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lunedì 17 luglio 2017

 

Siria, sei anni di guerra... dopo l'incubo, i sogni o la realtà?

di Michel Raimbaud

Traduzione dal francese di Gb.P.

 

Vogliamo proporvi l'intervento dell' ex ambasciatore Michel Raimbaud al convegno organizzato da "Chrétiens d’Orient pour la paix" il 27 giugno 2017 : egli vi dipinge il risultato terrificante di questa guerra che dura dall'inizio del 2011. Ci pare che l'autorevole diplomatico francese colga l'orizzonte globale in cui si colloca il conflitto e ne illustri senza infingimenti dinamiche e responsabilità. Grazie per l’attenzione, Gb. P.

 

I / Un conflitto universale

Un brutto giorno del mese di marzo del 2011, fu dato il "calcio d'inizio" a questa interminabile guerra siriana che oggi è l'oggetto delle nostre riflessioni. Chi avrebbe potuto immaginare che questa guerra si sarebbe installata nella pubblica opinione con l'etichetta della cosiddetta "guerra dimenticata" tra un movimento popolare "democratico e pacifico" e un "regime massacratore", una buona causa da difendere da parte delle élites (di destra o di sinistra) che da vent'anni hanno cementato un comune consenso attorno a tutte le certezze morbide ereditate da un "neoconservatorismo" all'americana. L'adesione, spontanea o calcolata, ai "valori" veicolati da questo consenso, firmando la loro fedeltà (o la loro appartenenza) allo "Stato profondo", dà loro il diritto (ma dovremmo dire il privilegio) di parlare dalle antenne, dagli schermi e nei notiziari.

E' grazie a questa fede ideologica sommaria che il nostro mainstream si polarizza rapidamente sull'urgenza di "abbattere Bashar" e rovesciare "il regime siriano" adoperandosi (con un certo successo) per far condividere questa ossessione ad ampi settori della popolazione.

Nel paesaggio audiovisivo, intellettuale e politico, nascerà come per incanto un fronte compatto e senza remore che contribuirà a rendere irrilevanti i dissidenti dalla narrazione ufficiale. Il conflitto siriano sarà catalogato immediatamente come un episodio delle "primavere arabe", in linea con quelle di Tunisi, dell'Egitto, dello Yemen, della Libia, e una volta per tutte si decreterà che uno scenario come quello libico è ineluttabile anche per la Siria.

Un tempo si credeva che il lavaggio del cervello fosse appannaggio dei regimi totalitari: adesso, il conflitto in Siria, come prima la Libia, ha dato alle "grandi democrazie", compresa la nostra, l'opportunità di mostrare le proprie competenze in materia. Oscurando totalmente la condanna a morte di un popolo abbarbicato alla sovranità, all'integrità e all'indipendenza del proprio Paese, tacendo sulle distruzioni di massa, falsificando la realtà, è la resistenza stoica del popolo siriano che viene deliberatamente ignorata, l'immagine eroica di un esercito nazionale che sarà sfigurata: la negazione e il colpevole silenzio amplificano di molto ogni sofferenza.

Bisogna ben dirlo: l'impegno a deporre Bachar al Assad (che "non merita di essere sulla terra", ma sarebbe meglio "un metro sotto terra"), la volontà di distruggere (Bashar forse non sarà deposto, ma avremo distrutto la sua Siria, come osò dire di recente un avversario democratico "moderato") e la volontà di uccidere (siamo pronti a sacrificare i due terzi del popolo siriano, al fine di salvare l'ultimo terzo) non hanno poi scioccato un granché molte persone di questa parte del mondo durante questi anni di devastazione della legalità e della moralità internazionale. Malgrado le contraddizioni, le prove, le rivelazioni, le testimonianze, ci sono ancora dei fanatici o degli ingenui senza speranza, che ostinatamente difendono la tesi che la guerra in Siria sarebbe niente più che la lotta di un popolo in rivolta contro un regime oppressivo. Un episodio della "primavera araba" che è andato storto, ma non è detta l'ultima parola...

