questo articolo è uscito sul numero 19 del settimanale Left

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lunedì 21 maggio 2018

 

Francia, tout le monde deteste Macron

di Checchino Antonin

 

Francia: ferrovieri, funzionari, studenti, migranti, operai, tutti contro le “riforme” di Macron. Il nodo della convergenza delle lotte

 

Il ’68 parigino cominciò il 3 maggio quando la polizia fece irruzione alla Sorbona occupata e gli studenti invasero il Quartiere Latino. Fu l’etincelle, la scintilla, del maggio. Mezzo secolo dopo, la gendarmerie non ha aspettato l’anniversario. E’ rientrata alla Sorbona il 13 aprile ma gli studenti sono ancora in agitazione ovunque contro un meccanismo – il ParcourSup – che renderà le facoltà ultraselettive, «potranno rifiutare le iscrizioni senza fornire giustificazioni», spiega a Left, Fabien Coletti, ricercatore dell’Università di Tolosa, probabilmente la situazione più vivace, occupata dal 6 marzo anche contro un progetto locale di accorpamento. Il 19 aprile, poi, ci sono state cariche feroci, decine di feriti, centinaia di lacrimogeni contro la manifestazione di ferrovieri, liceali e universitari. Il giorno seguente, l’evacuazione violenta di Tolbiac alle cinque del mattino. E poi le facoltà di Reims, Nancy, Saint-Charles e Paris 3-Censier. Anche la Zad, zone a defendre, di Notre Dame des Landes, è stata teatro della guerra sociale di Macron che vuole offrire lo sgombero della “lotta più antica di Francia”, dal 1974, in pasto all’opinione pubblica di destra dispiaciuta per la cancellazione del progetto di aeroporto.

 

Il ’68 cinquant’anni dopo

Mentre scriviamo le facoltà occupate sono sotto assedio, da settimane si ripetono le violenze di polizia. A Tolosa, il tribunale amministrativo ha appena ordinato lo sgombero. In alcuni casi sono i presidi a «sollecitare il concorso delle forze dell’ordine». A Montpellier, un docente di giurisprudenza ha guidato personalmente un raid di fascisti contro gli occupanti. E il rettore della Sorbona, Georges Haddad, è arrivato addirittura al punto di evocare “reti di prostituzione” per gettare lo stigma sugli avversari alla selezione.

Ma il 3 maggio di cinquant’anni dopo, la metà dei treni ad alta velocità Tgv è stata cancellata e anche la metà dei treni locali nella regione di Parigi e, altrove, tre treni regionali su cinque. A Parigi, di fronte all’Ecole Militaire i ferrovieri della Sncf in sciopero hanno incassato un assegno simbolico di circa 1 milione di euro, frutto della “cagnotte“, il crowdfunding lanciato dall’inizio delle proteste contro la riforma ferroviaria e l’apertura alla concorrenza voluta dal presidente Emmanuel Macron. Altri cheminots hanno marciato per le strade di Lille, Metz, Tolosa o Lione, quattro giorni prima di essere ricevuti dal Primo Ministro Philippe. A promuovere la raccolta fondi – sebbene ogni sindacato ne abbia una propria – è stato il sociologo Jean-Marc Salmon sostenuto da una trentina tra scrittori e intellettuali, tra cui Annie Ernaux e Robert Guédiguian. Salmon, studioso della rivoluzione tunisina, è lo stesso che lanciò l’appello per Erri De Luca quando fu denunciato per la sua solidarietà col movimento No Tav. Iniziata il tre aprile, la protesta intermittente degli ‘cheminots’ (al ritmo di due giorni di sciopero su cinque ma alcuni sindacati lo avrebbero preferito a oltranza) è già costata alla compagnia 250 milioni di euro. Macron va come un treno per sventare lo spettro di un’alleanza tra studenti e lavoratori. Come nel maggio del ’68. Un sondaggio appena pubblicato dal quotidiano Liberation, spiega come il 70% dei francesi giudichi positivamente l’eredità di quel maggio ’68 proprio nei giorni in cui il movimento prova ad aggregarsi, «pour faire boule de neige», farsi valanga diremmo in Italia. E per il 43% del campione quell’alchimia potrebbe ripetersi ora. Anche nel 1986, questa alleanza ha contribuito a sviluppare lo sciopero più lungo nella storia della ferrovia e, nel 1995, fu tra i fattori della popolarità dello sciopero dei ferrovieri che ha letteralmente paralizzato la Francia.

