quell’addestramento è stato portato all’estremo. In breve le vostre libertà e i vostri diritti  individuali smettono di esistere quando cominciate a portare un’arma.

Uno dei motivi per i quali il nostro esercito è un’entità così iperdisciplinata e autoritaria è perché quello è il solo modo per sopravvivere quado si opera in gruppi di centinaia e migliaia e tutti hanno un’arma. Deve esserci una catena di comando. Gli ordini vanno eseguiti. In caso diverso aspettatevi congedi per negligenza e morti indesiderati. Nel caso ve lo stiate chiedendo, le armi non sono uno scherzo.

La feticizzazione delle armi non è una novità. Gli Stati Uniti sono stati costruiti sulla feticizzazione delle armi e della violenza. Dunque non è una sorpresa che una banda di tizi che non è in grado neppure di tenere incontri regolari o di condurre campagne efficaci sia tutto d’un tratto interessata a prendere le armi a fingersi dei rivoluzionari.

Dal mio punto di vista forse meno dell’un per cento degli attivisti e organizzatori che ho incontrato negli anni è preparato alla ‘resistenza militante’. Sono pronti a prendere a pugni in faccia i nazisti, il che va bene, ma non sono preparati a combattere davvero contro quegli stessi nazisti. A Charlottesville gli attivisti di sinistra sarebbero stati uccisi senza la protezione dello stato. Lo stesso è successo due anni fa quando mi sono ritrovato a partecipare a una manifestazione antifascista a Coburg, un piccolo quartiere periferico fuori dalla città di Melbourne.

Attualmente non siamo in grado di “sconfiggere in battaglia” i fascisti, ma possiamo superarli in organizzazione. Mettersi in competizione con persone che sono più che felici di impiegare la violenza è una strategia perdente per la sinistra statunitense. Manchiamo dei numeri, dell’addestramento, della disciplina, della visione, della coerenza e serietà per condurre appropriatamente battaglie militanti.

Se volete sapere com’è una lotta rivoluzionaria nel mondo reale, parlate con uno zapatista. Imparate dalle loro lotte quotidiane. Allora, e solo allora, ditemi che siete pronti a condurre una lotta rivoluzionaria. Come dice, e ha ragione, il mio amico Sean: “Se non siete preparati ai ratti, a dormire per terra, a uccidere e a raccogliere i vostri amici morti, non parlatemi di rivoluzione o di lotta militante”. Sono d’accordo.

 

Smantellare il Suprematismo Bianco

Il Suprematismo Bianco non è una serie di atteggiamenti o opinioni; è un problema strutturale-sistemico-istituzionale. In effetti la maggior parte degli attivisti e autori della sinistra tratta il razzismo come se fosse una colpa personale. Non lo è. E’ un problema strutturale. La differenza tra il razzismo individuale e il razzismo strutturale è importante.

A far data dal Movimento dei Diritti Civili si potrebbe sostenere che il razzismo individuale si è molto ridotto. Sì, ci sono suprematisti bianchi che si sentono a loro agio a esporre in rete le loro idee reazionarie, ma neppure lontanamente il numero dei bianchi che si sentiva a proprio agio nel fare ciò diversi decenni fa. Tuttavia, strutturalmente, per quanto riguarda il complesso industriale carcerario, gli alloggi, il benessere e l’istruzione, abbiamo fatto scarsi progressi e in molti casi abbiamo fatto parecchi passi indietro.

In conseguenza gli attivisti di sinistra sono confusi. Attaccano i razzisti a livello individuale, ma non hanno piani seri per occuparsi del razzismo a livello strutturale. Smantellare il Suprematismo Bianco richiede smantellare o modificare considerevolmente istituzioni esistenti, compresi i media industriali (televisione, radio, internet, Hollywood), il complesso industriale carcerario e il sistema della giustizia penale (tribunali, carceri, carceri private, polizia), l’Impero statunitense (basi militari, appaltatori degli armamenti, società private della sicurezza), il capitalismo globale (banche private, diritti di proprietà, multinazionali, accordi di scambi) e una serie di relazioni, meccanismi e istituzioni che sostengono il Suprematismo Bianco.

La differenza tra sfidare e/o affrontare razzisti individuali e affrontare il razzismo strutturale è la differenza che c’è tra l’Attivismo Neoliberista (iper-individualismo) e l’Attivismo di Sinistra (iper-collettività). Gli attivisti neoliberisti non hanno legami con un corpo collettivo di persone. Si limitano ad affrontare il razzismo a livello individuale/soggettivo e non si dedicano al genere di lavoro collettivo che ci vuole per effettivamente smantellare i sistemi che producono il genere di razzismo che trovano così abominevole.

Alla fine la sola reazione a sfide collettive su vasta scala è costituita da progetti politici collettivi su vasta scala. Nel nostro contesto questo significa creare nuove istituzioni economiche, politiche e culturali mirate a cambiare radicalmente la società. E cambiare radicalmente la società dobbiamo, almeno rendendola coerente al mondo vivente. Oggi il concetto di una nuova società non è più un sogno ideologico irrealizzabile, è una necessità fondamentale per la sopravvivenza del pianeta.

Da organizzatori, educatori, attivisti e artisti è nostro principale dovere nel contesto del neoliberismo ricordare alla gente che le nostre sfide sono di natura collettiva. E’ anche nostra responsabilità pensare criticamente e migliorare costantemente in nostri programmi, le nostre campagne esistenti e così via. La destra gioca per vincere. E noi?

 

 


Vincent Emanuele è uno scrittore e organizzatore comunitario che vive e lavora a Michigan City, Indiana. E’ il co-fondatore di P.A.R.C. (Politica, Arte, Radici, Cultura) e membro del sindacato nazionale degli scrittori – UAW 1981 e dei Veterani per la Pace. Può essere contattato all’indirizzo vincent.emanuele333@gmail.com.


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-fetishization-of-violence/

 

top