Tuttavia, quando è troppo è troppo. I ranghi dei fochisti e dei carbonai della " rivoluzione" alla fine saranno chiari. Quando si ha il naso immerso nelle rovine del caos creatore, se non si hanno gli occhi colmi di spavento davanti alla ferocia e la coscienza rivoltata di fronte alla gestione della barbarie jihadista, significa che si è scelto di chiudere gli occhi. Bisogna essere ciechi ed accontentarsi di analisi preconfezionate o di idee ricevute per non vedere nella tragedia siriana altro che un evento banalizzato dentro la sequenza epidemica di "primavere arabe" sparse. Bisogna avere un cervello scadente o particolarmente sempliciotto per negare per principio di inserire questa tragedia nel SUO VERO CONTESTO, che evidentemente si riferisce alle crisi ed alle guerre degli ultimi decenni. È quello di un'impresa geopolitica e geostrategica globale di destabilizzazione e di distruzione, ispirata, pianificata, annunciata e condotta dall'Impero sotto direzione américano-israeliana, utilizzando sistematicamente dei regimi asserviti e dei complici di circostanza (islamisti nella fattispecie) la cui agenda, per differente che sia, è compatibile nel breve e medio termine con quella dei padroni atlantici.

Visto attraverso la lente dei neo-cons che lo ispirano ormai dall'ultimo quarto di secolo, l'Occidente (l'America, Israele ed alleati europei) mira come sua vocazione a competere con l'Eurasia russo-cinese la padronanza del pianeta, e la decostruzione del mondo arabo musulmano che separa questi due insiemi è una condizione imposta dalla geopolitica. Per le forze islamiste radicali, la decomposizione degli Stati di questa "cintura verde musulmana" in entità su base etnica o confessionale è il prerequisito per la creazione di una poltiglia di Emirati, tappe incerte verso la rifondazione di uno Stato islamico basato sulla Sharia (legge coranica) o il ripristino del Califfato, un secolo dopo la sua abolizione. Per motivi storici, culturali, religiosi, politici e geopolitici, la Siria è il centro e l'epicentro di questo confronto il cui esito sarà cruciale per l'istituzione del futuro ordine mondiale in divenire.

In ogni caso, è difficile negare che le guerre di Siria (o le guerre in Siria) sono degenerate in un conflitto universale tra due campi, uno che ha dimostrato la sua forza e il secondo che si trova in completa disarticolazione:

- il campo della Siria legale e i suoi alleati (Iran, Hezbollah, Russia e Cina, e per estensione i paesi BRICS), ma anche di paesi come l'Algeria e sempre di più l'Iraq, le sue forze armate, Hachd al Chaabi (raggruppamento popolare), lo Yemen "legale" del Presidente Ali Abdallah Saleh e altre forze resistenti all'egemonia.

- Il campo avversario: regimi islamici (Turchia, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati del Golfo Persico), i terroristi e jihadisti nonché gruppi di miliziani, finanziati, armati, supportati da Israele e, purtroppo, dagli occidentali. Tutti questi avversari della Siria"legale" si consulteranno regolarmente come parte del gruppo "amici della Siria".

Questo scontro universale, che ha conosciuto in più di sei anni numerosi sviluppi, si può riassumere (ho provato a farne una descrizione nel mio libro "Tempesta sul grande Medio Oriente" pubblicato nel febbraio 2015, e poi a febbraio 2017) in una buona dozzina di conflitti uno più spetato dell'altro, mescolando l'odore di santità con l'odore del gas, le illuminazioni messianiste e le ambizioni strategiche, i riferimenti ai valori morali e i valori dei mercato, la guerra santa a sfondo religioso e la lotta profana per il potere politico.


1/ Sulla questione siriana propriamente detta:

– 1/ E' inizialmente una guerra per il potere, condotta dalla cosiddetta opposizione "democratica e pacifica" contro l'oppressione di un "regime assassino"

– 2/ Questa lotta interna diverrà rapidamente militare, trasformata dalla penna degli analisti in una "guerra civile", che non lo è affatto in quanto viene importata ...

– 3/ Infatti, il conflitto sarà internazionalizzato dall'intervento massiccio dei regimi sunniti radicali e di combattenti stranieri a fianco dell'opposizione (pesantemente) armata, poi per l'ingerenza ed il sostegno aperto degli Occidentali, diventando chiaramente una guerra di aggressione, che è crimine internazionale per eccellenza, secondo il Tribunale di Norimberga.

