http://forms.nomoredeaths.org/en/


Fonte: desinformemonos

http://comune-info.net/

2 agosto 2017

 

E come mezzo di dissuasione, la morte 

di Laura Carlsen 

Traduzione di Sofia Begotto

 

La polizia di frontiera Usa dà spettacolo con un blitz senza precedenti nel tranquillo villaggio di Arivaca, dove la gente insiste ad assistere i migranti invece di abbandonarli al deserto per provare a dissuadere chi intenda seguirli.

 

Dedicato a chi resta in città. Provate a leggere questa storia, e fate conto di essere sotto l’ombrellone a fare cruciverba, rebus ma soprattutto il gioco delle differenze. Pronti? La parola chiave è “dissuasione” e le due scene si svolgono tra i flutti del Mediterraneo e nell’arido deserto alla frontera tra Usa e Messico. Nel sonnolento villaggio di Arivaca, 700 abitanti, non succedeva mai niente. Adesso, magari c’entra qualcosa Trump, è diventato un campo di addestramento per imponenti dimostrazioni di forza degli Stati Uniti: posti di blocco, elicotteri, camionette e fuoristrada pieni zeppi di uomini armati fino ai denti. Il problema è che quelli di Arivaca, attraverso Ong come No Más Muertes oppure nelle loro case, insistono a voler assistere i migranti che attraversano il deserto della Sonora. Offrono alimenti, acqua, primo soccorso e un luogo dove poter riposare. Sanno bene che questo fa la differenza tra la vita e la morte in queste zone assolate dell’Arizona, a 18 km dal confine col Messico, dove resti umani si trovano ogni tre giorni. Non garantire la sopravvivenza è invece parte della strategia migratoria Usa da diversi anni; il governo la definisce “prevenzione per mezzo della dissuasione”. Lisa Jacobson e altri volontari da questo lato del confine, la chiamano invece “dissuasione per mezzo della morte”

 

Lo scorso 15 giugno un’unità della polizia di frontiera ha arrestato nei pressi di un piccolo paesino dell’Arizona alcune persone sospettate di essere entrate negli Stati Uniti senza autorizzazione migratoria. Sembrava un attacco frontale rivolto ad un territorio nemico – sono arrivati un elicottero, 15 camionette, due fuoristrada e circa 30 agenti armati – e i testimoni dicono che si è trattato di “una dimostrazione di forza senza precedenti”.
Ma il bersaglio di tale spiegamento di forze non era un territorio nemico, bensì un piccolo accampamento nato per soccorrere ed assistere esseri umani in gravi condizioni di salute. La polizia ha fatto incursione nella sede del progetto dell’organizzazione No Más Muertes e si è portata via quattro dei suoi pazienti.
L’organizzazione ha emesso un comunicato in cui segnala che “ostacolare l’aiuto umanitario rappresenta un grave abuso da parte dell’agenzia per la sicurezza, una chiara violazione delle leggi umanitarie internazionali e dell’accordo scritto tra l’organizzazione e la polizia di frontiera-sezione Tucson.”
Se guardato in una mappa satellitare, il piccolo paese di Arivaca, in Arizona, dove è avvenuta la retata, sembra sorgere in mezzo al nulla. Ed è proprio così. Situato nel deserto di Sonora, consiste in una manciata di edifici in stile Far West, con piccoli ranch sparsi nei dintorni.
Arivaca ha una popolazione di 700 persone e un ritmo di vita estremamente lento – un paesino che non attirerebbe l’attenzione di nessuno se non fosse che negli ultimi anni è diventato una zona di guerra, circondato da forze armate.
“Non c’è modo di entrare né di uscire da Arivaca senza passare per un posto di blocco,” spiega Lisa Jacobson, residente e volontaria dell’organizzazione umanitaria locale. A meno di 18 chilometri dalla frontiera, Arivaca si trova nel corridoio migratorio che si è formato a partire dal 1994 quando l’Operazione Guardian impediva il transito attraverso le città. È diventato un luogo simbolo dello scontro sulla politica migratoria degli Stati Uniti, che si è intensificata con l’insediamento di Donald Trump alla presidenza.

