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30 agosto 2017

 

Il terrore la prossima volta 

di Ramzy Baroud

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

La seconda città più grande dell’Iraq, Mosul, è stata ridotta in macerie. Alla fine è stata conquistata, strappata via dal famigerato gruppo, Daesh, dopo mesi di implacabili bombardamenti a opera della coalizione bellica guidata dagli Stato Uniti e dopo una massiccia guerra sul terreno.

 

Però ‘vittoria’ non può certo essere il termine assegnato a questo momento. Mosul, che una volta era il gioiello culturale dell’Iraq e un modello di coesistenza, è ora una ‘città di cadaveri’, come è stata descritta da un giornalista straniero che ha camminato tra le sue rovine, riparandosi il naso dall’odore nauseante.

 

“Avete probabilmente saputo delle migliaia di persone uccise, della sofferenza dei civili,” ha detto Murad Gazdiev. “Quello di cui non avete sentito parlare è l’odore. E’ nauseante, ripugnante, ed è dappertutto: l’odore dei corpi putrefatti.”

 

In realtà, “l’odore dei corpi putrefatti” si può trovare ovunque Daesh è stato sconfitto.

Il gruppo che una volta ha dichiarato un Califfato – uno stato islamico – in Iraq e in Siria nel 2014, e che è stato lasciato libero di espandersi in tutte le direzioni, sta ora venendo sconfitto frettolosamente.

 

Un fatto del genere ci lascia con la domanda:  in che modo un piccolo gruppo, esso stesso una creazione di altri gruppi ugualmente famigerati possa avere dichiarato, diffuso e sostenuto uno ‘stato’ per anni, in una regione piena di eserciti stranieri, milizie e i servizi segreti più potenti del mondo?

 

Ma questa domanda non dovrebbe diventare irrilevante adesso, considerando che alla fine si sta sgominando Daesh, con metodi molto violenti e risoluti?

 

Ebbene, questo è ciò su cui quasi tutti sembrano essere d’accordo; perfino i rivali politici e militari sono apertamente uniti proprio per questo obiettivo.

 

A parte la città di Mosul in Iraq, Daesh è stato anche sconfitto nella sua roccaforte nella città di Raqqa, nella zona orientale della Siria.

 

Coloro che incredibilmente sono sopravvissuti alle battaglie di Mosul e di Raqqa si sono ora rifugiati a Deir-er-Zor che promette di essere la loro ultima battaglia importante.

Infatti la guerra contro Daesh si sta spostando verso zone fuori dai centri densamente popolati dove il gruppo militante ha cercato un luogo sicuro. Tuttavia anche i militanti di Daesh stano venendo  espulsi da queste regioni, per esempio nella regione occidentale di Qalamoun al confine tra Siria e Libano.

 

Anche in pieno deserto non si è più sicuri. Il Deserto di Badiya,  che si estende dalla Siria Centrale ai confini dell’Iraq e della Giordania, sta assistendo a pesanti combattimenti incentrati nella città di Sukhnah.

Brett McGurk, l’inviato speciale degli Stati Uniti per la ‘Coalizione Globale per Opporsi all’ISIS’, di recente è tornato in America dopo aver trascorso alcuni giorni nella regione. Ha parlato alla rete televisiva CBS con evidente sicurezza.

 

Ha detto: “Le forze di Daesh stanno combattendo per lo loro vita isolato per isolato,” riferendo che il gruppo militante aveva perduto grosso modo il 78% delle aree in precedenza controllate in Iraq fin dal suo  picco del 2014, e circa il 58% dei suoi territori in Siria.

 

Prevedibilmente, i funzionari statunitensi e i media stanno per lo più sottolineando i guadagni militari  che attribuiscono alle forze guidate dagli Stati Uniti e ignorano tutti gli altri, mentre gli alleati guidati dai Russi stanno facendo proprio il contrario.

 

A parte le numerose tragedie umanitarie associate a queste vittorie, in primo luogo nessuna delle parti coinvolte si è presa alcuna responsabilità per l’ascesa di Daesh.

Devono farlo e non soltanto come fatto di responsabilità morale. Senza comprendere ed affrontare i motivi che stanno dietro all’ascesa di Daesh, si è sicuri che la caduta di Daesh darà origine ancora a un altro gruppo con una visione ugualmente efferata, disperata e violenta.

