Originale: Richardfalk.com

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15 novembre 2017

 

Deludere il popolo siriano

di Richard Falk

Traduzione di Maria Chiara Starace

 

Nota introduttiva: 

quella che segue è un’estesa intervista del novembre 2017 che è incentrata sul fallimento dell’ONU e del mondo di soccorrere il popolo siriano con un intervento umanitario tempestivo ed efficace. L’intervista è stata condotta da un giornalista  turco, Salva Amor, e sarà pubblicato sulla rivista Caucasus International. Il testo dell’intervista è stato leggermente modificato.

 

Un’occasione mancata 

In precedenza lei si è riferito alla Siria come a “un caso ideale per un intervento

umanitario”, tuttavia,  invece che diventare un primo esempio di intervento umanitario   positivo si è trasformato in una delle più grandi crisi umanitarie  in cui gli abitanti di metà del paese sono diventati rifugiati o sfollati.

Che cosa ha reso un tale caso ideale di intervento umanitario, una delle peggiori risposte umanitarie che abbiamo visto in tempi recenti?

Risposta: Non ricordo questo riferimento alla Siria come ‘un caso ideale’, ma forse lo intendevo in senso ipotetico, cioè se si fosse mai richiesto ‘un intervento umanitario’ doveva esserci in Siria, specialmente nelle prime fasi del conflitto. Tuttavia, sono incline a pensare che l’intervento per il cambiamento di regime era, in tutte le sue fasi, una missione impossibile. Dovremmo tenere a mente che il registro di veri esempi positivi di quello che si chiama ‘intervento umanitario’, è stato penoso.   Quando l’intervento ha avuto successo la motivazione non è stata prevalentemente umanitaria, ma è stata invece una confluenza di interessi strategici di vari tipi con una sfida umanitaria. In Siria gli interessi strategici non erano sufficientemente forti da giustificare i costi probabili, specialmente dopo l’Iraq e l’Afghanistan.

Talvolta l’intervento è una copertura per scopi non-umanitari, come in Afghanistan (2002), in Iraq (2003), e in Libia (2011) e può essere efficace per ottenere scopi immediati di cambiamento di regime, ma è estremante costoso in base alla prospettiva dell’umanitarismo, se valutato da una prospettiva di violenza prolungata, di caos della società e di sofferenza umana.

Inoltre è soltanto marginalmente di successo in senso strategico, data la resilienza dell’opposizione sul territorio e la pressione per un’occupazione a lungo termine, se si devono mantenere i guadagni originati dell’intervento.

Altre volte è presente la motivazione umanitaria, come in Siria, ma non c’è alcuna giustificazione strategica di peso sufficiente, e ciò che viene fatto da attori esterni o dall’ONU è insufficiente per controllare il risultato, e spesso finisce con l’intensificare la portata delle sofferenze sopportate dalla popolazione. In effetti, l’intervento umanitario raramente ottiene un beneficio netto in base alla prospettiva della popolazione che presumibilmente si sta soccorrendo. Forse il Kosovo (1999) è il caso recente migliore in cui un presunto intervento umanitario ha avuto un valore strategico sufficiente per essere efficace, e, tuttavia, sembra aver lasciato in migliori condizioni la popolazione kosovara, dopo, sebbene anche il Kosovo non è un caso chiaro.

 

Fallimenti e implicazioni di inazione

I fallimenti umanitari in Siria e per i rifugiati siriani nei paesi confinanti, compresi Giordania, Turchia, Libano e Iraq hanno implicazioni di vasta portata per l’UE dato che milioni di rifugiati scelgono di rischiare la vita per entrare e in Europa, causando l’esodo più vasto fin dalla II Guerra mondiale.

Si sarebbe potuta evitare  l’ondata di profughi che in fuga verso in Europa se ci fosse stato un intervento umanitario più positivo e organizzato?

