Originale: The Hindu

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13 gennaio 2017

 

Dopo Aleppo: la situazione della Siria

di Vijay Prashad  

traduzione di Giuseppe Volpe

 

L’esercito arabo siriano ora controlla Aleppo, il che significa che il governo siriano ha ancora una volta il potere sui principali centri popolati del paese. Le forze armate dell’opposizione sono intrappolate attorno a Damasco e a Idlib, mentre lo Stato Islamico (IS) tiene ancora la città settentrionale di Raqqa. Queste forze, IS compreso, sono sulla difensiva, disorganizzate, indebolite logisticamente e disorientate. In larga misura abbandonati dai loro benefattori – l’occidente, gli arabi del Golfo e la Turchia – questi combattenti hanno ceduto a una grande disperazione nella loro violenza o sono prossimi ad arrendersi. Un cessate il fuoco mediato il 30 dicembre 2016 tiene nella maggior parte del paese. Colloqui di pace devono iniziare il 23 gennaio ad Astana (Kazakistan). Iran, Russia, Governo siriano, parti dell’opposizione siriana, Turchia e Nazioni Unite avranno un posto al tavolo. Gli Stati Uniti e gli europei non ci saranno.

La guerra non finirà ad Astana. Gruppi estremisti, quali l’IS e Jabhat Fateh al-Sham sostenuto da al-Qaeda, continuano a mantenere un territorio. Estremisti frustrati non disposti ad accettare la nuova situazione hanno già cominciato a riversarsi sull’IS e sul fantoccio di al-Qaeda. Per loro c’è poco da guadagnare dalla resa o dalla riconciliazione.

 

Calcoli sbagliati dell’occidente

Negli ultimi cinque anni il principale slogan dell’opposizione siriana e dei suoi alleati arabi del Golfo, turchi e occidentali era “Assad deve andarsene”. Ora vien fuori che il governo di Bashar al-Assad resterà. Appariva, persino nel 2011, che la caduta di Assad senza un grande intervento militare occidentale era improbabile. L’esercito siriano erano molto più disciplinato dell’esercito libico, che aveva cominciato a sbriciolarsi prima dei bombardamenti della NATO sulla Libia. C’era molta minor separazione tra il governo siriano e il suo esercito di quanta ce n’era tra il governo egiziano e il suo esercito. In assenza di una grande forza militare, non ci sarebbe stato alcun cambiamento di regime in Siria.

L’intervento militare diretto occidentale era compromesso – a causa del fiasco in Iraq – dall’assenza di una disponibilità interna in occidente a usare un numero sufficiente di soldati che combattessero in Siria. Il cambiamento di regime in Libia e il suo seguito disastroso aveva chiuso la porta a un’autorizzazione dell’ONU alla guerra in Siria. Arrivati al 2012 ciò significava che il governo di Assad non poteva essere sconfitto facilmente. La politica ha avuto una svolta dal rovesciamento diretto a un uso molto più cinico della forza. Spedizioni clandestine di armi sono andate ai ribelli di varie correnti per contribuire a delegittimare il governo. Al-Qaeda e altri gruppi estremisti hanno attraversato il confine turco e dall’Iraq nonché dalle carceri del governo siriano. Il numero delle vittime è cresciuto esponenzialmente, con oltre mezzo milione di morti. La promessa impossibile del bombardamento occidentale ha fatto proseguire la guerra nella speranza che ciò avrebbe forzato Assad a negoziare.

L’occidente ha sbagliato i suoi calcoli. Il 22 settembre 2015 il Segretario di Stato USA John Kerry ha fatto alcuni commenti improvvisati alla Missione olandese presso le Nazioni Unite. La registrazione di tale incontro, pubblicata da WikiLeaks, rivela la generale unanimità occidentale riguardo al conflitto siriano. Kerry ha indicato che gli USA avevano osservato la crescita dell’IS e avevano sperato di sfruttarla come moneta negoziale contro il governo di Assad. Come è poi emerso, Assad si è rivolto all’Iran e alla Russia per aiuto, ed è stato allora che i russi sono intervenuti direttamente nel settembre del 2015, ponendo fine a qualsiasi possibilità di cambiamento di regime a Damasco e di conquista di Damasco da parte dell’IS. Con Assad a quel punto al sicuro, i russi hanno iniziato un ritiro delle loro forze, in larga misura che costruire fiducia riguardo all’incontro di Astana.

