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3 aprile 2017

 

Giù le mani dal Venezuela!

di Andrea Muratore

 

Media internazionali, governi avversari e rivali politici interni: la Repubblica Bolivariana è sotto assedio. Tra sentenze cruciali e incertezze, l’esecutivo di Nicolas Maduro si barcamena per risolvere la grave crisi del Paese in una situazione di perenne instabilità e di reiterate tensioni, acuite dall’operato di un sistema informativo praticamente a senso unico.

 

Nelle ultime, roventi giornate, il Venezuela ha conosciuto una strenua riacutizzazione della sua crisi politica interna ed è, nuovamente, finito sotto il fuoco della grande informazione mainstream e divenuto oggetto di macroscopiche ingerenze straniere nei suoi equilibri istituzionali interni. La storia dell’approccio dei mass media nostrani al Paese nativo del “socialismo del XXI secolo” e del populismo latinoamericano è la storia di unacolossale distorsione della realtà che, oramai, perdura da quindici anni, dai decisivi giorni del golpe contro Chavez dell’aprile 2002, in cui governi e mezzi d’informazione occidentali proclamarono a gran voce il loro disappunto per il successo del legittimo governo di Hugo Chavez contro i golpisti guidati dal Presidente della Confindustria Pedro Carmona, figlio della straordinaria reazione popolare raccontata dal lungometraggio La Rivoluzione non sarà teletrasmessa degli irlandesi Kim Bartley e Donnacha Ó Briain. Oggi, a essere accusato di “golpe strisciante” dai pionieri della demonizzazione del Venezuela bolivariano, tra cui si segnala in testa al gruppo l’immancabile Repubblica, è la stessa amministrazione del Presidente Maduro: l’accusa mossa al delfino di Hugo Chavez, infatti, è di aver mirato ad accentrare tutti i poteri nelle sue mani dopo che, tra le giornate del 28 e del 29 marzo, ilTribunal Supremo de Justicia (TSJ), la Corte Suprema del Paese, ha duramente sanzionato l’Asemblea Nacional, il Parlamento venezuelano controllato dall’eterogenea opposizione della Mesa de la Unidad Democratica (MUD).

Il TSJ “ha deciso di avocare a sé le funzioni del Parlamento, considerato en desacato (“in ribellione”) dal 5 gennaio 2016”, ha scritto Geraldina Collotti su Il Manifesto, “per aver voluto accreditare tre deputati dello Stato Amazonas, la cui elezione – a dicembre del 2015 – era stata annullata per frodi comprovate”.

A partire dal 30 marzo scorso, di conseguenza, Maduro avrebbe avuto in mano la possibilità di attivare l’Articolo 323 della Costituzione e di operare la transizione temporanea dei poteri in mano al supremo organo di tutela dello Stato, il Consiglio di Difesa della Nazione. Una mossa che avrebbe rappresentato una totale rottura del governo chavista con l’opposizione ma che, al contempo, avrebbe avuto il supporto della legge costituzionale venezuelana: a sedici mesi dalla sua entrata in vigore, nel dicembre 2015, l’attuale Parlamento di Caracas è stato sfruttato dall’ala oltranzista della MUD per portare avanti una crociata unilaterale contro il governo di Maduro e, a più riprese, si è trasformato nella cassa di risonanza di forze politiche reazionarie come il movimento Voluntad Popular, che ne hanno completamente egemonizzato il dibattito interno, promuovendo ripetute richieste di impeachment contro il Presidente in oltraggio alle leggi fondamentali del Venezuela. Nello scorso mese di ottobre, su L’Intellettuale Dissidente, si era parlato di come il governo di Caracas avesse gettato ponti, con l’intermediazione del Vaticano, verso l’ala dialogante dell’opposizione, rappresentata da personalità come il Segretario Generale della MUD Jesùs Torrealba, procedendo al tempo stesso a premunirsi da un’eventuale escalation delle tensioni: a diversi mesi di distanza, il muro contro muro istituzionale prosegue, e se da un lato Maduro, nonostante una ritrovata verve e un inusitato spirito d’iniziativa, continua a essere figura divisiva e controversa, dall’altro il massimalismo della MUD ha portato la coalizione di opposizione a dilapidare il potenziale politico insito nella travolgente affermazione alle elezioni legislative del dicembre 2015, la quale lungi dal rappresentare la Notte di Valpurga del chavismo ha avviato una fase di instabilità istituzionale di cui tuttora non si intravede la via d’uscita.

