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22 dicembre 2017

 

Il taccuino dei cowboy

di Daniele Perra

 

Alcune considerazioni sul voto ONU che condanna la decisione di Washington di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele.

 

Nel suo personale Midrash alla Genesi, R. Shelomoh Ben Isaak (1040-1105), meglio noto come Rashi, affermava:

Se i popoli del mondo dicessero ad Israele “voi siete dei predoni perché avete preso con la forza le terre appartenenti alle sette nazioni”, essi potrebbero replicare loro: “tutta la terra appartiene al Santo, benedetto Egli sia: è Lui che l’ha creata e l’ha data a chi parve giusto ai suoi occhi. Con un atto della Sua volontà egli l’ha tolta a loro e l’ha data a noi”.  Poiché tutto l’universo appartiene a Jahvè, Egli può dare al suo popolo il mondo intero.

 

Il voto di giovedì 21 dicembre alle Nazioni Unite sembrerebbe dare torto al commento di Rashi al primo libro della Torah. Tuttavia, una più approfondita riflessione si rende necessaria. La risoluzione votata dall’Assemblea generale dell’ONU è una risoluzione formale che nella sostanza non cambierà nulla. La cosiddetta “comunità internazionale”, tanto risoluta sulla questione di Gerusalemme e sulla soluzione dei due Stati, continua a tacere sul terrorismo israeliano che continua ad uccidere ed arrestare minorenni e disabili nell’impunità più totale.

 

La risoluzione è stata presentata dall’Egitto; nazione che, nonostante i roboanti proclami di al-Sisi, sopravvive grazie all’aiuto economico nordamericano e saudita ed è stata fino ad ora in ottimi rapporti con Israele. I sauditi stessi, rispettosi dei loro protettori, hanno impedito agli Imam di Mecca e Medina di fare specifiche menzioni alla decisione statunitense nei loro sermoni. La contro-scelta dell’Organizzazione per la cooperazione islamica di dichiarare Gerusalemme “capitale eterna” della Palestina ha un valore esclusivamente simbolico se si considera che Gerusalemme Est, di fatto, è sotto occupazione israeliana dal 1967 e che non si è mai posto un freno all’insediamento di nuovi coloni. Senza considerare il fatto che il promotore dell’iniziativa è stato il presidente turco Erdogan (non estraneo ad una certa ambiguità di rapporti con Israele ed anch’egli avvezzo a proclami sensazionalistici) che solo qualche anno fa era riuscito a dichiarare di aver costretto gli israeliani ad interrompere l’assedio di Gaza (sic!).

 

L’Europa, compatta nel voto, sembra continuare a non digerire il volgare dirigismo trumpiano ed a rimpiangere il lead from behind di Obama. Per la serie dominateci ma fatelo con delicatezza. I governi europei continuano a sostenere una soluzione negoziale a cui Israele non è interessata ed alla quale l’ANP è costretta perché vive in larga parte del sostegno finanziario europeo. A ciò si aggiunge il fatto che l’istituzione europea e molti dei governi nazionali al suo interno non godono di particolare popolarità. Un fenomeno nei confronti del quale Netanyahu, a cui tutto si può dire tranne che non sia un politico navigato, si sta premunendo stringendo buoni rapporti con una certa “destra” in ascesa nel continente: dall’ungherese Orban al rampante nuovo cancelliere austriaco Kurz.

 

Per ciò che concerne gli Stati Uniti, non possiamo che ringraziare ancora una volta l’amministrazione Trump per averci mostrato il reale volto dell’America. Il “prenderemo i nomi” dell’ambasciatrice statunitense all’ONU, quella Nikki Haley che solo qualche giorno fa aveva presentato un rottame ferroso come la prova inconfutabile del sostegno iraniano ai ribelli Houthi dello Yemen, non è né una minaccia né una novità. Lo scandalo Datagate ha insegnato che gli Stati Uniti sono abituati a schedare ed a raccogliere informazionitanto sui loro “nemici” quanto su quelli che teoricamente dovrebbero essere i loro alleati ma che puntualmente vengono considerati sulla base di una relazione di vassallaggio.

 

A subire le conseguenze di questo indegno spettacolo dell’ipocrisia è sempre e solo il popolo palestineseche vive sulla propria pelle i nefasti disegni geopolitici di potenze il cui unico interesse è l’egemonia e l’espansione a discapito dei diritti nazionali.

 

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