 

Agli ordini del Medef

Tuttavia, alcuni commentatori hanno sottolineato che aprendo così tanti fronti allo stesso tempo, il governo mira a creare un effetto sorpresa che paralizza o frammenta le dispute. Forse. Sotto Chirac, Sarkozy e Hollande, gli attacchi ai diritti sociali sono stati numerosi e con gravi conseguenze, ma i governi non hanno raggiunto l’obiettivo di imporre una riforma globale neo-conservatrice, che porti la Francia al livello dei suoi principali concorrenti europei. Questo è il compito assegnato a Macron. «Andare fino in fondo!», ha ordinato Pierre Gattaz, potente capo del Medef, la confindustria francese che non fa mistero di come «la fiducia tra gli imprenditori francesi è ai massimi degli ultimi dieci anni, dai tempi della crisi del 2007 e 2008». Al contrario, tra la gente, la stella di Macron non brilla più: più della metà dei francesi, il 56%, ritiene che sia un “cattivo presidente”. E perfino al Quai d’Orsay, sede del ministero degli Esteri, Le Drian, non riuscirebbe più a nascondere il suo malcontento per il decisionismo autoritario di “Macron Jupiter”, per le gaffe da dilettanti dei suoi deputati della République en Marche (Lrm). Macron, per dirne una, ha costretto alle dimissioni il generale Pierre de Villiers, il Capo di Stato Maggiore che ha osato criticare i tagli alla difesa voluti dall’Eliseo. Ma è l’austerità a scatenare il malcontento nella stragrande maggioranza della popolazione. La riduzione dell’APL (Aide Personnalisée au Logement), i contributi per gli alloggi destinati alle fasce più svantaggiate, la soppressione di 300 milioni di aiuti statali agli enti locali, l’accoglienza in pompa magna dei presidenti Trump e Putin. E l’attacco alle condizioni di vita di ferrovieri, dipendenti pubblici (che qua si chiamano in generale funzionari), pensionati, disoccupati, insegnanti, rifugiati e studenti. «I colpi piovono in tutte le direzioni», sintetizza Jean-Philippe Divés. Prima Macron ha messo mano alla loi travail 2, perfezionando il jobs act francese, e ora conduce un attacco allo statuto dei lavoratori delle ferrovie (circa 160mila) e ai funzionari, in generale, che rappresentano il 20% della popolazione attiva (5,5 milioni). A ottobre ha lanciato il Cap 22 (Comité action publique 2022) per l’esternalizzazione di pezzi di servizi pubblici così da sopprimere 120mila posti di lavoro. «E’ un vecchio sogno del centrodestra. L’aveva promesso in campagna elettorale – continua Fabien Coletti – quello che non aveva annunciato era l’attacco agli cheminots. Ora pensiamo che la prossima tappa sia il reclutamento diretto degli insegnanti».

 

Fare la festa a Macron

Alto tasso di sindacalizzazione (che in Francia è molto più basso che da noi) e uno statuto garantista su orari e pensioni: i ferrovieri sono per Macron quello che i minatori furono per Margaret Thatcher, «se la spunta contro di loro, con gli altri sarà ancora più facile», avverte Coletti. Anche a sinistra si è consapevoli della prova di forza decisiva. Da France Insoumise all’Npa sono scesi in piazza il 5 maggio in risposta all’appello – “fare la festa a Macron” – del deputato di sinistra più popolare, François Ruffin. Sul suo sito, un fotogramma di un film di Jean Gabin del ’61 nel quale impersona un deputato che accusa il presidente di aver trasformato il governo in un consiglio di amministrazione.

