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giu 27, 2017

 

Il Guardian ammette: l’immigrazione alimenta il pericolo radicalizzazione 

 

Dopo l’ennesimo atto di terrore avvenuto in Belgio – fortunatamente fallito -, torna in auge l’interrogativo sul perché determinati accadimenti, dopo i ripetuti attacchi, non siano puntualmente evitabili. Ancor di più, la combinazione “vincente” per questi terroristi sembra sempre svilupparsi sull’asse Belgio-Francia-Gran Bretagna. Ancora una volta – e speriamo molte altre -, l’Italia pare essersi salvata. Roma, Milano e le altre città dello stivale sembrano essere immuni da questa ondata di attacchi, sebbene sia giusto ricordare che alcuni degli autori degli attacchi degli ultimi 12 mesi abbiano utilizzato l’Italia come paese di transito: basti pensare a Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, che ha perpetrato l’attentato di Nizza dello scorso luglio, ha stazionato per diverso tempo lungo il confine italo-francese a Ventimiglia; Anis Amri, autore delle strage ai mercatini di Natale di Berlino, pare essere stato radicalizzato in prigione in Sicilia, fino a Youssef Zaghba, il 22enne italiano di origini marocchine aurore dell’attacco al London Bridge. 

Proprio quest’ultimo caso vale la pena di essere riconsiderato è tenuto più in considerazione dei precedenti, nelle prospettive del nostro paese. Il Guardian pochi giorni fa si è interrogato su questa striscia di episodi, cercando di carpire le ragioni per cui, ad oggi, l’Italia sia scampata a questo terrore. 

La ragione principale addotta da tutti gli esperti consultati riguarda una scarsa rilevanza del conflitto etnico e di ghettizzazione degli immigrati di seconda generazione. In Italia, infatti, il fenomeno migratorio post-coloniale non ha prodotto un’ondata di arrivi di ex-coloni musulmani, che invece oggi popolano le periferie delle grandi città inglesi e francesi, per non parlare del caso eclatante di Bruxelles. In tutti questi paesi si riconosce un palese fallimento del processo di integrazione di questi individui, che si è naturalmente ripercosso sui loro eredi. 

In Italia, inoltre, non pare manifestarsi un fenomeno simile alle banlieue, oltre che una maggiore capacità di controllo delle forze dell’ordine sul territorio grazie ad un numero più elevato di piccoli e medi centri urbani, tendenzialmente più controllabili. È inevitabile dunque generare un dibattito allarmante sulla possibilità di naturalizzare, o addirittura, con lo ius soli, estendere la cittadinanza italiana ad un sempre crescente numero di cittadini extracomunitari che vivono nel nostro Paese. Se lo stato non si dovesse rivelare in grado di controllare i fenomeni di esclusione, ghettizzazione e radicalizzazione delle frange più disagiate della popolazione residente, si rischia di alimentare l’allarmante fenomeno che già oggi semina il terrore in Europa continentale. Il problema non risiede tanto in una ragione di stampo etnico, quanto piuttosto culturale: come ha sottolineato Alain de Benoist, probabilmente non tutti gli stranieri residenti in Italia vogliono essere italiani, mantenendo così le proprie radici, culturali, linguistiche, religiose. Questa auto-esclusione può risultare terreno fertile per i fenomeni di radicalizzazione, soprattutto con l’eventuale insorgere di moschee clandestine, non controllare e per questo soggette a infiltrazioni islamiste. 

Alla luce di tali preoccupazioni, anche il presidente del Consiglio Europeo, Donald Tusk, a margine di una riunione del Consiglio, ha ammesso l’esistenza di un problema migratorio che affligge principalmente i paesi mediterranei dell’UE, con l’Italia in prima posizione, aggiungendo che è questione di primaria importanza contrastare e debellare il fenomeno dell’immigrazione irregolare che negli ultimi anni si è intensificato notevolmente. È forse la prima volta che l’Unione Europea ammette l’esistenza di un problema molto grande, che solo l’Italia, a tratti pare non notare o non voler fare emergere. Osserveremo se nelle prossime settimane si passerà dalle parole ai fatti, nella piena applicazione dei dettami di Schengen sulla protezione dei confini esterni dell’UE, non quelli tra l’Europa continentale e l’Italia. 

 

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