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13 agosto 2017

 

Costruire un antirazzismo politico

 

Riceviamo e pubblichiamo una riflessione a partire del testo di Lenny Bottai che avevamo ripreso nei giorni scorsi su queste pagine; in questa lunga estate in cui il dibattito pubblico è stato dominato dalla "questione migranti", ci sembra importante fornire uno spazio di dibattito che sia strumento per attaccare le contraddizioni e far emergere un punto di vista antagonista a oggi schiacciato tra l'antirazzismo peloso e razzistume più becero; speriamo che il dibattito continui!

 

"E quindi esso (il migrante) è si un mio potenziale alleato di classe, ma come non lo è "a prescindere" solo per essere tale un qualsiasi elemento di una classe subalterna come la mia, non lo è neppure lui." Non è che perché sei nero sei compagno in sostanza. Il nero è un alleato di classe solo se si comporta come tale. Lo teniamo anche d’occhio: o diventi un compagno che riporta indietro il portafoglio, o lo rubi e allora «  calcio in culo », dice. Ci sembra che questo discorso sia, come quello dei buonisti, altrettanto depoliticizzante perché non riflette in termini di percorsi di soggettivazione politica. Qua si tratta di costruire un antirazzismo politico ossia un antirazzismo che pensa il razzismo come strutturale, non certo come un atto individuale, non s’interessa del nero compagno e del nero non-compagno, ma invece proprio del sistema che lo definisce neGro. Ci sono un sacco di operai che sono degli uomini di merda, eppure un movimento operaio andava fatto. Eppure una solidarietà di classe ci sta, «  a prescindere » . Il migrante non è un mio amico o nemico a prescindere, ma è un alleato di classe a prescindere, si. Perché i non-bianchi hanno avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo del capitalismo, in quanto sfruttati in modo specifico. Il razzismo non è una conseguenza del capitalismo ma è una sua necessità. Perciò dobbiamo essere in grado di riconoscere le oppressioni e bisogni specifici di questi soggetti per partecipare ad attivare la loro carica di rottura e di antagonismo dirompente.

Ma poi magari potrebbe essere il nero, migrante o meno, a decidere se noi siamo i suoi alleati. Perché in realtà, a prescindere, non lo siamo. Ricordiamoci che siamo dalla parte degli oppressori. Per quanto compagni, per quanto impegnati politicamente, per quanto proletari, rimaniamo, maggioritariamente, dei bianchi. E no, non c’è nessun autolesionismo nel sottolinearlo. Non si tratta di annegare i nostri impegni nel senso di colpa e la flagellazione, ma semplicemente di sapere guardare alle dinamiche di dominazione che molto spesso riproduciamo.  

A proposito, pensiamo sia importate dire quanti problemi ci crea quest’espressione « coccola negri », per quanto « ovviamente ironico e ovviamente volutamente forzato come una provocazione ».  Non ci crea problemi perché ha colpito la nostra sensibilità «  gesuita autolesionista », ci mancherebbe altro, porco dio. Ci crea problemi innanzitutto perché la parola « negri » continua ad essere usata in italiano senza nessun rimorso, quando sappiamo benissimo cosa rappresenta. Lasciamo ai neri l'uso provocatorio del termine che usavano gli schiavisti, se scelgono di rivendicarselo. Come lasciamo che siano gli omossessuali a scegliere di rivendicarsi « frocio », o le donne, a poter decidere di rivendicarsi « puttana ». Ancora una volta, non si tratta di un posizionamento morale, ma del tutto politico. 

Le lotte recenti, dagli Stati Uniti alla Francia passando dal continente africano, ci ricordano per altro che c’è anche chi rivendica di poter avere una propria agenda politica, un’autonomia di lotta, un’autodeterminazione, tra non-bianchi. E forse saremo noi a doverci piegare a rivendicazioni che non siamo stati in grado di pensare, a tematiche che non abbiamo voluto affrontare. Nessun buonismo qui, proprio nessuno. Piuttosto la consapevolezza che dobbiamo essere attenti a non essere tagliati fuori dalle lotte a venire. 

 

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