– 4/ Questa guerra costituirà di fatto un politicidio (che è contro un Stato ciò che l'omicidio è contro un essere umano) mirando a provocare l'implosione dello Stato-nazione siriano in mini-entità a base confessionale o etnica, conformemente ai piani israelo-americani. È l'obiettivo del Protocollo di Doha adottato sotto l'egida del Qatar nel novembre 2012 dalla Coalizione Nazionale siriana delle Forze dell'opposizione e della Rivoluzione.

2/ Sotto l'aspetto religioso:

– 5/ E' una guerra in nome dell'islam contro un "regime empio", sotto la bandiera della Jihad, "gestita con la ferocia e la barbarie", che è la strategia ufficiale dello Stato Islamico (Da'ech).

– 6/ riciclata come guerra santa dagli islamisti, la guerra di aggressione, quindi, verrà ben presto ridefinita dalla comunità internazionale come una guerra terroristica.

– 7/ E quindi genererà una ripresa della guerra globale contro il tal terrorismo, considerato (almeno a parole) come il nemico numero uno di tutti i paesi, una guerra destinata a servire come una foglia di fico per la guerra di aggressione contro la Siria.

– 8/ Un attacco dei radicali sunniti wahabiti (e simili) contro "l'asse sciita" che va da Teheran fino al Libano attraverso la Siria e l'Iraq, presentato dai wahhabiti e dei loro alleati come componente della lotta anti-terrorismo.

– 9/ Un'accanita guerra tra i due campi del radicalismo sunnita (Turchia e Qatar contro Arabia Saudita, Fratelli Musulmani contro wahabiti) per la gestione dell'Islam sunnita e dell'Islam.

3/ Dal punto di vista geopolitico :

– 10/ Una guerra per procura (proxi-war) tra l'Eurasia e l'Occidente atlantista

– 11/ Una guerra per l'energia, nella fattispecie per il gas

– 12/ Una guerra per l'interesse superiore di Israele, onnipresente nelle preoccupazioni americane e occidentali

– 13/ A coronamento di tutto, un risiko planetario giocato sulla "grande scacchiera" che ha come obiettivo il controllo del "Grande Medio Oriente" riaggiornato, la leadership nel mondo.

Il tributo di vite umane, il costo materiale e finanziario delle sole guerre siriane è terrificante, come il bilancio generale della "democratizzazione del Grande Medio Oriente" che dobbiamo a George W. Bush e ai suoi scagnozzi.

II/ Per legittima difesa, la Siria sta facendo valorosamente fronte alla guerra di aggressione

1/ La legittimità dello Stato siriano.

Membro delle Nazioni Unite, la Siria è uno stato indipendente e sovrano. Il suo regime è repubblicano in stile laico. Parlando di "regime siriano" per descrivere il suo governo, ovviamente si cerca di delegittimarlo, a dispetto di un principio generalmente dimenticato: mentre noi volentieri ricordiamo il diritto dei popoli all'autodeterminazione, spesso ci dimentichiamo del diritto degli Stati di decidere il loro sistema politico, senza alcuna interferenza straniera.

Secondo il diritto internazionale, il governo detiene il monopolio dell'uso legale della forza: questo deve essere ricordato a tutti coloro che sognavano di distruggere uno Stato recalcitrante, a coloro che volevano "ucciderlo politicamente", perché ha resistito ai loro obiettivi neocoloniali.

L'Esercito Arabo Siriano non è "l'esercito del regime alawita", ma un esercito nazionale di coscritti con chiamata alle armi. Esso ha il diritto assoluto di riconquistare o liberare qualsiasi parte del proprio territorio senza chiedere il permesso a nessuno. Ripristinando la sovranità dello Stato sul suolo nazionale, non fa altro che consentire allo Stato, di cui esso è uno degli organi legali, di esercitare il suo diritto di controllo del territorio. Non fa che affermare il diritto della Siria a preservare la sua sovranità, la sua integrità, la sua indipendenza.

Da oltre sei anni, un paese che non ha aggredito nessuno deve resistere a una guerra di aggressione che coinvolge in un modo o nell'altro (abitanti, militari, governi ...) più di cento membri delle Nazioni Unite, scontrandosi inoltre con un apparato internazionale e un'ONU tutt'altro che neutrale. La resistenza del "regime siriano" e dei suoi alleati ha comunque bloccato l'impresa della compagnia dei "neocon" e dei takfiristi, tanto che anche i suoi detrattori e nemici ammettono ormai (come l'ex ambasciatore americano a Damasco Robert Ford) che la Siria ha potenzialmente vinto.


martedì 18 luglio 2017

 

Siria, sei anni di guerra...

di Michel Raimbaud

Traduzione dal francese di Gb.P.