Risposta: E’ possibile che se la Siria avesse posseduto vaste riserve petrolifere, l’intervento contro il regime di Damasco sarebbe stato sufficientemente robusto da farlo cadere e da creare stabilità prima che le condizioni di combattimento provocassero massicci spostamenti interni di popolazione e giganteschi flussi di rifugiati, compreso l’afflusso verso l’Europa. In questo senso, la Libia con il petrolio, ha indotto a un intervento di quel genere, anche se era stata un’impresa più facile, dato che il regime di Gheddafi aveva molto meno appoggio popolare rispetto al regime di Assad,  non era così ben equipaggiata militarmente e mancava di alleati nella regione. In Siria, a causa delle divisioni geopolitiche regionali e globali, la politica di intervento e di contro-intervento era di gran lunga più complicata e impediva ai potenziali intervenienti contrari al regime, di prendere grandi impegni. Nelle prime fasi del conflitto, la Turchia e gli Stati Uniti hanno calcolato male i costi e la portata di un intervento riuscito in Siria, supponendo che un tentativo indiretto e di basso livello avrebbe potuto essere efficace per ottenere il cambiamento di regime che aveva frainteso le condizioni prevalenti in Siria.

 

La reazione migliore

In base alla sua esperienza, quale sarebbe stata la reazione umanitaria ideale alla guerra in Siria? Chi sarebbe stato il migliore per attuarla?

Risposta: Come si accennava nelle mie prime risposte, non c’è una reazione ideale e l’attuale sistema mondiale non è in grado in modo affidabile, di gestire un intervento umanitario in una situazione come quella che esisteva in Siria. Avere una qualsiasi possibilità di efficacia, richiederebbe di affidare l’impresa a ino o due stati potenti, ma anche la situazione che ne seguirebbe sarebbe molto incerta. In un contesto post-coloniale inevitabilmente ci sarà una forte opposizione nazionalista territoriale all’intervento e all’occupazione esterna che generalmente provocano un caos grave e prolungato. Se il paese è molto piccolo e può essere sopraffatto (Granada, Panama)

Senza un contro-intervento, l’impresa talvolta funzionerà. L’Iraq serve da chiaro esempio di un intervento che ha liberato il paese da un brutale tiranno, ma ha prodotto violenza interna tra regioni e tribù in concorrenza, e ha generato una lotta settaria estrema tra Sunniti e Sciiti, e anche una serie di battaglie etniche, tribali e regionali.

In un mondo governato meglio e che lungi dall’esistere, l’ONU avrebbe agito energicamente e con l’appoggio dei governi regionali in Medio Oriente, i protagonisti della geopolitica (Stati Uniti e Russia) non avrebbero perseguito i loro piani di azione strategici, e un intervento politicamente neutrale avrebbe creato le condizioni per una transizione politica democratica nel dopo-Assad, compresa l’attribuzione  della sua responsabilità dei crimini passati. La sola menzione di questo scenario auspicabile è sufficiente a rivelarne il suo carattere utopico. Specialmente in Medio Oriente, la geopolitica di un obiettivo regionale e globale distorcono malamente tutti i tentativi di costruire una risposta umanitaria alla repressione e alle gravi violazioni dei diritti umani. Sullo sfondo, ma non lontano sullo sfondo, c’è l’importanza del petrolio.

I paesi che hanno sperimentato massicci interventi (Iraq, Libia) possedevano abbondanti riserve di petrolio, mentre quelli che hanno poco petrolio o che non ne hanno affatto o sono statti ignorati oppure hanno sopportato prolungati conflitti sanguinosi. Il caso peggiore è la Siria che è diventata scenario di interventi in concorrenza e compensativi, motivati da ambizioni politiche e strategiche e avendo soltanto un’esile ragione di propaganda associata con il desiderio di alleviare una crisi umanitaria che, nel caso minore, era un obiettivo molto subordinato degli intervenienti su entrambe le parti.

