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18 dicembre  2017

 

Il presidente gioca con i fiammiferi

di Rebecca Gordon

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

 “Ho appena saputo che la mia casa di famiglia vicino a Carpinteria è letteralmente in fiamme in questo momento,” mi ha detto di recente un’amica. Era particolarmente preoccupata, ha detto, perché “mia mamma ha la sclerosi multipla. Lei e mio padre hanno ricevuto l’avviso di lasciare la casa, la notte scorsa dopo mezzanotte. Sono riusciti ad afferrare poche foto, l’orsacchiotto che aveva mia sorella da bambina, e il cane. Ecco! E’ tutto quello che è rimasto.”

 

I genitori della mia amica sono tra le migliaia di vittime dell’incendio Thomas di 240.000 acri, uno delle  serie di incendi incontrollati della California alla fine della stagione estiva. Attizzati dai venti di Santa Ana, a 80 km. all’ora, e dall’8% di umidità, questi fuochi stanno divorando la California meridionale da Los Angeles a Santa Barbara. Mesi di tempo secco e di temperature assurdamente calde hanno trasformato la pare sud dello stato in una polveriera.

 

Ancora una volta il paese osserva inorridito mentre i pompieri lottano per contenere incendi di insolita voracità –come abbiamo visto un paio di mesi fa quando almeno 250 incendi si sono estesi nelle contee a nord di San Francisco. Anche dopo le piogge da lungo tempo attese, portate da El Niño all’inizio del 2017, anni di siccità hanno lasciato il mio stato pronto a esplodere in fiamme su un pianeta che si va riscaldando sempre di più. Ci vuole soltanto una scintilla. Un po’ come tutto il mondo nell’età di Donald Trump.

 

Incendiare Gerusalemme

Il folle fuoco arriva così veloce e furioso in questi giorni, che è facile dimenticare alcuni degli incendi boschivi minori – come quello che il Presidente Trump ha acceso alla fine di novembre quando ha retwittato tre falsi video provocatorii sui musulmani che ha trovato nel feed di Twitter   del leader di un gruppo britannico ultra-nazionalista.

La prossima mossa del presidente nell’arena internazionale, cioè il “riconoscimento” di Gerusalemme come capitale dello stato di Israele non è ancora scivolata via dalla memoria, in parte a causa dell’indignazione che ha suscitato in tutto il mondo. Come ha scritto sul Guardian Moustafa Bayouni, acclamato autore di How does it Feel to be a problem? Being Young and Arab in America [Che cosa si prova a essere un problema? Essere giovane e arabo in America]: “L’intero Medio Oriente, dalla Palestina allo Yemen, sembra pronto a prendere fuoco dopo questa settimana.” Non sorprende che la sua previsione abbia già cominciato ad avverarsi con le dimostrazioni in Cisgiordania, a Gaza e in Libano, dove le bandiere americane ed è stato dato fuoco ai manifesti del Presidente Trump. Abbiamo anche visto i primi razzi lanciati da Gaza a Israele  e i prevedibili attacchi aerei israeliani compiuti per rappresaglia.

 

L’annuncio di Trump riguardo a Gerusalemme, arriva quando suo genero Jared Kushner intraprende la sua cosiddetta iniziativa di pace in Medio Oriente. Il nuovo    di Kushner è il nuovo BFF (Best Friend Forver – Il miglior amico per sempre) di Mohammed bin Salman, il probabile successore al trono saudita. Non sappiamo proprio di che cosa abbiano parlato i due durante un colloquio  tète a tète di sera tardi, alla fine di ottobre, ma probabilmente comprendeva i piani di Salman di mettere in prigione centinaia di preminenti Sauditi, compresi 11 principi. Indubbiamente hanno discusso di un nuovo, incendiario “piano” di pace tra Israele e Palestina che, a quanto si dice, gli Stati Uniti e l’Arabia Saudita stanno facendo circolare tranquillamente.

 

Con questa proposta, secondo il New York Times,

“I Palestinesi otterrebbero un  loro stato, ma soltanto parti non contigue della Cisgiordania e soltanto una sovranità limitata sul loro territorio. La vasta maggioranza  degli insediamenti israeliani in Cisgiordania, che la maggior parte del mondo considera illegali, rimarrebbero. Ai Palestinesi non sarebbe data Gerusalemme Est come loro capitale e non ci sarebbe diritto di ritorno per i rifugiati palestinesi e per i loro discendenti.

Se questo è “l’accordo del secolo” che il Presidente Trump programma di presentare, non sorprende che ne prepari la strada annunciando i suoi piani di spostare l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme.

