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04/09/2017

 

Corea, il vero scontro è tra Cina e Stati Uniti

 

«Il confronto tra Russia e Stati Uniti è sicuramente denso di pericoli. Paradossalmente proprio perché non esistono più, o sono stati ridimensionati, quei meccanismi di trasparenza, controllo e gestione delle crisi, che per mezzo secolo impedirono alle tensioni tra i due blocchi il superamento del livello di guardia e spesso contribuirono a recuperare il dialogo. Ogni crisi, durante la Guerra Fredda, portava sempre a un rilancio dei rapporti tra Cremlino e Casa Bianca».
 

«[…] Eppure la Guerra Fredda non tornerà. Putin è un leader autoritario, al quale prendere le misure, ma non ha ambizioni egemoniche mondiali sorrette da un’ideologia come i leader  dell’Urss». Così Paolo Valentino sul Corriere della Sera del 2 settembre.
 

Per Valentino, dunque, lo scontro tra Mosca e Washington è consegnato alla «marginalità». Non sarebbe in questo quadro che si gioca «la partita decisiva dei futuri equilibri mondiali e in ultima analisi le grandi questioni della pace e della guerra».
 

Invece la crisi coreana rischia di «far precipitare il vero scontro in fieri per l’egemonia mondiale, quello tra Stati Uniti e Cina. È quella che Graham Allison chiama la “trappola di Tucidide”, nella quale, come belle guerre del Peloponneso tra Atene e Sparta, un potenza in ascesa e una affermata spesso cadono anche senza volerlo».
 

Analisi più che significativa. Ed è in questo quadro che va letto quanto scrivono Gordon Lubold e Jeremy Page sul Wall Street Journal del 1 settembre: «Il Pentagono per la prima volta ha fissato un programma di pattugliamento navale del Mar Cinese Meridionale […] per contrastare le rivendicazioni marittime cinesi, introducendo una nuova complicazione nelle relazioni sempre più difficoltose tra le due potenze».

 

Quel tratto di mare, infatti, è rivendicato dal Dragone.
 

Ma è pur vero che nel duello tra Cina e Stati Uniti, la Russia ha un ruolo niente affatto marginale, dal momento che Pechino ha fatto asse con Mosca proprio per poter far fronte a uno scontro che (a livello militare) oggi non ha alcuna possibilità di sostenere, al contrario di Mosca.
 

Tanto che c’era chi, all’inizio della presidenza Trump, aveva vagheggiato un accordo tra Washington e Mosca per staccare quest’ultima da Pechino (un’operazione inversa a quella compiuta da Kissinger al tempo della Guerra Fredda, che era riuscito a staccare il destino della Cina da quello di Mosca). Una mossa che avrebbe dato scacco matto al Dragone.
 

Non è andata così. Anzi la nuova Guerra Fredda, fortemente voluta dai neocon, ha consegnato in maniera stabile Mosca a Pechino.
 

Data la situazione, si capisce perché la Cina non può permettersi un crollo della Russia. Per questo l’ha sostenuta in vario modo in questi ultimi anni, permettendole di passare indenne dalla stretta delle sanzioni anti-russe varate dall’Occidente e dal crollo del prezzo del petrolio (e da altro).
 

Ancora da capire se il Dragone voglia affiancarla anche nello scontro che la oppone agli Stati Uniti e ai suoi alleati in Medio oriente (scontro che vede la Russia alleata di Damasco e Teheran). Ad oggi Pechino si è limitata ad aprire una base militare a Gibuti, cosa che le dà la possibilità di vigilare sui suoi investimenti africani ed eventualmente difendere lo sbocco al Mediterraneo della nuova Via della Seta, asse portante del suo sviluppo globale.
 

Ma in questi anni non sono mancati segnali per un impegno più ravvicinato del Dragone in Medio oriente, dove d’altronde è collocata la stessa Gibuti.

 

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