 

Qui, cittadine e cittadini, tramite organizzazioni come No Más Muertes o nelle loro case, hanno assunto il compito di assistere le persone migranti che attraversano il deserto. Offrono alimenti, acqua, primo soccorso e un luogo dove poter riposare.
Può fare la differenza tra la vita e la morte. Non garantire la sopravvivenza stessa è parte della strategia migratoria statunitense da diversi anni; il governo la definisce “prevenzione per mezzo della dissuasione.”
Jacobson e altre persone che lavorano con le famiglie che entrano negli Stati Uniti da questo lato del confine la chiamano “dissuasione per mezzo della morte”. Le temperature nel deserto superano i 40 gradi in estate, come il giorno della retata.No Más Muertes riferisce che sono 7,000 i migranti ad aver perso la vita nella zona di confine dal 1998, dove si trovano resti umani ogni tre giorni.
“Non importa da che parte stai nel dibattito sulla politica migratoria, uccidere degli esseri umani non è una forma legittima di controllo della migrazione,” afferma Jacobson. Il suo centro appoggia i residenti di Arivaca che accolgono i migranti nelle loro case. Durante la nostra visita ad Arivaca, come tappa della Caravana contra el Miedo dello scorso aprile, ci hanno raccontato che in alcuni casi arrivano troppo tardi e muoiono di insolazione e disidratazione nei loro presidi.
Più “sicurezza di frontiera” implica più morte perché le persone migranti devono percorrere distanze più lunghe ed i polleros hanno sempre meno scrupoli. Sanno di agire nella totale impunità, consapevoli dell’impotenza della gente di fronte alla legge. La criminalizzazione delle vittime rappresenta la copertura perfetta per i criminali. Questo spiega perché continuano ad aumentare le morti nonostante il calo sensibile del numero degli attraversamenti di frontiera.
Si sta facendo anche uno sforzo per “dissuadere” le persone e le entità che offrono aiuto umanitario o servizi essenziali ai migranti. Qualche giorno dopo la retata ad Arivaca, è stata presentata un’iniziativa legislativa al Congresso tesa a punire le città e le entità “santuario”, quelle cioè che non permettono alla migra* di interferire nelle attività di assistenza delle loro comunità se questa non ha un mandato.
Trump ha celebrato questa legge con il linguaggio incendiario caratteristico della sua posizione anti-immigrazione: “Le città ‘santuario’ stanno lasciando a piede libero criminali violenti, tra cui i membri della violenta banda MS-13, nelle nostre strade tutti i giorni. Americani innocenti stanno subendo una violenza inaudita come risultato delle azioni avventate di queste città.”
Non importa se tutte le prove indicano che il trattenimento delle persone in attesa di una revisione migratoria dai servizi municipali frena la denuncia dei reati e aumenta l’impunità, e nemmeno se il tasso dei migranti responsabili di crimini violenti è molto inferiore rispetto a quello della popolazione generale. Diversi gruppi difensori dei diritti prevedono che, se questa legge fosse approvata dal Senato, sarebbe pretesto di numerosi ricorsi costituzionali e persino i conservatori segnalano che viola il concetto di federalismo.

 

La tragedia umana della migrazione attraverso il deserto ha galvanizzato la comunità, e non è l’unica. Gli sforzi per la difesa della vita e dei diritti stanno proliferando nel sud-est degli Stati Uniti. Carlota Rey, abitante di Arivaca da più di trent’anni, dice: “Guarda, io preferisco che una persona migrante – sia essa donna o uomo, non importa – venga a casa mia, bussi alla mia porta e che io le dica ‘entra pure, come stai?’, in casa mia, seduta sulla mia sedia, piuttosto che morta nel deserto… Io non smetterò di aiutare queste persone.”
In lingua Tohono O’dham, il nome Arivaca sta per “Aribac”, che significa “piccole sorgenti”. Questi atti di compassione sono le piccole sorgenti che mantengono viva la solidarietà umana di fronte alle politiche disumane del governo.

 

Nota

* Com’è conosciuta la polizia di frontiera americana.

 

 

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