 

Lezioni per il futuro

4a. Come può il mondo imparare dai fallimenti umanitari e dall’inazione che ci sono stati in Siria negli scorsi 7 anni? Quali opportunità di proteggere, difendere o sostenere il popolo siriano abbiamo perduto?

Risposta: Secondo me, è un errore parlare di ‘inazione’ nel contesto siriano. Ci sono stati massicci interventi di tutti i tipi da entrambe le parti del conflitto per opera di vari protagonisti, ma nessuno è stato sufficientemente decisivo per porre fine alla guerra e nessuno principalmente motivato da preoccupazioni umanitarie. Naturalmente, qui e là si sarebbero potute salvare delle vite, specialmente se l’equilibrio di forze all’interno della Siria fosse stato meglio capito in Occidente in una  prima fase del conflitto. Qualunque intervento in Siria è stato in gran parte un faccenda di ingrandire il conflitto stesso e le sofferenze che lo accompagnano.

Il conflitto stesso è stato circondato da rivendicazioni propagandistiche contradditorie che rendevano difficile percepire la realtà per il pubblico, e perciò c’è stata una resistenza politica a un intervento più esplicito e forse più efficace di cambiamento di regime.

 

Indifferenza: 

4b. C’è qualche correlazione tra l’aumento dell’Islamofobia e l’inazione del mondo verso le sofferenze del popolo siriano? Il continuo martellamento di odio verso la religione islamica ha creato l’indifferenza verso chi di loro sta soffrendo? Oppure questa vasta indifferenza è una reazione naturale a questa enorme crisi umanitaria?

Risposta: L’indifferenza in relazione alla Siria, è principalmente una faccenda di confusione e di sfiducia pubblica. La confusione sulla natura del conflitto e la sfiducia riguardo ai motivi dei protagonisti politici che sono intervenuti su entrambe le parti. L’impennata nell’Islamofobia è attribuibile all’interazione della crisi dei rifugiati in Europa e del verificarsi di incidenti terroristici perpetrati dall’ISIS e dai suoi sostenitori. Naturalmente il massiccio flusso di rifugiati è stato indotto dalla violenza nelle zone di combattimento in Siria, e questo ha reso l’Europa molto interessata a risolvere il conflitto, anche se voleva dire permettere a un regime criminale di rimanere al potere.

Suppongo che l’indifferenza citata nella sua domanda sia più evidente in relazione al dramma del popolo Rohingya nel Myanmar che come reazione alla Siria dove, come ho continuato a far capire, il contesto politico domina la sofferenza umana e l’identità islamica delle persone vittimizzate è secondaria. Vale anche la pena ricordare l’indifferenza globale per il genocidio in Ruanda (1994) che si sarebbe potuto evitare, o almeno minimizzare, con un intervento tempestivo e di portata relativamente piccola. E di tanto in tanto, se il contesto sarà di supporto, l’Occidente interverrà sulla parte islamica come in Bosnia e in Kosovo negli anni ’90, dove era in opposizione alla parte cristiana.

L’ONU ha consegnato una grossa porzione dei 4 miliardi di dollari dei suoi sforzi di aiuto in Siria, al regime siriano o ai suoi partner che sono stati approvati da Bashar Al Assad. In che modo l’ONU giustifica il fatto di aver fornito diecine di milioni di aiuti umanitari a uno dei peggiori governi che ha assediato, ridotto alla fame, bombardato e ucciso migliaia di persone del suo popolo?