Arrivati al 2015 era divenuto chiaro al governo turco che né il governo di Assad sarebbe caduto, né la Turchia poteva proteggersi dai detriti da essa stessa prodotti: attacchi dell’IS in Turchia e una guerra riaccesa con il movimento della resistenza curda. Il governo turco ha attaccato i suoi critici – che avevano molto da criticare – e ha cercato un riavvicinamento con la Russia per motivi economici e politici. Questo nuovo allineamento ha significato per la Turchia che i suoi confini – a lungo utilizzati per rifornire i ribelli del nord della Siria – dovevano essere chiusi, riducendo in misura considerevole la forza degli estremisti ad Aleppo. Il governo siriano, che aveva atteso quattro anni, si è poi mosso con grande forza. E’ stata la svolta turca che ha consentito ad Assad di prendere Aleppo.

Il 5 gennaio il Consigliere della Sicurezza Nazionale iracheno ha incontrato Assad a Damasco per discutere la loro mutua lotta contro l’IS, proprio quando le forze irachene avevano liberato la via da Haditha ad al-Qa’im, che è sul confine tra Iraq e Siria. Questi incontri pubblici, mi informa un alto ufficiale egiziano, rispecchiano le interazioni più private tra i militari di Egitto, Iraq, Algeria e Siria, A novembre ufficiali dell’esercito egiziano si sono recati in Siria per ristabilire collegamenti che si erano sfilacciati negli ultimi anni. Oggi l’Egitto è pronto a inviare “corpi di pace” per contribuire a gestire il cessate il fuoco. Contemporaneamente i governi siriano e turco si sono incontrati segretamente in Algeria negli ultimi cinque mesi per avviare un dialogo sullo status dell’enclave curda siriana sul confine turco. L’Algeria sta ora parlando apertamente di ripristinare la legittimità del governo di Assad.

 

La fine è lontana

La frustrazione degli estremisti non produrrà una fine facile di questo conflitto. Una violenza aspra è lo sbocco più probabile. Attacchi in Giordania, Arabia Saudita e Turchia – tutte accusate, giustamente, di abbandonare la rivolta – continueranno a essere un problema grave. L’Iraq, già abituato alla violenza dopo l’illegale invasione statunitense del 2003, ha visto più di 6.000 civili uccisi solo l’anno scorso. E’ spesso strategicamente attaccato in quartieri sciiti e luoghi religiosi al fine di aggravare il settarismo. Dopo un’ondata di attacchi a Baghdad, il leader sunnita Sheikh Mahdi al-Sumaidaie, il Gran Mufti dell’Iraq, ha fatto una promessa il 5 gennaio che echeggia in tutto il mondo arabo: “Confermo che sciiti e sunniti si incontreranno e chiameranno a rispondere tutti quelli che hanno tradito, ingannato e bruciato l’Iraq”. E’ stata una dichiarazione di patriottismo determinata dalla disperazione. L’appello al patriottismo difficilmente farà a pezzi gli estremisti.

A nord ovest di Damasco c’è Souq Wadi Barada. La sorgente di al-Fija là è una fonte cruciale di acqua per la capitale. Gruppi estremisti hanno tenuto questa fonte per molti anni e in almeno sei occasioni ha tagliato l’acqua a Damasco. La caduta di Aleppo ha determinato nuovi combattimenti nell’area con l’acqua ora fermamente tagliata da tutte le cisterne salvo una, che è controllata dall’esercito. Damasco ha di fronte tempi molto duri. Sono in corso negoziati per ridare l’acqua. Quando succederà, sarà una dimostrazione che la riconciliazione è possibile in queste società.

 


Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/after-aleppo-the-state-of-syria/

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