L’immaginario di Macron sembra pescare proprio agli albori del neoliberismo, nelle parole di un ministro neozelandese del 1989, Roger Douglas: «Non cercate di avanzare passo dopo passo, ma definite chiaramente i vostri obiettivi per raggiungerli con una serie di salti qualitativi, affinché gli interessi di categoria non abbiano il tempo di mobilitarsi per sbarrarvi la strada. La velocità è essenziale e non sarà mai troppa. Una volta avviato il programma di riforme, non fermatevi finché l’avrete portato a termine. Se il bersaglio è in continuo movimento, i vostri avversari non riusciranno a metterlo a fuoco con precisione». E’ proprio quello che sta accadendo in Francia dove però sono in programma anche scioperi nella Scuola Pubblica, per l’insieme della funzione pubblica il 22 maggio, il 26 maggio delle sinistre politiche e sociali e per i pensionati il 14 giugno. «Perché da noi si parla di “papy-boom”, dell’aumento della percentuale di persone anziane ed è molto sentita la vertenza per le Ehpad (come le nostre Rsa) contro i carichi di lavoro crescenti», spiega Laure Dresler, insegnante a Rennes. E’ una delle tantissime persone che ha votato Macron solo per non trovarsi nelle medesime condizioni con Le Pen. «Ma ora siamo incastrati con Macron Jupiter».

 

Le agitazioni si espandono

Ci sono state agitazioni importanti anche nelle agenzie della finanze in difesa del servizio pubblico e crescono le lotte salariali in Carrefour e in Air France dove ci sono già stati 11 giorni di sciopero in due mesi e, ancora, sono in agitazione le guardie carcerarie, gli operai del gas e gli eletti. La moltiplicazione degli attacchi può anche causare un accumulo, una cristallizzazione e un’esplosione di rabbia. «Queste mobilitazioni sono importanti e assumono forme diverse anche se non sono sempre spettacolari – dice a Left, Patrick le Hyaric, direttore de L’Humanité, quotidiano del Pcf, eurodeputato e vicepresidente del Gue – e inoltre, più della metà della popolazione sostiene i movimenti nelle ferrovie. C’è una convergenza di malcontento e rabbia. Che se ne rendano conto o no, i lavoratori stanno agendo contro anni di politiche di austerità che ora stanno avendo effetti negativi sulle loro vite. E’ la sempre maggiore insicurezza della vita a essere messa in discussione». Il segretario del suo partito, Pierre Laurent, ha lanciato l’idea di un referendum autogestito, come fu per le poste, a proposito delle ferrovie. Finora però sono tutti concordi nel dire che le mobilitazioni non hanno raggiunto il livello di due anni fa contro la loi travail. «Il problema della sinistra è che oggi non è in grado di formulare un progetto alternativo comune. Questo indebolisce il movimento. Deve formulare proposte trasformative che indubbiamente aiuterebbero ad ampliare il movimento sociale. La la domanda posta alle forze della trasformazione sociale è quella di inventare un processo per il post-capitalismo». Le divisioni a sinistra rendono diseguale la partecipazione alle lotte nella dimensione locale e la maggioranza dei sindacati non si pone l’obiettivo di sconfiggere il governo ma solo di fare pressione nell’ambito del “dialogo sociale”.

Tutti insieme o da soli contro Macron

Da settimane, il governo è sordo al movimento sociale ma la mobilitazione delle ferrovie, se non è ancora riuscita a superare la strategia sindacale dei due giorni alla settimana, va avanti. Il “giorno senza un ferroviere” ha mostrato che c’erano possibilità di amplificare il movimento e che i lavoratori della SNCF si opponevano in modo schiacciante alla riforma. La sfida del movimento rimane, diverse settimane dopo il suo inizio, amplificazione e convergenza contrariamente alla sequenza delle settimane precedenti, che ha visto il 1° maggio il sindacato e il cartello per “fare la festa a Macron”, il 5 maggio.