Risposta: Suppongo che la giustificazione fondamentale per questo comportamento sia che dal punto di vista dell’ONU il regime di Damasco rimane il governo legittimo della Siria che rappresenta il paese all’ONU. Naturalmente, questa è una giustificazione legalista ed elude la vera crisi umanitaria e anche i crimini del regime di Assad. Finora, dato che c’è uno stallo geopolitico regionale (Iran  contro Arabia Saudita) e globale (Russia contro Stati Uniti e Turchia), l’ONU ha cercato di rimanere distante dall’ambito della controversia politica nella misura possibile, allo stesso tempo facendo ciò che può per alleviare le sofferenze umane. Non sono informato riguardo al fatto che gli aiuti dell’ONU raggiungano la popolazione civile come affermato. Le parole usate nella tua domanda indicano che ci dovrebbe essere un certo meccanismo  che può impedire che un governo che commette reati ripetuti contro il suo popolo venga trattato dall’ONU come un normale stato membro; questo però non è probabile che avvenga a breve, ed è difficile,  dato che il Sistema ONU è costruito intorno a idee di ordine mondiale con al centro gli stati.

 

Il diritto di torturare

Il mondo è rimasto scioccato nel 2015, quando i dossier  Caesar furono scoperti, rivelando storie umane che erano dietro le 28.000 morti nelle prigioni siriane: la maggior parte, se non tutti, erano stati torturati prima della morte. Due anni dopo, nessuna iniziativa era stata  presa riguardo ai detenuti e alla tortura nelle prigioni. Non c’era stata nessuna a zione e nessun desiderio di inviare degli osservatori nelle carceri siriane né di indagare su coloro che erano nominati nei  Dossier Caesar per crimini di guerra. Che cosa deve fare un dittatore affinché la comunità internazionale reagisca ai crimini di guerra?

Risposta: Di recente ho preso parte a una cerimonia a Norimberga, in Germania, che assegnava un premio per i diritti umani al fotografo, la cui identità viene tenuta segreta per la sua sicurezza, e che è il responsabile del Dossier Caesar che contiene immagini fotografiche delle torture nelle carceri siriane, di circa 11.000 prigionieri, la maggior parte dei quali, a quanto si dice, ora sono morti. Non c’è dubbio che queste immagini siano orripilanti, ma si sono sollevate serie questioni circa l’autenticità di questo archivio fotografico. E’ stato confermato autentico dall’Osservatorio per i Diritti Umani, ma è stato anche usato da persone strettamente collegate al Governo degli Stati Uniti per costruire un caso per le azioni penali per crimini di guerra, particolarmente contro Bashar al-Assad. Non sono nella posizione di valutare la disputa, e tuttavia non dubito che il regime di Damasco abbia commesso molte atrocità e che sia responsabile per la grande maggioranza delle morti di civili nel corso degli ultimi sei anni in Siria. Allo stesso tempo, anche le forze anti regime che sono frammentate, hanno commesso molti crimini di guerra.

A questi argomenti di responsabilità penale non si può rispondere in modo affidabile da lontano, o soltanto in base a resoconti dei media. Ciò che è necessaria, è una commissione di inchiesta internazionale credibile di accertamento dei fatti  che abbia accesso adeguato a qualsiasi prova e testimonianza che sia disponibile.

I gruppi per i diritti umani hanno calcolato che non meno di mezzo milione di persone sono morte negli scorsi 7 anni in Siria. Anche se ci sono molte fazioni violente in Siria, più del 94% di tutte le morti sono state causate da attacchi del Governo siriano o russi. In confronto, la Libia di Muammar Gheddafi aveva ucciso 257 persone compresi i combattenti e ne aveva ferite 949, di cui meno del 3% erano donne e bambini, quando era intervenuto il. Il 17 marzo 2011, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite adottò la Risoluzione 1973 (del 2011) , autorizzando le “organizzazioni regionali o gli assetti …a prendere tutte le misure necessarie … per proteggere i civili e le aree popolate da civili che erano sotto minaccia di attacchi” in Libia. La Risoluzione fu approvata con 10 voti a favore, nessuno contrario e 5 astensioni. Con il senno di poi, molti si sono chiesti se quell’intervento era stato soltanto per “proteggere i civili”. Il Consiglio di sicurezza

dell’ONU è ancora un organismo affidabile sul quale si può contare per proteggere i civili?