 

Seconda parte dell'intervento dell' Ambasciatore Michel Raimbaud alla Conferenza organizzata da «  Chrétiens d’Orient pour la paix »

 

2/ La Siria vive in un'atmosfera di dopoguerra 

Sul fronte delle operazioni militari: dopo la liberazione di Aleppo che è stata punto di riferimento e ha segnato gli spiriti nel mese di dicembre 2016, l'esercito siriano è ovunque all'offensiva sui fronti di Damasco, di Aleppo, a Homs, sul confine con la Giordania, nel deserto siriano. Nonostante le intimidazioni degli Stati Uniti, riconquista poco a poco il territorio nazionale. Anche se la guerra rischia di essere ancora lunga, l'evoluzione favorevole della "Battaglia del deserto" in corso, lascia presagire un'accelerazione dei progressi.

Ignorando le ingiunzioni e le minacce americane, l'esercito siriano ha fatto il suo congiungimento con le forze irachene di "Hachd Chaabi" al confine tra i due paesi, exploit che sembrava improbabile fino a pochi mesi fa. Questa ridefinizione dei confini Sykes-Picot tra Siria e Iraq è un fatto importantissimo, poiché significa la sconfitta ab initio dell' intesa ordita da Tel Aviv e presentata a Trump prima dei suoi viaggi in Arabia e in Israele , che proponeva una nuova base di cooperazione con gli Stati Uniti. Questo piano (defunto) ripreso tale e quale nei vertici di Riyad, prevedeva :

-Il riconoscimento da parte di Washington della sovranità di Israele sul Golan

-Il rifiuto di ogni presenza militare permanente dell'Iran in Syria

- l'inasprimento delle sanzioni contro Teheran a causa del suo "sostegno al terrorismo"

-L'aumento della pressione su Hezbollah

- Un impegno per impedire la creazione di un corridoio Iran - Iraq - Siria - Libano che possa dare all'Iran uno sbocco sul Mediterraneo.

Le molteplici provocazioni (un aereo, poi un drone siriano abbattuto dagli americani, bombardamenti qua e là, attacchi occasionali contro l'esercito siriano..) non cambieranno nulla, tanto che esse appaiono contro-producenti. Lungi dall'intimidire, questa lotta di retroguardia guidata da una potenza in declino (e quindi pericolosa) ha causato un irrigidimento di Mosca per quanto riguarda le condizioni future per la cooperazione tecnico-militare tra i russi e gli americani contro il terrorismo. Ed ha ispirato agli iraniani una grande "première" sotto forma di un missile sparato su Da'esh in Siria dal loro territorio.

Si potrebbe dire lo stesso delle "Forze Democratiche Siriane", che siano curde, o arabe e turkmene, che potrebbero fare un calcolo sbagliato cercando la creazione di un Kurdistan "introvabile" in Siria.

Sul piano politico-mediatico, la Siria sembra aver vinto. Le agenzie di propaganda e coloro che danno lezioni di morale hanno preteso e ancora rivendicano con l'aplomb dei truffatori, che un popolo unanime si erga in piedi contro il "dittatore" o il "tiranno assassino". Dal 2011, tuttavia, non è difficile da vedere, malgrado l'omertà, che la narrazione ufficiale semina ai quattro venti girandole di "false flag" (false bandiere) arma favorita dai terroristi democratici, dei cannibali moderati, dei rivoluzionari del circuito Elizabeth Arden e dei reverendi predicatori dell'Asse del Bene.

Le popolazioni votano sempre con i propri piedi quando ne hanno la possibilità, e questo tipo di scrutinio non necessita di un lungo spoglio. A poco a poco, mentre l'esercito riconquista il proprio territorio nazionale, coloro che ne hanno l'opportunità fuggono dalle zone ribelli e accolgono l'esercito siriano come liberatore.

Per anni era di moda in Francia, nella Navarra e altrove, ripetere come pappagalli che "Bashar se ne deve andare", che "Bashar non ha posto nel futuro della Siria": adesso, non si contano i pappagalli arroganti che sono scomparsi e che non hanno più alcun ruolo da svolgere nel futuro del proprio paese, mentre il loro capro espiatorio è sempre lì. E' che questo presidente, questo capro espiatorio è rimasto per molti, ed è diventato per molti altri, il simbolo della resistenza dello Stato e dell'attaccamento del popolo siriano al proprio modello di società tollerante.

