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13 nov 2017

 

Parla Hariri: “Tornerò presto e forse non mi dimetto”

di Chiara Cruciati

 

Il discorso di ieri del premier/ex premier confonde ancora di più il popolo libanese. La Lega Araba abbraccia la narrativa saudita: confrontare l’Iran generando il caos

 

Roma, 13 novembre 2017, Nena News –

 

Il “mistero Hariri” si infittisce. Il discorso che ieri il premier/ex premier libanese ha rilasciato alla Future Tv, l’emittente del suo partito Mustaqbal, aumenta le nubi intorno alle dimissioni annunciate dieci giorni fa da Riyadh.

“Qui nel regno dell’Arabia Saudita sono libero. Ho libertà completa ma voglio proteggere la mia famiglia. Posso tornare domani se voglio – ha detto in merito alle voci che lo danno per prigioniero in Arabia Saudita – Tornerò in Libano presto, non parlo di mesi ma di giorni, e porterò avanti i passi costituzionali necessari per formalizzare le mie dimissioni”. Un passo che giustifica con l’intenzione di “mandare uno choc positivo” al Paese dei Cedri che, ribadisce usando la narrativa saudita, è ostaggio dell’asse sciita Iran-Hezbollah.

Un passo, però, che potrebbe essere ritirato: “Una marcia indietro rispetto alle dimissioni è possibile nel caso in cui le forze politiche rispetteranno una politica di auto-esclusione dai conflitti regionali, evitando di coinvolgere il paese nelle guerre vicine”.

Ovvio il riferimento a Hezbollah, nonostante gli undici mesi di governo comune e di convivenza e divisione dei poteri non solo con il movimento sciita ma anche con il presidente Michel Aoun, legato al gruppo di Nasrallah. Proprio Aoun ha reagito di nuovo ieri alle parole di Hariri, insistendo sullo status di “prigioniero” del primo ministro: Hariri, ha detto, vive in “circostanze misteriose” in Arabia Saudita con Riyadh che ne limita le libertà e impone “condizioni sulla sua residenza e sui contatti con i membri della sua famiglia. Il presidente libanese è poi tornato a chiedere ai sauditi di chiarire la posizione di Hariri, che preoccupa tutto il popolo libanese, per lo più convinto che lo status del loro premier non sia affatto cristallina come lui prova a far passare.

Una parziale conferma arriva da una fonte vicina allo stesso Hariri che, parlando con la Reuters, ha affermato che il premier si è dimesso contro la sua volontà, costretto dai Saud. Aggiungono altre fonti, il piano saudita potrebbe essere quello di sostituire Saad con il fratello più grande, Bahaa.

Ieri, intanto, la Lega Araba ha deciso di tenere un meeting d’urgenza dei ministri degli Esteri, la prossima domenica, per discutere “gli strumenti per confrontare l’interferenza iraniana nei paesi arabi”. La visione saudita, dunque, si fa strada. Palesemente rivolta a generare il caos in una regione già martoriata da conflitti bellici e scontri ben poco latenti, la politica di Riyadh prova a rivoluzionare l’attuale “equilibrio” provocando terremoti politici tra i paesi e all’interno dei paesi stessi.

Il Libano rischia molto, paese storicamente instabile e vittima delle influenze delle potenze regionali, e la decisione di Hariri – che sia stata imposta o meno – ha un potenziale distruttivo pericoloso: l’attuale governo è stato frutto di una lunghissima negoziazione, giunta dopo due anni di discussioni tra le varie forze politiche e che ha condotto ad un governo di unità nazionale, sostenuto anche da Hezbollah.

Con grande difficoltòà, Beirut è riuscita a farsi solo lambire dalle guerre regionali che stanno distruggendo i paesi vicini: ha accolto milioni di profughi siriani, che vivono oggi in condizioni di estrema difficoltà nei campi e nelle città libanesi, ha visto crescere il ruolo militare di Hezbollah in Siria, ha subito attacchi da parte dell’Isis e dei qaedisti di al-Nusra al confine con la Siria, ma ha evitato che le tensioni dei vicini si trasferissero nel paese e si traducessero in un conflitto interno devastante.

Ora l’Arabia Saudita, tramite Hariri, prova a mettere all’angolo Hezbollah, costringendolo ad un passo indietro o ad una rottura definitiva. Una scelta che ricadrebbe sulle spalle dell’Iran, al momento la potenza più forte sul piano militare e su quello politico nella regione, con buona pace di Riyadh che raccoglie i cocci del suo bellicismo in Yemen, Siria, ma anche in Qatar, destabilizzando il Medio Oriente. Nena News

 

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