Fonte: Il Faro sul Mondo

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Ott 22, 2017

 

Raqqa “liberata” per gli interessi Usa

di  Salvo Ardizzone

 

Alla radice della liberazione di Raqqa, più che gli interessi curdi o della Siria ci sono quelli di Washington e di Riyadh.

 

Dopo che il 17 ottobre la città è stata dichiarata libera dall’Isis, e successivamente alla visita di una delegazione Usa e saudita, i miliziani curdi hanno festeggiato in piazza al-Naim sotto un enorme ritratto di Abdullah Ocalan, il leader tutt’ora in carcere del Pkk.

Un quadro che suggerisce alcune riflessioni: la prima è che le tanto celebrate Forze Democratiche Siriane (Sdf) sponsorizzate dagli Usa, altro non sono che le milizie curde dell’Ypg, con l’aggiunta di qualche altro gruppo giusto per salvare la facciata; ma le Ypg, piaccia o no ai tanti sedotti dalla propaganda dei media occidentali, sono il braccio siriano del Pkk, un gruppo terroristico riconosciuto come tale sia dagli Usa (che adesso flirtano con esso per convenienza) che dalla Ue, responsabile di una serie interminabile di attentati e che tiene in ostaggio vasta parte della popolazione curda in Turchia e in Europa.

La sfrontata esibizione in piazza al-Naim, seguita dalla dichiarazione del comando delle Ypg che sosteneva che la vittoria a Raqqa era una vittoria di Ocalan, erano fatte apposta per mandare in bestia la Turchia che vede nel Pkk un pericolo mortale, ed esercitare su di essa una forte pressione.

La visita nella città di Brett McGurk, portavoce della coalizione a guida Usa che ha spianato la strada alle milizie curde con bombardamenti che hanno fatto migliaia di vittime civili (senza che una sola voce si levasse delle tante che si stracciavano le vesti per Aleppo), insieme al ministro degli Affari del Golfo saudita Thamer al-Sabhan, ex ambasciatore in Iraq ed arcinoto per le sue pozioni anti iraniane, è insieme una presa di possesso del territorio, e una dimostrazione di protezione di quelle milizie da eventuali ritorsioni turche.

La presenza di Sabhan a Raqqa, confermata dal quotidiano saudita Okaz, mirerebbe alla ricostruzione della città, ovvero a comprare quelle milizie con una pioggia di petrodollari, la stessa con cui Riyadh ha invano foraggiato le bande di takfiri per smembrare la Siria, e che adesso riversa sui nuovi strumenti di destabilizzazione: i curdi. Per adesso, Amed Sido, uomo di punta delle Sdf, ha dichiarato che Sabhan ha incontrato un sedicente “Comitato di Ricostruzione” insediato da un Consiglio Civile formato per amministrare la città, ovvero per gestire le somme che arriveranno. E perché sia chiaro, alla popolazione araba non è tutt’ora consentito di rientrare.

La cattura di Raqqa permette alle Ypg di raggiungere diversi obiettivi: non solo rafforza la loro posizione nel nord della Siria, ma in prospettiva potrebbe permettere loro di aggirare Manbij, in mano a milizie fedeli alla Turchia, e ricongiungere Kobani, a est dell’Eufrate, e Afrin, all’estremo occidente del Paese; inoltre, la dichiarata copertura Usa ha permesso di equipaggiare le formazioni curde anche con armi pesanti e di avere il sostegno aereo che ha consentito i loro successi. Infine, spinti dagli Usa, con il Daesh distrutto dall’Esercito siriano e dai suoi alleati ormai in rotta, le Ypg sono dilagate nella provincia di Deir Ezzor per mettere le mani sul maggior numero di campi di petrolio e gas di cui è ricca la regione.

Fin qui sembra una coincidenza d’interessi, con Usa e Golfo che, attraverso le milizie curde, rientrano nel gioco da cui erano stati espulsi, e con le Ypg che, nelle loro intenzioni, vorrebbero divenire centrali nel riassetto definitivo della regione. Ma c’è un “ma”: dietro il massiccio appoggio di Washington all’offensiva che ha conquistato Raqqa, c’è l’interesse dell’establishment Usa di avere una carta in mano nella trattativa nelle trattative che presto si apriranno, ma una carta che non hanno alcun interesse di lasciare ai curdi.

Nei fatti, il sostegno alla presa di Raqqa è un investimento di Washington, e ora anche di Riyadh, per mantenere un’influenza nell’area; i curdi sono pedine che, qualora non più funzionali ai disegni dello Zio Sam e del Golfo, sarebbero abbandonati ai Turchi e comunque lasciati soli dinanzi alla Resistenza. E più i curdi svolgono il loro servizio per gli Usa, più ne hanno bisogno per averne protezione, divenendo sempre più obbligati a un’obbedienza totale che, tuttavia, non è affatto una garanzia per il loro futuro. Ciò che sta già avvenendo in Iraq ne è la dimostrazione.

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