 

La Responsabilità dell’ONU di Proteggere la Popolazione Civile.

Risposta: La norma dell’ONU della Responsabilità di Proteggere (R2P) è interpretata e la sua pratica è governata dal Consiglio di sicurezza dell’ONU, ed è quindi completamente subordinata alle manipolazioni della geopolitica. Riguardo a questo, il minore rischio umanitario in Libia ha portato a una missione ONU per il cambiamento di regime, perché i Membri Permanenti contrari all’intervento (Cina e Russia) sono stati convinti a non esprimere il loro veto per quello che si stava proponendo, cioè una limitata missione umanitaria per proteggere la popolazione civile di Bengasi che era allora intrappolata. Di fatto, dal principio, l’iniziativa della NATO ha esteso la missione di gran lunga oltre il mandato del Consiglio di sicurezza, facendo infuriare la Russia e la Cina che si erano astenute per rispetto delle suppliche collegate alle richieste umanitarie espresse dai membri della NATO del Consiglio di sicurezza. In seguito hanno giustificato la loro opposizione a un ruolo di maggiore iniziativa dell’ONU in Siria, riferendosi alla mancanza di fiducia, alla riluttanza degli stati che intervengono di rispettare i limiti del mandato.

Ciò che è importante riconoscere è che la R2P e altre iniziative dell’ONU, devono rispettare i limiti della geopolitica. L’inazione rispetto alla Siria è così inquietante quanto il silenzio dell’ONU riguardo ai soprusi compiuti sulle popolazioni di Gaza, in Palestina e di Rakhine in Myanmar. E’ soltanto quando esiste un consenso geopolitico, cosa piuttosto rara (per es. il fallimento riguardo allo Yemen) che è possibile che l’ONU svolga un ruolo importante nel modellare un comportamento e nel proteggere i civili.

Perché la responsabilità dell’ONU di proteggere (R2P), è stata invisibile nei 7 anni in Siria? Che cosa si deve fare, ora, allo scopo di compiere un’operazione di R2P in Siria per evitare ulteriori sofferenze? In anni passati i veti hanno bloccato l’intervento umanitario.

Risposta: Parte di questa mia replica qui era stata già data in rapporto alla precedente domanda. Qui aggiungerei soltanto che l’abolizione del veto sarebbe un passo fondamentale, come anche un accordo tra i Membri Permanenti del Consiglio di sicurezza perché si astengano dall’esprimere il veto nei contesti umanitari come quello siriano. Il problema è che è estremamente improbabile che  le potenze che lo hanno rinuncino al loro diritto di veto, in parte perché questi stati non rinunciano volontariamente al potere, e in parte perché i problemi umanitari sono quasi sempre inseparabili da interessi geopolitici vari e spesso antagonisti, e perciò le rivendicazioni non vengono percepite come umanitarie. Si tratta proprio di questo riguardo alla Siria. La conclusione è che il sistema internazionale nel modo in cui funziona adesso, è raramente motivato da considerazioni umanitarie quando entrano in conflitto con le forti preferenze politiche e con le priorità strategiche dei principali stati, e questo è vero anche quando la crisi umanitaria è così grave e prolungata come in Siria.

La reazione più costruttiva, in vista di queste realtà, è di difendere la risposta globale, ma questo non accadrà senza un’importante mobilitazione di gente in tutto il mondo o come reazione frenetica a qualche catastrofe sconvolgente.

Comprendo che c’è stato un veto da parte della Russia e quindi una soluzione non è stata approvata; in tali casi, tuttavia, quando a uno dei paesi coinvolti in queste atrocità è permesso di porre il veto, non suscita un allarme? Sicuramente, questa situazione in Siria e il costo umano, forniscono un precedente sufficiente (se non l’ONU, coloro che si preoccupano di impedire ulteriori atrocità) perché un nuovo capitolo venga abbozzato e attuato nell’ONU. Crede che sia ora che l’ONU adotti un nuovo capitolo nella sua Carta che impedirebbe ai dittatori o ai paesi con un particolare interesse per una guerra di soverchiare i voti del Consiglio di sicurezza dell’ONU? Normalizzare le atrocità a livello globale.

