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10/04/2017

 

L’intervento Usa e la legalità internazionale
di Natalino Ronzitti

professore emerito di Diritto internazionale alla Luiss Guido Carli e consigliere scientifico dello IAI.

 

 

Il lancio di missili americani contro la Siria del 7 aprile ha sollevato numerosi commenti, che tuttavia non hanno affrontato il problema della legalità internazionale. 

Taluni hanno visto nell’intervento la fine della politica isolazionista più volte enunciata da Trump e un riposizionamento della politica americana nei confronti della Siria. Altri hanno addirittura salutato l’intervento come benefico, poiché avrebbe rimesso in moto i negoziati. Concorde, almeno tra gli occidentali, è il giudizio secondo cui gli Stati Uniti sono finalmente rientrati nel gioco siriano, che era diventato appannaggio della sola Russia.

Nessuno, almeno nella grande stampa, s’è chiesto se lo strike Usa fosse conforme al diritto internazionale. Probabilmente il quesito è stato considerato non meritevole di approfondimento e lasciato alle elucubrazioni dei siti specializzati, dove si esercitano i giuristi, le cui opinioni sono tenute in considerazione, spiace dirlo, solo quando fanno comodo per avvalorare calcoli e ragionamenti esclusivamente politici. 

Ma così facendo si trascurano i principi della legalità internazionale, che dovrebbero guidare l’azione politica, e si finisce per sminuire l’opera delle Nazioni Unite che, finché esistono, dovrebbero costituire il fondamento del multilateralismo e dell’ordine mondiale.

Le giustificazioni degli Stati Uniti
Quale giustificazione hanno dato gli Stati Uniti? Si è trattato di una reazione all’uso, secondo loro provato, di armi chimiche da parte di Assad in occasione del bombardamento, il 4 aprile, della località di Khan Shaykun in mano ai ribelli siriani. Il bombardamento ha fatto numerose vittime, tra cui molti bambini, suscitando lo sdegno e l’emozione del presidente americano. Di regola quando si usa la forza, la giustificazione viene data con una lettera al Consiglio di Sicurezza (CdS) o al segretario generale delle Nazioni Unite, da cui si evince la motivazione giuridica dell’intervento.

Questa volta le motivazioni sono desumibili dalla lettera di Trump al Congresso. Si afferma che quando la comunità internazionale viene meno al suo dovere di agire collettivamente, gli Stati sono obbligati ad agire. Un intervento individuale diventa quindi legittimo. L’azione degli Usa è stata incondizionatamente condivisa dagli alleati europei. Non solo dal Regno Unito, ma anche da Francia e Germania. La Germania ha quindi abbandonato la sua cautela che, nel 2003, l’aveva portata ad esprimersi contro l’intervento in Iraq. Quanto all’Italia, il premier Gentiloni ha dichiarato che si è trattato di “una risposta motivata a un crimine di guerra”.

Quali sono le regole del diritto internazionale
Il diritto internazionale, attraverso la Carta delle Nazioni Unite e il suo art. 2, par. 4, proibisce l’uso della forza armata. Il ricorso alla coercizione militare è ammesso solo in due ipotesi: in caso di legittima difesa contro un attacco armato oppure qualora esso sia autorizzato dal CdS. Si discute se l’uso della forza armata sia ammissibile in caso di intervento d’umanità, cioè per far fronte a trattamento inumani e degradanti della sua popolazione da parte dello Stato contro cui s’interviene.

Ma l’intervento d’umanità, se non autorizzato dalle Nazioni Unite, non è giuridicamente giustificabile secondo la maggior parte dei giuristi. In secondo luogo, come è stato sottolineato, un’azione limitata quale quella degli Stati Uniti non può essere considerata per la sua portata circoscritta come un intervento umanitario (si pensi all’intervento in Kossovo nel 1999). Piuttosto lo strike Usa può essere inquadrato nel novero delle rappresaglie armate, essendo volto allo scopo, come hanno detto gli Usa, di degradare la capacità militare siriana di effettuare ulteriori attacchi chimici e di dissuadere il regime siriano all’uso della proliferazione chimica.

Gli Stati Uniti non hanno subito direttamente il bombardamento chimico. Tuttavia si tratta di una violazione di un obbligo internazionale posto a tutela di tutti gli Stati membri della comunità internazionale. Ciascuno è abilitato ad adottare una contromisura, ma essa non può consistere nell’uso della forza armata.

La violazione della Convenzione sul disamo chimico
La Siria è divenuta parte della Convenzione sul disarmo chimico del 1993 solo nel 2013, essendo stata praticamente costretta ad aderire da una pressione congiunta di Russia e Stati Uniti, in seguito agli orrori suscitati dal ricorso dell’esercito siriano alle armi chimiche. La risoluzione 2118 (2013) del CdS detta un piano per la distruzione delle armi chimiche e l’eliminazione delle fabbriche per la loro produzione.

L’arsenale chimico siriano è stato in larga parte distrutto, con l’attiva partecipazione di Danimarca, Norvegia, Italia e soprattutto Stati Uniti. Ci sono stati dei ritardi dovuti alla guerra civile e, come dimostrano i recenti episodi di uso di armi chimiche, non tutti gli stock sono stati distrutti. La responsabilità è di volta in volta attribuita al governo costituito, ai ribelli ed ai gruppi terroristici. 

La Convenzione sul disarmo chimico prevede strumenti molto perfezionati per la verifica dell’esistenza di armi chimiche, su iniziativa degli stati parti e con l’invio di missioni indipendenti che fanno capo all’Organizzazione per il disarmo chimico, missioni che possono essere svolte nel territorio dello stato sospettato.

Altri strumenti e procedure sono previsti in caso di violazione, ma mai il ricorso alla forza armata, tranne che questo sia ovviamente autorizzato dal CdS o si versi in un’ipotesi di legittima difesa. Uno spiraglio è aperto dalla risoluzione 2118, il cui par. 21 stabilisce che in caso di uso di armi chimiche in Siria possono essere prese misure previste dal Capitolo VII della Carta? 

Probabilmente sì, ma tali misure, che potrebbero comportare l’uso della forza, devono essere prese dal CdS. Sta di fatto che gli Usa non ne hanno fatto cenno, neppure in occasione del dibattito in CdS subito dopo l’intervento contro la Siria. Stesse considerazioni valgono per quella parte della risoluzione 2118, dove si afferma che coloro che fanno uso di armi chimiche saranno tenuti personalmente responsabili. La commissione di crimini di guerra non giustifica l’uso della forza armata.

Conclusioni: difficilmente giustificabile
L’intervento Usa è difficilmente giustificabile sotto il profilo del diritto internazionale, tranne che non si vogliano ammettere ipotesi strampalate, come quella secondo cui gli Usa avrebbero agito in legittima difesa a favore delle vittime colpite dalle armi chimiche. Anche lo slogan dell’intervento “illegale, ma legittimo”, coniato a proposito dell’intervento in Kossovo, non aiuta molto.

Chi voglia salvaguardare in qualche modo l’azione degli Stati Uniti, sempre sanabile in virtù di una successiva risoluzione del CdS per ora impensabile, deve porsi in un’ottica diversa: ad esempio ammettere che si è trattato di una minore violazione del diritto internazionale, che non costituisce aggressione e che, in quanto tale, non consentirebbe alla Russia di reagire in legittima difesa. Tanto più che essa era stata avvertita dell’imminenza dell’attacco. Ma ognuno vede come si tratti di un percorso irto di ostacoli.

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