 

Questa mossa rivela molte cose sulle abilità di negoziazione di Trump molto decantate, quando si tratta della scena internazionale dove ha fatto un’importante concessione a Israele senza ricevere nulla in cambio, tranne parole di lode dal Primo Ministro Benjamin Netanyahu (e dagli evangelici di questo paese). Dato che Israele è venuto in possesso della metà orientale di Gerusalemme per mezzo della conquista militare nel 1967 – un metodo di acquisizione di territorio che la legge internazionale considera illegale, è stata proprio una concessione. Lo status finale di Gerusalemme si suppone che sia l’argomento dei negoziati israelo-palestinesi, non un dono a una parte prima che i colloqui comincino.

Dietro a questa concessione, per quanto si possa vedere, non c’è alcun intento strategico di qualsiasi tipo, per lo meno non in Medio Oriente. Infatti il Presidente Trump è stato perfettamente chiaro proprio sul perché stesse facendo l’annuncio: distinguere se stesso dai suoi predecessori. (Cioè fare in modo di sentirsi buono). “Mentre i precedenti presidenti hanno fatto un’importante promessa nella campagna elettorale [spostare l’ambasciata degli Stati Uniti a Gerusalemme] hanno mancato di    mantenerla. Oggi, io la mantengo.”

 

“Alcuni dicono,” ha aggiunto, che i suoi predecessori non ci sono riusciti perché “mancavano di coraggio.” In realtà, neanche Trump la ha esattamente “mantenuta”. Proprio come i suoi predecessori, ha subito firmato una deroga di che ancora una volta ha rimandato di sei mesi il trasferimento dell’ambasciata.

 

Piromania? 

Invece che servire a una più ampia strategia in Medio Oriente, l’annuncio di Trump riguardo a Gerusalemme, è servito principalmente al suo ego. Gli ha dato il solito bagno caldo di adulazione da parte della sua base e da un’altra esplosione del piacere che gli deriva dal vedere il suo nome nei titoli di prima pagina.

 

Nel suo comportamento quotidiano, infatti, agisce meno come un accorto affarista che come un bambino con la mania del fuoco, un bambino che allevia l’ansia e attira l’attenzione appiccando incendi. In che altro si spiega la sua tendenza che ogni volta che c’è una stasi nei servizi su di lui, a postare qualcosa di incendiario su Twitter?

Ogni volta; provate soltanto  a immaginarlo mentre accende un fiammifero, un’altra miccia, e poi si sdraia  a osservare i fuochi artificiali.

 

Ecco la triste realtà di questo momento americano: chiunque ha accesso al presidente, ha anche una buona possibilità di direzionare  questo lanciafiamme umano dovunque lui o lei scelga, sia verso il “Piccolo Uomo dei razzi in Corea del Nord o  Doug Jones in Alabama (anche se quella fiamma è risultata essere, come dicono in Gran Bretagna, un petardo bagnato).

 

Il Medio Oriente non è stata certa la sola parte del mondo riguardo alla quale il nostro presidente ha provato visibile piacere di minacciare di farla saltare in aria. Considerate la situazione nella penisola coreana che resta il maggior pericolo che il mondo affronta oggi. Chi potrebbe dimenticare il modo in cui Trump ha alimentato le braci già accese della crisi coreana, in agosto, minacciando di far piovere “fuoco e furia come il mondo non ha mai visto” – un ovvio riferimento ad armi nucleari – sulla Corea del Nord? E fin da allora le cose sono soltanto peggiorate. Per esempio, in settimane recenti, non soltanto Trump, ma anche la sua cricca hanno continuato a     la retorica contro quel paese. All’inizio di questo mese, per esempio, il Consigliere Generale per la sicurezza nazionale, Generale H.R. McMaster, ha rinnovato la minaccia di azione militare, dicendo profeticamente: “Ci sono modi per affrontare questo problema, a parte il conflitto armato, ma è una corsa perché il leader nord coreano Kim Jong-un sta avvicinandosi sempre di più ad avere una capacità nucleare per colpire gli Stati Uniti e non ci resta più molto tempo.”

 

A settembre, l’ambasciatrice di Trump alle Nazioni Unite, Nikki Haley, ha rafforzato questo messaggio in un’intervista alla CNN. “Se la Corea del Nord continua con questo comportamento incauto, se gli Stati Uniti  devono difendere se stessi o i loro alleati in qualsiasi modo, la Corea del nord sarà distrutta.”