3/ Diplomaticamente gli avvenimenti si stanno rimescolando

La solidità dell'alleanza tra la Siria e i suoi alleati (Hezbollah, Iran, Iraq, Russia, Cina) contrasta con lo sfaldamento della coalizione avversaria:

- Lo sfaldamento del blocco islamista (tra Arabia e la Turchia, tra Arabia e Qatar, la spaccatura all'interno del Consiglio di Cooperazione del Golfo) è così evidente che parla da sé.

- Il ritiro graduale di Trump nel faccia a faccia con l'Arabia Saudita di Bin Salman e la sua preoccupazione di far pagare a caro prezzo a Riyadh (già centinaia di miliardi di dollari) il mantenimento di una finzione di alleanza per la vita o per la morte è abbastanza trasparente. Bisogna essere inesperti e approssimativi come Mohammed Bin Salman per non vedere che il contratto sicurezza in cambio di petrolio ha dato luogo ad un accordo armi contro dollaro. Allo stesso modo, le sue decisioni ambigue riguardo al Qatar, il suo comportamento ambiguo con i Curdi e la Turchia, non sono decisioni troppo rassicuranti per i diretti interessati. Possiamo usare a questo proposito le parole di qualche umorista : "è pericoloso avere gli Stati Uniti come nemici, ma è ancora due volte più pericoloso averli per amici”.

- La disaffezione tra l'Europa e gli Stati Uniti, evidenziata dal vertice NATO, ha già introdotto una forma di divisione atlantica, sulle stesse basi: "gli Europei vogliono la sicurezza a nostre spese; che ne paghino quindi il giusto prezzo".

- L'intervista accordata dal nuovo Presidente della Repubblica Macron a diversi giornali europei, e dedicata alla sua visione della futura politica della Francia, è stata descritta da molti come una inversione di 180 ° nel caso della Russia, della Siria e riguardo al presidente Bachar al Assad: 

- Per Emmanuel Macron, la partenza di Bachar al Assad non sarebbe più un'ossessione. Non c'è un "successore legittimo " di Bachar al Assad. Il capo di stato siriano non è il nemico della Francia.

- L'unico nemico della Francia in Siria è Da'ech (ISIS): Abbiamo bisogno di una soluzione politica, con una tabella di marcia.

- Il Signor Macron ha rispetto per Vladimir Poutin e cerca di avviare una cooperazione con Mosca anche riguardo alla Siria.

- Il Presidente dice che vuole voltare pagina su un decennio di "logica neo-conservatrice" ...

III / Siria è ora a un bivio

1 / "La Siria Invicta" è il titolo di un sub-capitolo di "Tempesta sul Grande Medio Oriente", il mio libro di cui ho accennato sopra. Partecipando nel febbraio scorso a una conferenza a Damasco, avevo ipotizzato che se "la Siria vittoriosa" (questo era lo slogan scelto dagli organizzatori) non aveva ancora vinto, lo avrebbe fatto comunque. Essendo una mia ferma convinzione sin dall'inizio della crisi, sarebbe sbagliato che ci ripensassi, mentre si verificano cambiamenti radicali, in primo luogo militari e poi politici e diplomatici, dall'altro. I segnali ci sono tutti a indicare che la vittoria politica della Siria legale sembra acquisita. Questa prospettiva dovrebbe viaggiare di pari passo con la conferma del Presidente Assad al suo posto e con un "addio alle rivoluzioni arabe", la cui fiamma (si può esserne sicuri) sarà mantenuta ancora per un certo tempo nelle cancellerie occidentali e nei palazzi orientali.

Imbattuta, la Siria è tuttavia devastata. Lei sola conta circa 400.000 morti, senz'altro 15 milioni di rifugiati, sfollati ed esiliati, e 1,5 milioni di feriti con lesioni permanenti e altre gravi disabilità. Quasi due terzi del Paese sono in rovina, con danni stimati intorno a circa 1.300 miliardi di dollari, senza contare i perduranti effetti delle sanzioni, blocchi ed embarghi vari ...

