Originale: Alternet

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30 agosto 2017

 

I media e una minaccia alla sinistra

di Thom Hartmann

traduzione di Giuseppe Volpe

 

In questi giorni bui è appropriato un avvertimento intergenerazionale: gente di Antifa, fate attenzione. Stanno venendo per voi.

 

Alcuni di noi hanno già visto questo film. Nella mia generazione, quando ero un membro adolescente del SDS dell’Università statale del Montana (MSU)  nei tardi anni ’60, ricordo il tizio che urlava sempre “ammazzate i porci” e ci incoraggiava a radere al suolo l’edificio del Corpo di Addestramento degli Ufficiali della Riserva (ROTC) nel campus. In anni successivi seppi da vecchi compagni del SDS che quando citarono in giudizio la polizia appresero che il tizio senza peli sulla lingua era un agente di polizia e i suoi amici erano informatori.

Per la generazione di mio padre la presa da parte della destra di un movimento di protesta ebbe luogo in Germania generazioni fa, cosicché la maggior parte degli statunitensi nemmeno riconosce il nome di Marinus van der Lubbe.

Ma i tedeschi ricordano bene quel giorno fatale di ottantaquattro anni fa, il 27 febbraio 1933. E molti di loro osservano gli scontri nelle nostre strade e sono preoccupati.

Cominciò quando il governo, in lotta con questioni della propria legittimità e con l’instabilità del suo leader, ricevette rapporti di un imminente attentato terroristico. Gli storici dibattono tuttora se il “terrorista” era un giovane mentalmente disturbato manovrato sul luogo per prendersi la colpa del reato o era un effettivo ideologo comunista (di limitati mezzi intellettuali e probabilmente schizofrenico; questa sembra l’unica cosa in cui sono quasi tutti d’accordo).

Ma gli avvertimenti degli investigatori furono ignorati ai più alti livelli, in parte perché il governo era distratto; l’uomo che affermava di essere il capo della nazione non era stato eletto da un voto a maggioranza e la gente affermava che non aveva diritto ai poteri che concupiva.

Era un sempliciotto, dicevano alcuni, un personaggio da fumetti che vedeva le cose in bianco e nero e non aveva l’intelletto per comprendere le sottigliezze dell’amministrazione di una nazione in un mondo complesso e internazionalista.

Il suo rozzo uso del linguaggio – che rifletteva il suo passato di frequentazioni di tizi poco raccomandabili – e la sua semplicistica e spesso incendiaria retorica nazionalista offendevano gli aristocratici, i leader stranieri e l’élite beneducata al governo e nei media.

Voleva disperatamente essere apprezzato e amato dalle “famiglie ricche” ma anche le odiava perché non lo avevano mai accettato e, nel profondo di sé stesso, sapeva che non lo avrebbero mai fatto.

Ciò nonostante sapeva che il terrorista stava per colpire e aveva già valutato la sua reazione. Quando un aiutante gli comunicò che l’edificio più prestigioso della nazione era in fiamme egli corse sulla scena e convocò una conferenza stampa.

“Siete oggi testimoni dell’inizio di una grande epoca della storia”, proclamò Hitler, in piedi di fronte all’edificio carbonizzato del Parlamento tedesco, circondato dai media nazionali.

“Questo incendio”, disse con la voce tremante per l’emozione” è l’inizio.” Egli usò l’occasione – “un segno del Cielo”, la definì – per dichiarare una “guerra a tutto campo al terrorismo” e ai suoi patroni ideologici, persone, disse, le cui origini risalivano al Medio Oriente e che trovavano motivazione per i loro atti malvagi nella religione.

E, disse, i loro compagni di viaggio – “comunisti” come l’uomo che aveva incendiato il Reighstag – dovevano essere scovati e distrutti totalmente.

Due settimane dopo a Oranienburg fu edificato il primo centro di detenzione per terroristi per rinchiudere i primi sospetti alleati del famigerato terrorista. In uno scoppio nazionale di patriottismo la bandiera del leader era dovunque, persino stampata in grande su giornali adatta a essere esposta in vetrina.

Nel giro di quattro settimane dall’attentato terroristico, l’ormai popolare leader della nazione aveva fatto approvare leggi – nel nome della lotta al terrorismo e alla filosofia che egli affermava ne era all’origine – che sospendevano le garanzie costituzionali di libertà di espressione, riservatezza e habeas corpus.

A quel punto la polizia poteva intercettare la posta e le telefonate; sospetti terroristi potevano essere incarcerati senza accuse specifiche e senza accesso ai loro avvocati; la polizia poteva intrufolarsi nelle case della gente senza mandato e sbirciare in giro senza che i proprietari lo sapessero, se i casi riguardavano terrorismo.