Lo sciopero del servizio pubblico del 22 maggio è di particolare importanza anche se avverrà in una data al di fuori della mobilitazione delle ferrovie. Npa, il nuovo partito anticapitalista, spinge lo sviluppo capillare di comitati unitari e teme un’opa di France Insoumise che potrebbe spaventare settori di lavoratori preoccupati per una strumentalizzazione: «La costruzione di questo sciopero deve essere un’opportunità per riunire tutti coloro che vogliono riportare indietro il governo dai suoi piani per la distruzione dei servizi pubblici. Una sconfitta dei ferrovieri avrebbe gravi conseguenze per tutti, lavoratori e utenti dei servizi pubblici. E questa tentazione di compartimentalizzazione potrebbe condurci in una logica mortificante, quella della divisione in un momento cruciale in cui la mobilitazione può essere amplificata o vacillante».  E questo è il punto di preparazione per la manifestazione del 26 maggio per i soggetti politici anticapitalisti e antiliberisti. La sfida è andare oltre la sfiducia tradizionale per stimolare una dinamica unitaria che leghi il sociale, il sindacale e il politico.

 

L’assalto ai treni

Da un punto di vista della propaganda, l’assalto ai treni viene giustificato col solito ritornello che è “l’Europa che ce lo chiede” e l’iter è lo stesso seguito per ogni privatizzazione, da Air France fino a La Poste, France Telecom, Gdf. Uno dei “cattivi” di questa storia si chiama Jean-Cyril Spinetta, onnipresente in tutti quei Cda e autore del rapporto choc alla base della “riforma” che Macron ha ricorrendo all’ordinanza: con una «legge di abilitazione» il governo può legiferare su una serie di materie tra cuo il diritto del lavoro. Le ordinanze possono decadere se il progetto di legge non viene approvato dal parlamento entro una data stabilita. Imporre una riforma con le ordinanze è un iter simile a quello che Hollande e il governo Valls hanno seguito per la Loi Travail 1, facendo approvare una legge con l’articolo 49.3 della Costituzione così da evitare il confronto in parlamento dove il governo socialista non aveva i voti.

Spinetta chiedeva il taglio di 9mila km di ferrovia non redditizi (che invece saranno trasferiti alle Regioni), l’aumento dei biglietti, la soppressione delle tariffe sociali, un piano di prepensionamenti, la trasformazione in società anonima e la fine dello statuto, indicato come la rovina dei conti, per i nuovi assunti. Un vero massacro sociale per risparmiare 150 milioni l’anno di fronte a un utile che, nel 2017 è stato di 1,2 miliardi di euro e un debito (dovuto agli investimenti per l’alta velocità) che ammonta a 46 mld. Ma la macchina mediatica sta montando una «campagna per l’uguaglianza verso il basso», commenta Jean-Philippe Divés, della redazione del settimanale L’Anticapitaliste. Macron Macron punta alla guerra fra poveri: «Posso avere agricoltori da una parte che non hanno una pensione, e dall’altra avere uno statuto ferroviario e non cambiarlo?», ha detto di recente al Salon de l’agricolture. Un copione sperimentato anche in Italia sui presunti “privilegi” dei lavoratori più anziani o del settore pubblico. Sncf dovrebbe aprire alla concorrenza entro il 2020 ma ha già esternalizzato pezzi del servizio merci, delle biglietterie, della manutenzione della rete. In trent’anni sono stati persi nello “spezzatino” societario la metà dei posti di lavoro nel settore, in 115mila lavorano già fuori statuto con contratti interinali o a tempo determinato: le filiali – passate in 10 anni da 187 a un migliaio – fanno già metà del fatturato della holding. Alexis, che lavora di notte alla manutenzione della rete di Parigi sud-ovest racconta dei rischi di degrado di pezzi della ferrovia e delle condizioni di lavoro: «Già oggi il 34% della manutenzione è in subappalto». Fare di più con meno personale è quello che succede anche nella bigliettazione, in vista di una soppressione dell’accoglienza fisica, della totale informatizzazione. In generale, lo statuto dei ferrovieri riconosce le condizioni difficili e usuranti di quel lavoro mentre la privatizzazione spinge verso la compressione salariale, la dilatazione dei turni, i tagli alla sicurezza. Prima di approdare a Sncf, il macchinista Yann lavorava per EuroCargoRail dove subiva pressioni per partire anche se i freni non erano efficienti: «A Sncf non siamo ancora a questo punto».

