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17 gen 2017

 

Al negoziato vanno solo metà delle opposizioni

 

Ieri alcuni gruppi anti-Assad hanno confermato la partecipazione al tavolo kazako. Gli altri lo boicottano. E c’è chi parla di “supporto remoto”

 

Roma, 17 gennaio 2017, Nena News –

 

Le fratture interne al fronte di opposizione al governo di Damasco ieri sono state portate sul tavolo di Astana. Il 23 gennaio dovrebbe aprirsi il negoziato sulla crisi siriana, sponsorizzato da Russia, Turchia e Iran. E ieri è giunto il via libera delle opposizioni: parteciperemo. O meglio, una parte volerà in Kazakistan, un’altra parte si defilerà e una terza assicura “sostegno remoto”.

Resta dunque fumosa la base stessa del negoziato su cui fino a ieri il fronte anti-Assad non dava neppure la certezza della partecipazione: durante gli scontri a Wadi Barada, valle nei pressi di Damasco da cui parte la principale conduttura d’acqua diretta alla capitale, i “ribelli” si erano sfilati dal dialogo improntato alla fine di dicembre dalla tregua nazionale mediata da Mosca, Ankara e Teheran. Poi è arrivata la tregua a Wadi Barada, centinaia di miliziani hanno ricevuto l’amnistia e molti leader di gruppi armati si sono ritrovati in Turchia a discutere sul da farsi. Probabile che il governo turco abbia fatto pressioni serie perché confermassero la partecipazione al tavolo del dialogo: dopo la sconfitta subita ad Aleppo, le opposizioni sono all’angolo e con loro rischia il principale sponsor politico e militare, Ankara appunto.

Ieri in un comunicato alcuni dei gruppi di opposizione si sono detti pronti a partecipare al negoziato. Tra loro, in prima fila, ci sono Esercito Libero Siriano, Jaysh al-Islam e Fastaqim. Chi invece non ci sarà sono Noureddine al-Zinki e Ahrar al-Sham, il gruppo salafita che mantiene rapporti con i qaedisti di Jabhat Fatah al-Sham (l’ex al-Nusra): una fonte ha riferito all’agenzia russa filo-governativa Sputnik che garantiranno comunque “supporto remoto” al dialogo, ma altre voci ad al Jazeera riportano di un ufficioso boicottaggio del dialogo.

Non ci sarà, almeno strutturalmente, neppure l’Alto Comitato per i Negoziati (Hnc), creatura saudita forgiata a Riyadh a dicembre 2015. O meglio, ci sarà – dice – ma dietro le quinte. Supervisionerà il negoziato ma senza inviare una propria delegazione ufficiale.

Alla confusione sui partecipanti si aggiunge quella sugli argomenti da trattare. Se la scorsa settimana il presidente Assad si diceva pronto a “discutere di tutto”, senza specificare però nel dettaglio che cosa, ieri i gruppi di opposizione che andranno ad Astana hanno messo i primi paletti: i primi giorni di negoziato saranno diretti solo a verificare la tenuta della tregua, monitorare le violazioni e a “neutralizzare il ruolo criminale dell’Iran” (che, però, è uno dei principali mediatori del dialogo stesso).

“Le fazioni andranno e per prima cosa discuteranno la questione del cessate il fuoco e le violazioni del regime”, dice l’Esercito Libero. “La maggior parte dei gruppi ha deciso di partecipare. Le discussioni saranno sul cessate il fuoco, la consegna degli aiuti e il rilascio dei detenuti”, ha aggiunto il leader di Fastaqim, Zakaria Malahifji. Si va al negoziato per “neutralizzare il ruolo criminale” iraniano, ha concluso Mohammad Alloush, leader di Jaysh al-Islam, che si è anche definito il capo della delegazione di opposizione.

E se ufficialmente di precondizioni non ne sono state poste, ponendo alla base del negoziato gli obiettivi di Ginevra (la conferenza di pace Onu), ovvero governo di transizione e elezioni e nuova costituzione entro 18 mesi, è nota la posizione delle opposizioni che non intendono dare vita ad un governo di unità con l’attuale presidente.

Dovrebbero esserci anche gli Stati Uniti, invitati dalla Turchia, fa sapere il ministro degli Esteri turco Cavusoglu. Non ci saranno rappresentanti kurdi, vittoria incassata da Ankara che continua a porli sullo stesso piano di Isis e ex al-Nusra. Si va così a perdere una delle colonne della resistenza anti-islamista nel nord della Siria, la sola in grado di porre un freno all’avanzata dell’Isis e a costringere i suoi miliziani alla ritirata.

Ma la presenza kurda legittimerebbe agli occhi turchi il progetto di confederalismo democratico in atto a Rojava e la sua unità territoriale, minando allo stesso tempo l’operazione “Scudo dell’Eufrate” in corso da fine agosto a cui prende attivamente parte anche l’Esercito Libero. Nena News

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