 

In effetti, Vipin Narang, uno specialista di non proliferazione nucleare presso il MIT (Massachusetts Institute of Technology), pensa che l’amministrazione Trump forse ha già accettato la inevitabilità di tale guerra, e la quasi garanzia che anche la Corea del Sud e il Giappone saranno devastate – purché accada prima che la Corea del Nord possa di fatto lanciare un attacco nucleare sulla terraferma statunitense. “Ci sono un sacco di persone che sostengono che c’è ancora uno spazio per impedire che la Corea del Nord abbia un missile balistico intercontinentale ((ICBM) con una testata nucleare da usare contro gli Stati Uniti,” ha commentato sul Washington Post. “Dicono a loro stessi che attaccano adesso, ci sarà la peggiore delle ipotesi: soltanto il Giappone e la Corea del Nord avranno un’arma nucleare.”

 

Non bisogna esattamente essere un ammiratore di Kim Jong-un del suo triste     regime derelitto per immaginare il motivo per cui Kim potrebbe essere riluttante ad abbandonare il suo arsenale nucleare. La Corea del Nord rimane il nemico designato degli Stati Uniti in una guerra che, quasi 70 anni dopo, non è mai ufficialmente terminata. E’ situata su una penisola dove la nazione più potente del mondo fa delle esercitazioni militari due volte all’anno. Kim ha avuto ampie opportunità di osservare in che modo Washington ha trattato altri leader (Saddam Hussein e Muammar Gheddafi) che hanno rinunciato ai loro programmi nucleari. Certamente le minacce di fuoco e furia non lo faranno rinunciare al suo arsenale, ma possono ancora far sentire Donald Trump come un vero comandante in capo.

 

Fuochi domestici che ardono

Non è soltanto nell’arena internazionale che Trump ha man  mano distrutto le cose. Non è riuscito – per ora – a distruggere la Legge per le cure mediche accessibili  a tutti (Affordable Care Act) (anche se non per mancanza di fiammiferi), ma il Partito Repubblicano ha puntato il lanciafiamme di Trump verso qualsiasi vestigia di tassazione progressiva a livello federale. E ora che la Camera e il Senato sono vicine a conciliare le loro versioni della normativa fiscale, i Repubblicani hanno chiarito proprio il motivo per cui sono così contenti di approvare una legge che aumenterà il deficit di 1,5 trilioni di dollari. Ha dato loro un “motivo” di dare alle fiamme ciò che ancora rimane del New Deal negli anni ’30 del Presidente Franklin Roosevelt e della Great Society del presidente Lyndon Johnson negli anni ’60.

 

Paul Ryan, presidente della Camera dei Rappresentanti ha dato un vivace senso del dove si dovrebbe presto puntare quel lanciafiamme presidenziale, quando ha detto al conduttore radiofonico Ross Kaminsky: “L’anno prossimo dovremo ritornare alla riforma dei diritti che è il mezzo per affrontare il debito e il deficit.” Lo scopo? Tagliare gli stanziamenti per Medicare e Medicaid, cioè i programmi mandati avanti attraverso il Congresso, da Lyndon Johnson a metà degli anni ’60. Questi successi hanno contribuito a realizzare la sua visione degli Stati Uniti come una Grande Società che provvede alle necessità fondamentali di tutti i suoi cittadini.

 

Nel frattempo, quando si tratta di incendiare l’ambiente sociale americano, il Presidente Trump ha già annunciato il suo obiettivo del giorno dopo: la “riforma” del welfare.

Riforma dell’assistenza sociale? Non è un argomento che ha citato neanche nella sua campagna elettorale nel 2016, ma persone differenti mirano ora a quel lanciafiamme. Il sito web The Hill riferisce la scena di Trump che parla a un gruppo di legislatori nel sotterraneo del Campidoglio:

“Facendo la spunta di molte priorità legislative, Trump ha citato brevemente la riforma dell’assistenza  pubblica, hanno riferito delle fonti che erano nella stanza.

“E’ necessario farla. Voglio farla,’ ha detto Trump ai legislatori ordinari in una sala delle conferenze nel sotterraneo del Campidoglio. La parte  dell’assistenza pubblica ha ottenuto un grande applauso; un legislatore ha descritto la riunione: “un ricevimento di alto livello.”

Sappiamo che ottenere “il grande applauso” garantisce che anche una linea  di Trump sarà ripetuta.

 

In un momento in cui “diritto” è diventata una  parolaccia, faremo bene a ricordare che non molto tempo fa non era una pazzia pensare che il governo esisteva per aiutare le persone a fare collettivamente ciò che non sapevano fare come individui. Come mi ha detto di recente un amico, le tasse sono un modo più organizzato di finanziamento collettivo  di cui gli esseri umani hanno bisogno.