 

Il reato di solidarietà

Il paradosso è che, al di là della Manica, nella patria del liberismo si fanno i conti con i disastri dello stesso spezzatino anni ’90 e sta crescendo il movimento per la rinazionalizzazione dei servizi. Il Regno Unito, dopo la Svizzera, è il paese più caro. Gli inglesi spendono per viaggiare il 14% del loro reddito contro il 2% dei francesi.

In sintonia con i suoi epigoni europei, anche Macron ha coniato un reato di solidarietà. Il caso Cédric Herrou, contadino che salvava i migranti, condannato a 4 mesi, è solo il più famoso tra gli abusi commessi dal governo e dalla polizia in Val Roja e nei luoghi di confine. La brutalità poliziesca sta scuotendo ampi settori di cittadinanza. Il premio Nobel di Letteratura Jean-Marie Gustave Le Clézio s’è detto scandalizzato dalla «selezione» fatta tra i migranti che fuggono il loro paesi per motivi politici e quelli che fuggono per la miseria: «una negazione di umanità insupportabile». E insopportabile è anche «il modo in cui vengono applicate le direttive del ministro degli interni. Continuiamo a fare subire matrattamenti a persone indifese». Prima di lui, lo scrittore e giornalista Yann Moix (che scrive su Le Figaro) aveva denunciato i «maltrattamenti indegni» subiti da coloro ai quali la polizia trafugava le tende. Proprio in queste ore è partita dal piazzale dell’ex dogana, a Ventimiglia, con arrivo a Breil, sul versante francese della val Roya, la prima tappa della marcia di solidarietà per i migranti verso Calais, nel nord della Francia, organizzata da L’Auberge des Migrants (L’osteria dei migranti). Fra i camminanti, l’eurodeputato francese José Bové e l’ex vescovo di Evreux, famoso per le sue battaglie al fianco degli emarginati, Jacques Gaillot. L’arrivo a destinazione è previsto per il prossimo 7 luglio. 1470 chilometri a piedi contro il blocco alle frontiere, contro il reato di solidarietà e chiedere un’accoglienza migliore, spiega il presidente dell’associazione, Francois Guennoc. Oggi sono una cinquantina a partire da Ventimiglia diretti a Breil-sur-Roya, prima tappa del viaggio. Ogni partecipante iscritto versa un contributo di un euro per chilometro e una partecipazione di 10 euro, al giorno, come spese di vitto e alloggio e occasionalmente di trasporto.

La tesi macronista è che la «brutalità della pressione migratoria» abbia determinato il voto “populista” in Italia e, per questo, si appresta a imporre la loi Collomb, dal nome del ministro di polizia, su immigrazione e asilo: riduzione dei tempi per presentare i documenti e solo 15 giorni, un dimezzamento, per eventuali ricorsi che, perdipiù, non sospenderanno l’espulsione se chi fugge proviene da paesi cosiddetti sicuri. Raddoppia la ritenzione nei centri e il fermo amministrativo si dilata da 16 a 24 ore. L’immigrazione clandestina verrà punita con un anno di galera e 3750 euro di multa e i lavoratori con i documenti falsi (molto apprezzati dagli imprenditori per la loro ricattabilità) rischiano 5 anni e 75mila euro di multa. Tutto ciò in un paese che è già fra i più restrittivi d’Europa. I sans papiers sono ospiti delle Zad e delle facoltà occupate, gli studenti sono anche pendolari, i loro padri sono sotto attacco come lavoratori e come utenti dei servizi pubblici: «La situazione e la posta in gioco non sono mai state così chiare – dice ancora Divés – divisi perderemo, e correremo il rischio di essere sconfitti in successione, un settore dopo l’altro; uniti possiamo vincere e respingere questo governo, indebolendo la continuazione dei suoi attacchi e trovandoci più forti per imporre le nostre richieste. L’unica prospettiva possibile è quella di generalizzare lo sciopero con l’obiettivo di fermare l’intera economia del paese. La necessaria unità, in particolare tra i sindacati, dovranno essere le assemblee generali di lavoratori a imporla, sindacalizzati e no».

 

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