Risposta: Sì, ci sono state molte critiche alla Russia per aver bloccato l’azione in Siria, ma la Russia agiva in accodo con la struttura costituzionale dell’ONU. Gli Stati Uniti usano il loro veto in modo analogo per proteggere Israele e gli altri alleati e in modo ugualmente irresponsabile, da un punto di vista morale o umanitario. Ci si dovrebbe ricordare che la Lega delle Nazioni si è sfasciata perché gli stati principali non hanno voluto partecipare, compresi gli Stati Uniti. L’idea del veto era designata a persuadere tutti i principali stati a partecipare, con l’obiettivo dell’universalità della adesione, ma a costo di generare la paralisi e impedimenti all’azione in qualunque momento i poteri di veto sono in aspro disaccordo. Le sue domande sollevano un problema cruciale: questo è stato un prezzo troppo alto da pagare per mantenere l’universalità della partecipazione. Un problema di questo compromesso tra geopolitica ed efficacia è indebolire il pubblico rispetto per l’ONU come agenzia per la promozione della giustizia e del decoro negli affari globali.

Come specificato nell’Articolo 108, la Carta dell’ONU richiede l’approvazione dei 2 terzi di tutte le adesioni all’ONU e anche di tutti i 5 Membri Permanenti del Consiglio di sicurezza, il che significa che non avverrà nel futuro immediato in relazione a qualunque problema politicamente rilevante. Quando finì la Seconda Guerra mondiale c’è stata la speranza e l’illusione che i paesi che collaboravano contro il fascismo avrebbero continuato a farlo per mantenere la pace. Come si sarebbe dovuto prevedere, è stata una speranza vaga.

La Casa Bianca accetta il dominio prolungato di Assad in Siria, come una “realtà politica”, mentre i leader europei hanno avuto un approccio “morbido” con il Presidente francese, dichiarando che non considerava più necessario la destituzione di Assad. Secondo lei, questi paesi civilizzati come giustificano i buoni rapporti con Assad? L’ISIS è il mostro che provoca l’intervento: l’ISIS ha un impatto sull’Occidente, Assad no.

Risposta: La sua osservazione riguardo all’ISIS, è un modo di esprimere la mia opinione che questi argomenti sono dominati da calcoli geopolitici. L’ISIS, per quanto sia orribile non è stato quasi altrettanto responsabile della qualità e quantità di sofferenze inflitte

al popolo siriano dal regime di Damasco.

A questo punto,  e data l’impossibilità dell’intervento umanitario, il miglior piano B per la Siria è di cercare un cessate il fuoco sostenibile, e questo richiederebbe indubbiamente di fare dei compromessi sgraditi, anche mantenere Assad come capo di stato. Dopo tutto, ci sono molti capi di stato con molto sangue sulle loro mani, e tuttavia la loro legittimità come governanti è fondamentalmente indiscussa. Il modo in cui è organizzato il mondo, lo rende incapace di imporre la responsabilità dei crimini ai leader degli stati sovrani, eccetto che in speciali circostanze di vittoria totale come nella II Guerra mondiale, o, più di recente, in relazione alle azioni penali contro Saddam Hussein e Milosevic, particolarmente nemici dell’Occidente.

Molti gruppi siriani hanno rilasciato delle dichiarazioni per esprimere il loro sgomento alla comunità internazionale per essere intervenuta soltanto per attaccare l’ISIS. Gli aerei della Coalizione Globale volano sopra Deir Al Zour e Raqqa per prendere di mira l’ISIS (causando spesso vittime civili) mentre nello stesso cielo

Gli aerei di Assad che trasportano letali bombe-barile * sorvolano imperterriti  le città vicine. A) C’è un equilibrio nelle azioni in Siria della comunità internazionale? Mentre Assad uccide soltanto o incide sulla vita dei siriani in Siria, l’ISIS è diventato una minaccia per i paesi occidentali. Gli attacchi terroristici in Occidente hanno ucciso e ferito i civili.

