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15 maggio 2017

 

Siria, Usa accusano Assad: esecuzioni di massa, corpi cremati per cancellare "prove" di sterminio

 

Impiccagioni di prigionieri al ritmo di una cinquantina al giorno nel carcere militare di Saydnaya, non lontano da Damasco. Lo afferma il Dipartimento di Stato mostrando foto satellitari declassificate che rivelerebbero le modifiche apportate a un edificio della struttura per adibirlo a forno crematorio. Amnesty aveva lanciato la stessa accusa tre mesi fa: a Saydnaya 13mila morti

 

Nuove accuse di disumana crudeltà vengono mosse dal Dipartimento di Stato Usa contro il regime siriano di Bashar al-Assad. Il governo siriano, ha affermato in conferenza stampa Stuart Jones, assistente del segretario di Stato per il medio e vicino Oriente, sta procedendo a esecuzioni di massa di migliaia prigionieri nel carcere militare di Saydnaya, a 30 chilometri da Damasco. Le impiccagioni, accusa il diplomatico statunitense, avvengono a un ritmo di una cinquantina al giorno. Per cancellare le prove dello sterminio, all'interno dell'istituto di pena un edificio è stato modificato per essere adibito a crematorio, come mostrerebbero foto statellitari declassificate diffuse dal Dipartimento di Stato.

 

Le foto sono state scattate da satelliti commerciali e coprono un periodo che va dal 2013 ad oggi, passando dall'agosto di quattro anni fa al gennaio del 2015, quindi all'aprile del 2016 e 2017. Non provano in modo assoluto, ha precisato Jones, che l'edificio inquadrato sia un crematorio, ma evidenziano una costruzione "coerente" con quel genere di utilizzo. L'immagine del gennaio 2015, in particolare, mostra il tetto del presunto crematorio ripulito dalla neve, scioltasi presumibilmente per il calore sviluppato da una combustione.

"Dato che le numerose atrocità perpetrate dal regime siriano sono state abbondantemente documentate, riteniamo che la costruzione di un crematorio sia il tentativo di nascondere le esecuzioni di massa nella prigione di Saydnaya. E fonti credibili hanno riferito che molti dei corpi sono stati sotterrati in fosse comuni" ha spiegato Stuart Jones. Che ha quindi accusato Assad di "sprofondare in un nuovo livello di depravazione. Col sostegno di Russia e Iran".

Jones si è detto pessimista sui risultati dell'accordo che ha istituito "zone di de-escalation" in Siria nel tentativo di ridurre la violenza e salvare vite umane. Accordo mediato dalla Russia con il sostegno dell'Iran e della Turchia durante i colloqui nella capitale kazaka di Astana la scorsa settimana. "Alla luce dei fallimenti dei precedenti accordi per il cessate il fuoco, abbiamo ragione di dirci scettici", ha detto Jones. "Il regime di Assad deve fermare tutti gli attacchi ai civili e alle opposizioni e la Russia deve assumersi la responsabilità di garantire il rispetto" dei diritti umani "da parte del regime".

Va ricordato come lo scorso febbraio Amnesty International avesse elaborato la stessa accusa di "sterminio" contro il regime di Damasco, calcolando in 13mila le persone impiccate tra 2011 e 2015 in Siria proprio nella prigione degli "orrori" di Saydnaya. La cifra è contenuta in un rapporto di Amnesty sulla Siria, redatto sulla base delle interviste a 84 testimoni oculari, tra cui guardie carcerarie, ex detenuti, magistrati e avvocati, oltre che a esperti nazionali e internazionali. Già tre mesi fa il rapporto Amnesty affermava come "ogni settimana, spesso due volte a settimana, fino a 50 persone sono state tirate fuori dalle celle e impiccate. In cinque anni almeno 13mila persone, tra cui civili che si opponevano al governo".

Oltre alle vittime di Saydnaya, Amnesty quantificava anche 17.000 i detenuti morti nelle carceri siriane nel corso del conflitto. Ma a Saydnaya, aggiungeva l'organizzazione nel suo documento, "sono inflitte ai detenuti condizioni inumane, torture, sistematiche privazioni di acqua, cibo, cure mediche e medicine" mentre sono costretti a ubbidire a "regole sadiche". I negoziati di Ginevra, affermava Amnesty, "non possono non tenere conto" di questi "crimini contro l'umanità" e consentire a "osservatori indipendenti di aver accesso ai luoghi di detenzione".

 

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