Chi mai ricorda l’antico periodo in cui il candidato Trump, non ancora piromane sul fronte interno, prometteva di proteggere Medicare*, Medicaid* e la previdenza sociale? Il Presidente Trump è una faccenda diversa.

 

Sembra, tuttavia, probabile che almeno per ora i Repubblicani non faranno pressioni su di lui per la Sicurezza Sociale perché, come ha detto Paul Rayan al “Wonkblog,” (il blog dei “secchioni”) del Washington Post, i Repubblicani non hanno voti sufficienti per superare l’ostruzionismo del Senato e il programma è troppo popolare, una volta, tornato indietro, perché una super-maggioranza di Repubblicani lo persegua.

Perché riescono ad approvare una legge per la “riforma” fiscale avendo soltanto una semplice maggioranza, ma non i tagli alla Sicurezza Sociale? La legge fiscale si sta affrettando per il Congresso usando il processo di “riconciliazione” per mezzo del quale le differenze nelle versioni al Senato e alla Camera vengono “appianate” per produrre un’unica legge. Questa richiede soltanto una semplice maggioranza per essere approvata alla Camera e la Senato. La “Regola di Byrd” del Senato, adottata nel 1974, proibisce l’uso del processo di riconciliazione per fare cambiamenti alla Sicurezza Sociale. Grazie, ex Senatore della Virginia occidentale, Robert Byrd!

 

Oltre ai programmi che costituivano “la “Guerra alla povertà,” di Johnson, ha anche firmato la Legge per i diritti civili del 1964, e la Legge del 1965, per i Diritti di voto. La Commissione  consultiva presidenziale di Trump per l’Integrità elettorale, sta già lavorando sodo bruciando la seconda, dato che il presidente continua a chiedere prove per la sua assurda rivendicazione di aver vinto il voto popolare nelle elezioni del 2016.  Forse sta ottenendo un effetto. Almeno metà di tutti i Repubblicani sembrano ora credere che ha davvero vinto quel voto.

 

E prima di abbandonare questo argomento, eccovi due osservazioni finali sui veri fuochi nell’era di Trump. Il suo Dipartimento dei trasporti ha lavorato tranquillamente per rendere anche quelli più probabili. Con una mossa sostenuta dai fan degli incendi sui treni dovunque, quel dipartimento ha tranquillamente capovolto una regole dell’era Obama che comporta che i treni che trasportano petrolio greggio, facciano uso di “un sistema avanzato di frenatura designato a impedire deragliamenti che possono procurare incendi… Il requisito di installare il cosiddetto sistema di freni pneumatici controllati elettronicamente (ECP) era incluso in un pacchetto di riforme per la sicurezza, svelate dall’amministrazione Obama nel 2015, in reazione a una serie di deragliamenti letali che hanno avuto origine dal boom dei combustibili sintetici.”

I dati del governo dimostrano che dal 2006  negli Stati Uniti ci sono stati 17 di questi deragliamenti di treni che trasportavano petrolio greggio o etanolo.

C’è poi l’incendio che probabilmente ha distrutto la casa della mia amica nella California meridionale. Donald Trump non può essere incolpato di quello. Il clima in questa parte del mondo è già diventato più caldo e più secco. Possiamo, però, certamente ritenerlo responsabile di avere fatto aumentato il calore sul pianeta Terra annunciando dei piani per ritirare gli Stati Uniti dagli accordi di Parigi del 2015 sul cambiamento del clima, gestendo gli incentivi fiscali per l’energia alternativa (con un periodo di boom di favori per l’industria dei combustibili fossili) e lavorando per far valere globalmente  una versione del “dominio energetico” americano di petrolio, gas e carbone americano a livello globale. Da parte della massima potenza economica del mondo, non ci può essere un “fiammifero” più grande sul pianeta.

 

Una fiamma di speranza 

Che speranza c’è di spegnere gli incendi Trumpiani?

C’è il fatto che gran parte del mondo è contraria a Trump. All’incontro di Parigi di questo mese, seguito agli accordi sul clima,  i miliardari Bill Gates e Richard Branson hanno annunciato “molti  progetti emersi dal summit che inietteranno denaro per i tentativi di limitare gli effetti del cambiamento di clima.” Il capo della Banca Mondiale ha insistito nel dire che l’istituzione smetterà di finanziare i programmi per i combustibili fossili nei prossimi due anni. Anche gli ex funzionari americani hanno fatto sentire la loro voce, come U.S. News & World Report (una società americana di media)  ha osservato: “Uno per uno, i funzionari, compresi l’ex Governatore della California Arnold Schwarzenegger, il miliardario [ed ex sindaco di New York City] Michael Bloomberg,  e l’ex U.S. Segretario di Stato John Kerry, hanno insistito che il mondo si sposterà verso combustibili più puliti e ridurrà le emissioni indipendentemente dal fatto che l’amministrazione Trump contribuisca.”