Per ottenere l’approvazione del suo patriottico “Decreto sulla Protezione del Popolo e dello Stato” contro le obiezioni di legislatori preoccupati e libertari civili, egli accettò di inserire una clausola di provvisorietà di quattro anni: se l’emergenza nazionale provocata dall’attentato terroristico fosse terminata entro allora, le libertà e i diritti sarebbero stati restituiti al popolo e agli organi di polizia sarebbero stati nuovamente imposti vincoli. Proprio come nel caso del recente PATRIOT Act degli Stati Uniti, la prima versione del quale conteneva una clausola di provvisorietà, i legislatori avrebbero detto in seguito che non aveva avuto il tempo di leggere la proposta di legge prima di votarla.

Immediatamente dopo l’approvazione della legge antiterrorismo la polizia federale incrementò il suo programma di arresto di persone sospette e loro trattenimento senza accesso ad avvocati o tribunali. Nel primo anno furono internate solo poche centinaia di persone e quelli che si opponevano  furono largamente ignorati dalla stampa dominante, che temeva di offendere e perdere l’accesso a un leader che faceva tanta notizia.

I cittadini che contestarono il leader in pubblico – e furono molti – si trovarono rapidamente ad affrontare i manganelli, il gas e le celle della polizia dotata di nuovi poteri o a essere relegati a zone di protesta sicuramente lontane dalle orecchie dei discorsi pubblici del leader. (Nel frattempo egli pubblicizzava costantemente la minaccia di quegli “altri” in mezzo al popolo tedesco, mentre bande armate terrorizzavano minoranze e infrangevano vetrine di negozi ebrei).

Nel giro dei primi mesi dopo quell’attentato terroristico, su suggerimento di un consigliere politico, egli introdusse nell’uso comune un termine in precedenza oscuro.

Voleva infiammare un “orgoglio razziale” tra i suoi compatrioti bianchi, così, invece di riferirsi alla nazione con il suo nome, egli cominciò a riferirsi a essa come a “la Patria”, un termine pubblicamente promosso nell’introduzione a un discorso del 1934 registrato nel famoso film di propaganda di Leni Riefenstahl “Trionfo della volontà”.

Come sperato, i cuori della gente s’infiammarono di orgoglio e fu seminato l’inizio di una mentalità di “noi contro loro”. La nostra terra era “la” patria, pensavano i cittadini; tutte le altre erano semplicemente terre straniere. Noi siamo il “vero popolo”, egli suggeriva, i soli meritevoli dell’interesse della nostra nazione; se le bombe cadono su altri, o se i diritti umani sono violati in altre nazioni e ciò rende migliori le nostre vite, la cosa ci interessa poco.

Giocando su questo nuovo nazionalismo e sfruttando un disaccordo con i francesi riguardo al suo crescente militarismo, egli sostenne che qualsiasi organo internazionale che non mettesse la Germania al primo posto non era né rilevante né utile. Egli così ritirò il suo paese dalla Lega delle Nazioni nell’ottobre del 1933 e poi negoziò un accordo separato di armamento navale con Anthony Eden del Regno Unito.

Il suo ministro della propaganda orchestrò una campagna per assicurare il popolo che egli era appoggiato dagli intermediari delle più ferventi sette cristiane della Germania. Proclamò persino la necessità di una rinascita della fede cristiana in tutta la nazione, quello che chiamò un “Nuovo Cristianesimo”. Ogni uomo del suo esercito in rapida crescita indossava una fibbia che dichiarava “Gott Mit Uns” – Dio è con noi – e la maggior parte di loro credeva ferventemente che fosse vero.

Nel giro di un anno dall’attentato terroristico il leader della nazione decise che i vari corpi di polizia locali e federali della nazione mancavano delle comunicazioni chiare e dell’amministrazione complessiva coordinata necessarie per far fronte alla minaccia terroristica che la nazione aveva di fronte, particolarmente gli importuni “intellettuali” e “liberali”.

Propose una nuova agenzia nazionale unica per proteggere la sicurezza della Patria, consolidando le azioni di dozzine di corpi di polizia, di guardie di confine e di investigazioni precedentemente indipendenti sotto un unico capo. Nominò uno dei suoi associati più fidati a capo di tale nuova agenzia, l’Ufficio Centrale della Sicurezza della Patria, e gli diede un luogo nel governo pari a quello di altri maggiori ministeri.

Il suo assistente che si occupava della stampa segnalò che, dopo l’attentato terroristico, “la radio e la stampa sono a nostra disposizione”. Le voci che mettevano in discussione la legittimità del leader della nazione o che sollevavano domande sul suo dubbio passato, erano a quel punto svanite dalla memoria del pubblico, mentre il suo ufficio centrale di polizia cominciava a pubblicizzare un programma di “Vedi e Riferisci”, incoraggiando le persone a comunicare telefonicamente segnalazioni su  vicini sospetti.