 

Coloro che nei media ordinari hanno tentato di analizzare le radici di Daesh, stoltamente trattano le sue radici ideologiche senza prestare la minima attenzione alla realtà politica dalla quale  il gruppo è partito.

 

Sia che si tratti di Daesh, di Al-Qaida o di qualsiasi altro, questi gruppi sono di solito nati e rinati in luoghi che soffrono della stessa malattia cronica: un governo centrale debole, un’invasione straniera, un’occupazione militare e terrore di stato.

 

Il terrorismo è l’effetto collaterale della brutalità e dell’umiliazione, indipendentemente dalla fonte, ma è più spiccato quando la fonte è straniera.

 

Se questi  fattori non vengono trattati con sincerità, non ci può essere fine al terrorismo.

Quindi, non dovrebbe essere una sorpresa che Daesh sia stato modellato, e che abbia prosperato in paesi come l’Iraq, la Siria e la Libia e in zone come il deserto del Sinai. Inoltre, anche molti di coloro che hanno risposto all’invito di Daesh sono “spuntati” da comunità che hanno sofferto la crudeltà dei regimi arabi spietati, o l’abbandono, l’odio e l’alienazione nelle società occidentali.

 

La ragione per cui molti si rifiutano di riconoscere un tale fatto e combatterebbero con le unghie e coi denti per screditare un tale argomento, è che l’ammissione di colpa renderebbe molte persone responsabili del terrorismo che sostengono di combattere.

 

Coloro che sono contenti di biasimare l’Islam, una religione che è stata uno dei principali fattori che hanno contribuito al rinascimento culturale europeo, non sono semplicemente ignoranti; alcuni sono guidati da infami piani di azione, ma lo loro irragionevole idea di biasimare la religione, è stupida come la vaga ‘guerra al terrore’ di George W. Bush.

 

I giudizi indiscriminati, non informati possono soltanto prolungare il conflitto.

Inoltre, le nozioni generalizzate ci impediscono un tentativo limitato di raffrontare collegamenti specifici e chiaramente ovvii, per esempio, tra l’arrivo di Al-Qaeda in Iraq e l’invasione americana del loro paese; tra l’ascesa del marchio settario di Al-Qaeda come Abu Musab al-Zarqawi e la divisione settaria di quel paese quando era amministratore degli Stati Uniti in Iraq, Paul Bremer, e i suoi alleati  nel governo di Baghdad guidato dagli Sciiti.

Avrebbe dovuto essere chiaro dall’inizio, che Daesh, notoriamente violento come è, era uno dei sintomi e non la causa. Dopo tutto, Daesh ha soltanto 3 anni.

L’occupazione straniera e la guerra nella regione è antecedente di molti anni al suo inizio.

Anche se ci è stato detto dallo stesso Daesh, ma anche dagli opinionisti dei media, che Daesh verrà accettato, è risultato che il gruppo è soltanto una fase passeggera

di un lungo collage pieno di violenza e privo sia di moralità che del coraggio intellettuale di esaminare le vere radici della violenza.

E’ probabile che la vittoria su Daesh sia di breve durata. Il gruppo elaborerà certamente una nuova strategia di guerra oppure si trasformerà ulteriormente. La storia ce lo ha insegnato spesso.

E’ anche probabile che coloro che orgogliosamente si stanno prendendo il merito di avere sistematicamente ed efficacemente annientato il gruppo – e anche intere città – non si fermeranno neanche un momento a pensare che cosa devono fare di diverso per impedire che un nuovo Daesh si concretizzi.

Stranamente la ‘Coalizione globale guidata dagli Stati Uniti per opporsi all’ISIS’ sembra avere accesso alla potenza di fuoco necessaria a trasformare le città in macerie, ma non la saggezza di comprendere che la violenza incontrollata non ispira altro che violenza, e che il terrore di stato, gli interventi stranieri e l’umiliazione collettiva di intere nazioni sono tutti ingredienti necessari per ricominciare da capo il bagno di sangue.


Ramzy Baroud è un giornalista, scrittore e direttore di Palestine Chronicle. Il suo prossimo libro è: ‘The Last Earth: A Palestinian Story’ (Pluto Press). Baroud ha un dottorato in Studi Palestinesi dell’Università di Exeter ed è Studioso  Non Residente presso il Centro Orfalea per gli Studi Globali e Internazionali all’Università della California. Visitate il suo sito web: www.ramzybaroud.net.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/the-terror-next-time

Originale: Non indicata

 

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