Mi confortano anche gli straordinari successi ottenuti dalla società civile internazionale. Considerate, per esempio, il lavoro della Campagna internazionale per l’abolizione  delle armi nucleari (ICAN) assegnataria, quest’anno, del Premio Nobel per la Pace. Questa estate, come conseguenza della campagna guidata dall’ICAM, due terzi delle nazioni del mondo – 122 paesi – hanno firmato il Trattato per la proscrizione delle armi nucleari che vieta l’uso, la produzione e il possesso di armi nucleari. Quel trattato, e il Nobel che ha ricompensato i suoi organizzatori, non ha ottenuto molta copertura dai media degli Stati Uniti, forse perché, prevedibilmente, noi americani non lo abbiamo firmato.

In effetti, nessuna delle potenze nucleari esistenti lo ha firmato, ma il trattato resta tuttavia significativo. Non dovremmo sottovalutare il potere morale di accordi internazionali come questo. Pochi di noi ricordano il patto Kellog-Briand del 1928 che bandiva il ricorso alla guerra per la risoluzione di dispute internazionali. Cionondimeno, quel trattato ha formato la base per la condanna dei criminali di guerra nazisti a Norimberga per i loro crimini contro la pace. Implicitamente, il trattato Kellogg-Briand ha anche legalizzato un’intera serie di azioni che ora le nazioni possono intraprendere, compreso l’uso di sanzioni contro paesi che violano le norme o le leggi internazionali.

I leader della ICAN, Beatrice Fihn e Setsuko Thurlow (anche lei è una sopravvissuta di Hiroshima) che, con il tempo, il trattato cambierà il modo in cui il mondo pensa alle armi nucleari, trasformandole da un male necessario a uno inconcepibile e quindi, in definitiva, porterà alla loro eliminazione. Come la Fihn ha detto a  Stephen Sackur della BBC: “Se ti senti a disagio riguardo alle armi nucleari con Donald Trump, probabilmente ti senti a disagio per le armi nucleari in generale”. In altre parole, l’dea delle piccole dita di Trump sul grilletto nucleare è sufficiente a far sì che una persona cominci a chiedersi se le dita di chiunque dovrebbero essere sul quel grilletto.

La reazione del mondo  per  Parigi e l’appassionata fede  razionale dell’ICAN  nel potere della legge internazionale, sono come un bevuta di acqua fresca in una giornata caldissima.

*Medicaid è un programma congiunto federale e statale che aiuta a far fronte a costi medici per alcune persone con reddito e risorse finanziarie limitati. Medicaid può anche aiutare a coprire servizi che non sono normalmente coperti da Medicare (come assistenza e servizi a lungo termine e servizi di cura personale).

 

note

*https://it.wikipedia.org/wiki/Medicare

Il Voting Rights Act è stata una legge che ha permesso ai cittadini neri degli Stati Uniti d’America, di poter votare alle elezioni che si svolgevano nel paese. Promotore di questa legge è stato Martin Luther King e dalla presidenza di Lyndon B. Johnson (1965).

 


Rebecca Gordon, collaboratrice di  TomDispatch insegna al dipartimento di filosofia all’Università di San Francisco. E’ autrice di American Nuremberg: The U.S. Officials Who Should Stand Trial for Post-9/11 War Crimes. I suoi precedenti libri comprendono: Mainstreaming Torture: Ethical Approaches in the Post-9/11 United States e Letters from Nicaragua.


Questo articolo è apparso per la prima volta su TomDispatch.com, un weblog del Nation Institute che offre un flusso continuo di fonti alternative, notizie e opinioni di TomEngelhardt per lungo tempo direttore editoriale, co-fondatore dell’American Empire Project, e autore di The End of Victory Culture [La fine della cultura della vittoria]e anche di un romanzo The Last Days of Publishing [Gli ultimi giorni dell’editoria]. Il suo libro più recente è: Shadow Government: Surveillance, Secret Wars, and a Global Security State in a Single-Superpower World (Haymarket Books). [Il governo ombra: sorveglianza, guerre segrete, e uno stato di sicurezza globale in un mondo con un’unica super potenza.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-president-plays-with-matches

 

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