B) C’è un messaggio alla base che l’Occidente “Combatterà contro l’ISIS in Siria, perché questo colpisce la gente nei nostri paesi, ma lascerà stare Assad perché non ha nessun impatto sulla popolazione occidentale?”

Risposta: Sì, questa è certamente un’osservazione perspicace. Quando il problema è di portata piuttosto grande e interna, e dove i Musulmani sono le vittime, qualsiasi sforzo per intervenire è destinato a essere debole, nel migliore dei casi, come è stato nelle prime fasi del 2011-2013 quando la Turchia e gli Stati Uniti collaboravano a sostenere Friends of Syria (Amici della Siria)** che erroneamente si pensò fosse in grado di spostare l’equilibrio in Siria, in modo sufficiente da produrre il crollo del regime di Damasco. Quando questo non avvenne, sembrò ovvio che i costi di un intervento efficace erano considerati in Occidente troppo alti e pericolosi. Considerando l’allineamento di Iran e Russia con il governo siriano, si condannava un intervento contro Damasco.

Inoltre, come lei suggerisce, l’Occidente vede l’ISIS come un nemico pericoloso ed è pronto a correre rischi più grossi perché la sicurezza della patria in Occidente è a rischio. L’ISIS è un nemico dichiarato dell’Occidente ed è percepito responsabile di azioni violente, la Siria, invece, no, essendo considerata, al massimo, un regime brutto, in parte perché in passato era ostile a Israele. Tenendo conto di queste circostanze, i politici realisti cercano un cessate il fuoco in Siria, facendo del proprio meglio per arrivare alla distruzione dell’ISIS.

Per favore, gentilmente annoti qualsiasi commento, suggerimento, opzione, idea che lei ha sul conflitto in Siria e in particolare sulla reazione dell’Occidente al riguardo e sul ruolo dell’ONU, e anche su ciò che pensa che si possa e si dovrebbe fare da ora in poi. Grazie mille.

Risposta: Rispetto alle mie precedenti repliche sono scettico su che cosa si possa fare oltre le cose ovvie: rinunciare a ogni speranza di assicurare l’appoggio a un mandato del R2P per proteggere i  Siriani e perseguire un cessate il fuoco, in modo da mettere fine alle sofferenze. Questa non è giustizia, ma potrebbe almeno risparmiare ai Siriani ulteriori traumi e spargimento di sangue.

Ciò che rivelano chiaramente la tragedia e le traversie della Siria è l’incapacità della comunità internazionale, come è organizzata adesso, di affrontare una crisi umanitaria, a meno che ci sia un consenso geopolitico in forma relativamente forte, a livello regionale e globale. Tale consenso non è neppure sufficiente se le difficoltà dell’intervento sono viste come causa di pesanti perdite per la parte che interviene e imporrebbe gli oneri di un’occupazione prolungata per acquisire ordine e sicurezza politica dopo l’intervento.

In questo momento l’Europa potrebbe trarre beneficio da un cessate il fuoco in Siria e dal ripristino di una normalità politica. Ridurrebbe indubbiamente la pressione sui paesi europei, creata dal flusso dei rifugiati siriani che ha dato ai partiti politici di destra la loro più grande forza e il più alto livello di appoggio popolare mai avuti fin dalla II Guerra mondiale.

 

Note

*http://video.corriere.it/-barrel-bombs-siria/ecc97546-20de-11e2-89f5-89e01e31e2ac

**https://it.wikipedia.org/wiki/Amici_della_Siria

 


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/failing-the-people-of-syria

 

 

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