L’attivazione dell’Articolo 323 non avrebbe in alcun modo apportato benefici alle politiche del governo di Caracas: essa avrebbe ulteriormente infervorato il frondismo della MUD e, al contempo, pregiudicato qualsivoglia di possibilità di riconciliazione nel mondo politico venezuelano. La scelta di Maduro, ribadita nella riunione straordinaria del Consiglio di Difesa della Nazione del 31 marzo, è stata assolutamente conciliante: il Presidente, e il Consiglio da questi presieduto assieme a lui, ha invocato la concordia istituzionale e invitato il TSJ a rivedere il suo verdetto circa la condanna inflitta al Parlamento che, contrariamente a quanto riportato da buona parte dei giornali italiani, non era stato in alcun modo “dissolto” od “esautorato”, come giustamente ricordato dal corporate media latinoamericano TeleSur.

 

A oltre un anno dalla constatazione dei brogli elettorali dello Stato di Amazonas, una sentenza del genere circa l’incostituzionalità dell’azione dell’Asamblea Nacional era prevedibile e nell’aria. Il fatto che il governo abbia preferito la linea morbida, certificata dal nuovo verdetto del TSJ che, a detta del suo Presidente Maikel Moreno, porterà il Parlamento a ritrovarsi in ogni caso sotto un continuo controllo di legittimità, è giustificabile, oltre che con la volontà di mantenere aperta la via del dialogo, anche con l’esistenza di ulteriori, delicate problematiche che il Venezuela si trova a dover urgentemente affrontare. In primo luogo, è utile segnalare come il ricorso che aveva portato allo scavalcamento dell’Asamblea fosse stato promosso dall’ente petrolifero di Stato PDVSA e fosse legato a una delibera da questa adottata in completa opposizione a un decreto del governo che consentiva la costituzione di joint ventures tra PDVSA stessa e società straniere: un passo verso la razionalizzazione dell’ampio apparato economico statale e una premessa per la diversificazione sistemica che, oggigiorno, rappresentano le riforme più importanti per il futuro del Venezuela, per la cui introduzione in futuro l’esecutivo dovrà necessariamente trovare un modus vivendi con settori dell’opposizione.

Inoltre, l’attivazione dell’Articolo 323 avrebbe portato il governo di Caracas ad essere esposto al fuoco incrociato dell’ala radicale della MUD e dei suoi sostenitori internazionali, attualmente rappresentati dall’Organizzazione degli Stati Americani (OSA) e personificati dal suo Segretario Luis Almagro, il quale negli ultimi mesi si è più volte lanciato lancia in resta contro la Repubblica Bolivariana, perorandone in continuazione l’esclusione dal consesso e venendo supportato, in questa sua istanza, dallo stesso Presidente dell’Asamblea Nacional Julio Borges!

 

Mentre il Presidente boliviano Evo Morales, unico reduce della “prima ondata” di leader del “socialismo del XXI secolo”, ha fortemente criticato le politiche dell’OSA e difeso l’alleato venezuelano, alla pari di quanto fatto dagli altri Paesi ALBA, il Dipartimento di Stato di Washington, guidato dall’ex CEO di Exxon-Mobil e tenace avversario della Repubblica Bolivariana Rex Tillerson, ha nuovamente operato un’aperta ingerenza nella politica del Paese chiedendo lo svolgimento, nel più breve tempo possibile, di una tornata elettorale in Venezuela. Spiace vedere l’Europa accodarsi al conformismo proveniente da oltre Atlantico e unirsi in maniera acritica al coro dei critici del Venezuela: il Presidente del Parlamento Europeo, Antonio Tajani, non nuovo a esternazioni infelici sul Paese, ha infatti espresso solidarietà a Julio Borges, da tempo tra i principali oltranzisti della MUD e tra i principali fautori della crisi istituzionale della nazione. Voce fuori dal coro la sola Russia, che ha criticato le continue ingerenze straniere in Venezuela e invitato a un atteggiamento costruttivo i principali attori internazionali: è nuovamente da Mosca che vengono le principali garanzie di difesa del mondo multipolare, e in casi del genere bastano anche dei semplici, ma significativi statement a dimostrarlo. Parole che possono essere lette come un messaggio chiaro: giù le mani dal Venezuela, giù le mani da un Paese che, tra crisi economica, conflittualità interne e cecchinaggio politico-mediatico sistematizzato, oggigiorno si trova di fronte a una fase storica cruciale per preservare i frutti del primo quindicennio della Rivoluzione Bolivariana, così duramente messi a repentaglio nell’ultimo triennio.

 

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