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6 NOV, 2017

 

Armi, il problema che gli Stati Uniti non vogliono riconoscere

di Claudio Marinaccio

Scrittore e giornalista freelance

 

Secondo Trump la strage in Texas non è da associare all’alla circolazoni delle armi, ma il killer era un ex militare cacciato dall’Air Force per un’episodio di violenza in famiglia.

 

Quanti morti ancora sull’altare delle lobby e del II emendamento?

Ogni volta che avviene una strage come quella di Las Vegas oppure nella chiesa battista in Texas  l’opinione pubblica statunitense si divide. Da una parte chi vorrebbe limitare il più possibile la vendita delle armi e, invece, dall’altra chi crede che sia un diritto costituzionale averne una. Proibirle sembra un obiettivo irraggiungibile. Il secondo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti garantisce il diritto di possedere un’arma. È stato scritto nel 1791 e, forse, a qui tempi aveva persino senso. Stiamo parlando di una nazione nata nel sangue di una guerra per l’indipendenza che era da poco terminata. Quindi la paura di un eventuale ritorno dell’esercito britannico ha fatto sì che si dovesse specificare che possedere un’arma, ben regolamentata, era necessario alla sicurezza di uno Stato libero.

 

Il comico australiano Jim Jefferies, durante un suo spettacolo, ha fatto un lungo monologo sulle armi da fuoco negli States, descrivendo come in Australia dopo una strage si proibì l’acquisto delle armi e di come gli australiani avessero accettato con serenità e consapevolezza questa decisione. In America, invece, racconta di come dopo il massacro di Sandy Hook, dove sono morti molti bambini piccoli, il governo ha detto “Forse potremmo sbarazzarci delle pistole più grandi?“, scatenando le ire dell’oltre la metà della popolazione che invocava il diritto a possederne una.

 

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