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Venerdì, 9 Giugno, 2017

 

Arabia Saudita-Qatar: una crisi tattica e strategica

di Giuseppe Dentice

Ph.D Student Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano e Associate Researcher ISPI

 

La spaccatura politica che sta andando in scena in questi giorni nel Golfo è l’ennesima riprova della fragilità delle relazioni interstatali nella Penisola arabica, un’area dal potenziale economico ancora pienamente inespresso e allo stesso tempo incapace di produrre una politica estera regionale (o addirittura internazionale) unificata che marci nella stessa direzione. 

La nuova frattura emersa dopo mesi di accesi scontri sotterranei conferma quanto andato in scena nel 2014, ossia una profonda divisione che regna tra l’Arabia Saudita, la maggiore tra le monarchie del Golfo e aspirante unica potenza regionale sunnita, e il Qatar, outsider totale, al pari della Turchia sua principale alleata, nelle dinamiche intra- e trans-regionali alla Penisola arabica e al Grande Medio Oriente. 

Oggi come allora, le monarchie sunnite del Golfo (con l’aggiunta di Egitto e Yemen, attori strettamente legati da interessi molteplici a Riyadh) hanno accusato il Qatar di sostenere e finanziare i gruppi terroristici siriani e mediorientali in generale. Tra questi venivano citate anche organizzazioni afferenti all’Islam politico, come la Fratellanza musulmana e Hamas, e inserite nelle singole black list nazionali del terrorismo da quasi tutte le monarchie del Golfo ad eccezione di Qatar e Oman. 

Ad una prima occhiata pare evidente che l’accusa di sostegno al terrorismo possa sembrare ambigua, o quanto meno riduttiva rispetto alla molteplicità di interessi in gioco, soprattutto se si considera che gli attori che promuovono tale campagna sono gli stessi coinvolti nei principali scenari di crisi mediorientale (dalla Siria all’Iraq, passando per Bahrain, Yemen e perfino Libia). 

Ad ogni modo, lo strappo del 5 giugno ricorda molto da vicino le dinamiche del 2014, quando alla base della frattura tra Arabia Saudita e Qatar vi furono tensioni profonde generate all’interno del Consiglio di cooperazione del Golfo (Gcc) e, nella fattispecie, alla riluttanza di Doha nel ratificare il cosiddetto “Riyadh Agreement”, un meccanismo di implementazione del dispositivo di sicurezza del Gcc. L’apparente ricomposizione seguita pochi mesi dopo – per la precisione intorno al marzo 2015 – ha mostrato oggi tutti i suoi limiti, poiché ha nascosto solo superficialmente un rapporto mai realmente risanato e che invece si è alimentato di continui nuovi fattori di instabilità. 

Tre anni più tardi la prima crisi nel Golfo, infatti, Riyadh e Doha sono tornate a confrontarsi aspramente sulle scelte di politica estera tenute dal piccolo emirato del Golfo e diffusamente avversate in maniera ufficiosa dall’Arabia Saudita e dai suoi alleati locali – tra cui spicca in particolare modo il ruolo degli Emirati Arabi Uniti (Eau), ritenuti da molti media locali quale l’autentico deus ex machina nella campagna mediatica anti-Qatar. 

Le critiche rivolte a Doha si sostanziano principalmente in tre accuse: 1) l’azione di critica continua da parte di al-Jazeera, il potente network televisivo qatarino, nei confronti del regime di al-Sisi e di tutti i governi regionali in funzione anti-Fratellanza musulmana; 2) un rapporto politico ed economico ufficiale e privilegiato del Qatar con Hamas e, in particolar modo, con l’Iran (si vedano in tal senso le dichiarazioni concilianti su Teheran quale “potenza islamica” emerse nei giorni precedenti la crisi su tutti gli organi di stampa mediorientali e poi prontamente bollate dall’emiro Tamim al-Thani come “fake news”); 3) la scelta di Doha di assumere una postura di politica estera libera da qualsiasi interferenza intra- ed extra-Golfo; in sostanza una sorta di “battitore libero” nella grande arena mediorientale come l’Oman, ma in maniera più sfrontata e autonoma di quest’ultimo. 

Al di là della narrativa corrente, a pesare in questo gioco di (dis-)equilibri mediorientali è ancora una volta l’animosità che regna all’interno delle dinamiche intra-Golfo tra l’Arabia Saudita e i suoi stati alleati e, come nel caso in questione, all’insofferenza di alcuni partner nel mantenere un ruolo di quasi subalternità rispetto alle iniziative politiche mediorientali di Riyadh.

Che esistano obiettivi divergenti tra le monarchie del Golfo è cosa risaputa, a partire dal progetto, accolto tiepidamente anche da Eau e Oman, di trasformazione del Gcc in un’Unione del Golfo – ossia un sistema di integrazione politico-economico regionale unificato sotto l’egemonia saudita sul modello dell’Unione europea –, passando per la cosiddetta “Nato araba”, un progetto parallelo e in contrapposizione alla proposta egiziana di pochi anni orsono di Joint Arab Unit Force. Il progetto di Nato araba è stata da tempo recuperato dall’Arabia Saudita e ampiamente sponsorizzato e sostenuto dall’amministrazione Trump in funzione anti-iraniana e anti-sciita durante il vertice di Riyadh dello scorso 21 maggio. 

É proprio in questo contesto che si è accentuata la rivalità tra Qatar e Arabia Saudita. Infatti, da circa un decennio Doha e Riyadh si fronteggiano su tutti i principali dossier di politica mediorientale – e quindi internazionale –, in un gioco a due nel quale il Qatar ha cercato di guadagnare spazi di manovra, erodendo allo stesso tempo la leadership politica agli al-Saud. A contrapporsi sono due modelli di potenza e di diplomazia economica e politica: il soft power qatarino vs lo smart power saudita, una strategia di politica estera e finanziaria appariscente e reclamizzata vs una diplomazia energetico-politica dall’apparente basso profilo.

Quali che siano oggi le reali opzioni sul tappeto che rimangono al Qatar per uscire dall’impasse,appare evidente il tentativo saudita di isolare l’ex alleato qatarino. Se tale scenario si verificasse, il Qatar direbbe definitivamente addio alle proprie aspirazioni di autonomia regionale, cedendo nuovamente potere all’autorità degli al-Saud, liberi in questo modo di poter tessere nuovamente le fila nel Grande Medio Oriente per creare un blocco omogeneo e compatto di potenze sunnite in funzione anti-iraniana (nel quale potrebbe contare inoltre il sostegno ufficioso di Israele).

In questa ostilità accesa, il rischio è che il protrarsi della contrapposizione tra Qatar e Arabia Saudita possa tramutarsi in un nuovo squilibrio geopolitico per l’area Golfo, con immediate e non meno pericolose ricadute ancor più destabilizzanti per l’intera regione mediorientale. Una crisi diplomatica e geopolitica, dunque, suscettibile di generare un nuovo corso politico nel Golfo. 

 

 

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