I denunciati spesso comprendevano politici d’opposizione e celebrità che osavano esprimersi con franchezza, un bersaglio preferito del suo regime. Avviò una campagna per screditare la stampa – la chiamava Lugenpresse o “stampa bugiarda” (“fake news” nel gergo odierno). L’espressione fu ripetuta interminabilmente fino a quando tutta la stampa libera fu chiusa nel 1934. Arrivati al 1935 tutte le stazioni radio e i giornali erano di proprietà di amici di destra dura del suo regime.

Per consolidare il suo potere egli concluse che il solo governo non era sufficiente. Si rivolse all’industria e forgiò un’alleanza, portando a elevate posizioni di governo ex dirigenti delle più grandi imprese della nazione. Una valanga di denaro governativo affluì nelle casse delle imprese per combattere la guerra contro i “terroristi di sinistra” in agguato nella Patria, e per prepararsi a guerre all’estero.

Incoraggiò grandi imprese amiche ad acquisire canali mediatici e altre imprese industriali in tutta la nazione, particolarmente quelle in precedenza di proprietà di liberali o ebrei. Costruì alleanze potenti con l’industria; un alleato industriale ottenne il lucroso contratto, del valore di milioni, per costruire il primo centro di detenzione su vasta scala per i nemici dello stato. Presto altri sarebbero seguiti. L’industria prosperò.

Ma dopo un intervallo di pace seguito all’attentato terroristico sorsero nuovamente voci di dissenso dentro e fuori dal governo. Studenti avevano avviato un programma attivo di opposizione (noto come la Società della Rosa Bianca) e capi di nazioni vicine parlavano apertamente contro la sua bellicosa retorica. Aveva bisogno di un diversivo, qualcosa per distogliere la gente dal clientelismo industriale evidente nel suo stesso governo e dalle questioni circa la sua illegittima ascesa al potere.

Per far fronte a quelli che dissentivano dalle sue politiche, su avviso dei suoi consiglieri politicamente esperti, lui e i suoi domestici nella stampa cominciarono una campagna per fare di lui e delle sue politiche una cosa sola con il patriottismo e la stessa nazione. L’unità nazionale era essenziale, dicevano, per garantire che i terroristi o i loro patroni non pensassero di essere riusciti a dividere la nazione o a indebolirne la volontà.

In tempi di guerra, dicevano, poteva esserci solo “un popolo, una nazione e un comandante in capo” (“Ein Volk, ein Reich, ein Fuhrer”) e così i suoi sostenitori nei media avviarono una campagna nazionale denunciando che i critici delle sue politiche stavano attaccando la nazione stessa.

La maggioranza – la “maggioranza silenziosa” – dei buoni tedeschi odiava la sinistra, dicevano ripetutamente alla gente Hitler e i suoi amici nella stampa di destra.

Quelli che lo contestavano erano definiti “comunisti”, “antitedeschi” o “non buoni tedeschi” e si suggeriva che stavano aiutando i nemici dello stato astenendosi dalla necessità patriottica di appoggiare i valorosi uomini in uniforme della nazione. Fu uno dei suoi modi più efficaci per soffocare il dissenso e mettere persone che guadagnavano un salario (dalle quali proveniva gran parte della polizia e dell’esercito) contro gli “intellettuali e liberali” che erano critici delle sue politiche.

Parlava apertamente del suo “amore” per la polizia e per l’esercito e questi, a loro volta, lo abbracciavano con fervore, raddoppiando la violenza che praticavano contro dimostranti pacifici.

L’ascesa al potere di Hitler fu in larga misura a spese dei movimenti sindacali e comunisti. Erano i suoi primi “nemici” (anche se l’antisemitismo aveva fatto parte fin dall’inizio dei suoi sermoni: il suo principale attacco era ai movimenti sindacali e comunisti pieni di ebrei). Ed egli li distrusse in larga misura quando riuscì a far bere ai tedeschi l’idea che “la sinistra” era responsabile della riduzione in cenere dell’edificio del parlamento, l’11 settembre dell’epoca.

Ho pochi dubbi – avendo vissuto nell’era del COINTELPRO e del PATRIOT Act – che da qualche parte là fuori c’è qualcuno che sta programmando di commettere un atto di terrorismo. Può essere un impegnato ma deluso membro della sinistra o, più probabilmente, qualcuno di destra che spera di eccitare le cose fingendosi di sinistra. E Trump e i suoi amichevoli canali “giornalistici” sono pronti a sfruttarlo.

Forse è apocrifa l’affermazione di Mark Twain che un tempo disse: “La storia non si ripete, ma si esprime in rima”.

Non c’è scarsità di esempi di tale rima e considerata la stampa “tradizionale” ora scagliata contro il movimento Antifa, è cosa sicura che esso sarà il prossimo grande spauracchio dell’amministrazione e dei media.

Da qualche parte là fuori c’è il prossimo Marinus van der Lubbe e Trump e la sua stampa sono pronti.

State all’erta.


Thom Hartmann è un conduttore di talk show e autore di più di 25 libri a stampa.


Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/media-a-left-wing-threat/

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