Una questione s'impone: bisogna fermare la guerra? Secondo il parere di esperti russi, ben addentro alla discussione tenendo conto del coinvolgimento del loro Paese nel conflitto siriano, non esiste una soluzione militare alla crisi. Si dovrebbe garantire una soluzione politica attraverso il dialogo con i rappresentanti dell'opposizione, almeno con i più presentabili di loro. Secondo la direttrice delle ricerche del Centro Studi arabo islamico presso l'Accademia Russa delle Scienze, una de-escalation probabilmente consentirebbe il dispiegamento di forze di pace. Secondo Alexander Aksenyonok, membro del Consiglio russo per le Relazioni Estere, l'impegno "necessario" della Russia nelle questioni mediorientali ha avuto risultati positivi nel prevenire l'arrivo al potere a Damasco delle forze radicali. Ma ci potrebbero essere conseguenze negative, come ad esempio il rischio di una competizione militare tra Russia e Stati Uniti: da qui la necessità di mantenere aperti i canali diplomatici e di accettare anche grandi compromessi, come sedersi al tavolo con alcune organizzazioni che lì non sono veramente al loro posto. (Valdai Club, 27 e 28 febbraio 2017 a Mosca).

Questa opzione diplomatica è discutibile e viene discussa, date le esperienze della guerra in Siria. È vero, la guerra non può porre fine alla guerra e solo la diplomazia potrà far terminare la tragedia. Tuttavia, è chiaro che lo Stato siriano deve poter negoziare in posizione di relativa forza: l'evoluzione attualmente osservata non è il risultato di buone intenzioni, ma il risultato della aumentata potenza dell'opzione militare contro le provocazioni .

Il Medio Oriente non sarà mai più lo stesso. E così sarà per la Siria. Prima ancora del dopo guerra, la fine della guerra rischia di essere lontana. Pertanto è tempo di pensare:

- Al perseguimento del difficile dialogo politico che verrà avviato in occasione dei colloqui di Ginevra o di Astana. Con ogni probabilità, non sarà facile per coloro che hanno difeso il loro paese contro l'aggressione accettare le condizioni per discutere "diplomaticamente" con interlocutori che hanno voluto e cercato costantemente l'intervento straniero al fine di distruggere la Siria.

- All'immensa opera della ricostruzione del paese, delle sue infrastrutture, della sua economia, che sono state regredite di diversi decenni per il caos. La scelta dei partner si annuncia delicata.

- Alla riconciliazione della sua società (seriamente scossa nei suoi valori o nelle sue fondamenta), al proseguimento del lavoro discreto ma impressionante guidato dal governo, in particolare il ministero della riconciliazione nazionale. Esperienze come quelle dell'Algeria, serviranno come ispirazione.

- Al riapprendere come vivere insieme di tutte le forze vive, con particolare attenzione per i giovani che sono cresciuti durante la guerra, e che costituiscono sia il futuro della Siria ma anche un bacino di reclutamento per i gruppi terroristici.

- All'incentivo per il ritorno e il reinsediamento di milioni di sfollati, rifugiati, esuli: una questione chiave per il futuro del Paese.

Ma, questa sarà la mia conclusione, sul piano politico e diplomatico, la Francia, all'origine di tante decisioni ostili e devastanti contro la Siria (sanzioni, supporto alla ribellione armata, rottura delle relazioni diplomatiche, sostegno ai regimi islamisti e agli "amici della Siria") e che ha portato l'Europa nella sua scia, dovrebbe ammettere che ha un dovere di riparazione. Come ex diplomatico, posso solo sperare nel ritorno alla grande tradizione della Francia gollista, questa politica di dialogo, di apertura, di riconciliazione nei confronti di tutti gli altri partner della comunità delle nazioni, che ci ha resi orgogliosi, ma che è affondata nelle acque dell'atlantismo.

La priorità delle priorità per la Francia, stante le sue responsabilità, sarebbe quella di decidere la revoca unilaterale delle sanzioni che sono state imposte, in gran parte per sua iniziativa e sotto la sua pressione, al popolo siriano. Ma lo farà? Speriamo, senza crederci troppo, che il signor Macron alle parole faccia seguire i fatti in conformità ai suoi annunci d' effetto; nutriamo la speranza che le sue azioni almeno non contraddicano i suoi discorsi. Nell'atmosfera avvelenata che regna da tanti anni per colpa della nostra diplomazia, per riparare i danni servirà molto più di una dichiarazione.

 

27 giugno 2017

 

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