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lunedì 29 gennaio 2018

 

A cinquant’anni dal ’68

di Mario R. Zampella 

 

E' dunque iniziato il grande dibattito internazionale che vede per oggetto il cinquantesimo anniversario della rivoluzione sessantottina. Il confronto e' vasto e coinvolge le posizioni piu' disparate. Coloro che 50 anni or sono hanno partecipato attivamente al movimento politico, si confrontano oggi, con l'eta' avanzata e la consapevolezza che forse, malgrado il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, qualcosa di notevolmente illuminante e' avvenuto. Erano gli anni in cui la contestazione giovanile mise in discussione il potere costituito ed il suo autoritarismo. Gli anni in cui le storture e le contraddizioni del capitalismo affioravano in pieno boom economico. Era il tempo in cui i consumi erano spinti dalla sempre crescente avidita' di profitti, ed in cui le attenzioni ambientali non esistevano. Era il momento in cui classe operaia e studenti marciavano uniti per la rivendicazione di migliori condizioni lavorative e salariali. Ed e' stato anche il tempo in cui la violenza di guerriglia urbana ha maturato la propria identita', distinta fra azioni di matrice eversiva di destra e di sinistra. Che altre e piu' altolocate partecipazioni abbiano contribuito, se non proprio governato, i devastanti attentati di cui la storia narra, purtroppo non e' mai stato appurato ufficialmente. V'era poi una fazione, come dire, neutrale, in cui le rivendicazioni consistevano in semplici inviti alla pace, all'amore ed alla liberazione dagli schemi dominanti che imperavano allora. Si trattava del Flowers' Power, che, dalle radici delle contestazioni americane contro la guerra in Vietnam, si espanse in tutta Europa, contaminando l'ideale giovanile, ancora in preda ai pregiudizi da parrocchia di provincia. E dunque un vero e proprio movimento politico-culturale rivoluzionario prese piede, fra giovani ed operai, rivendicando l'effettiva liberta' dettata da una democrazia esistente solo sulla carta costituzionale, rispetto alle ipocrisie diffuse di quel periodo. Se gli obiettivi politici mirati alla correzione delle iniquita' del capitalismo industriale non furono esattamente raggiunti, molti sono gli orizzonti aperti in quel momento storico e che oggi diamo per scontati. Dalla liberalizzazione dei costumi, all'apertura verso una politica piu' laica, sino all'affermazione dell'individualita' e dell'identita' dei giovani di allora e ancor piu' dei contemporanei. Non era infatti ne' logico ne' normale, che le nuove generazioni di allora avessero rimostranze e rivendicazioni, circa la propria liberta' d'azione e di pensiero. La violenza conobbe la sua escalation quando opinione pubblica e clero si scagliarono contro il movimento liberatorio, quando le forze dell'ordine iniziarono a colpire duro, e da li' fu tutto un crescendo di accuse e controaccuse. La violenza scaturi' dal momento che non era pensabile attaccare la classe capitalista, in pieno boom economico, ovvero, il primo istante in cui, dalla fine della 2° guerra mondiale, si poteva finalmente sperare in un futuro sereno. Non era ammissibile una protesta che sputasse nel piatto in cui una minestra fredda e rancida era servita. Ogni forma di contestazione andava repressa, anche e soprattutto con la forza. I 50 anni trascorsi hanno frattanto messo a fuoco che talune delle rivendicazioni di allora, erano giuste e sacrosante. L'affanno attuale per la preservazione dell'ambiente l'avremmo evitato, le armi, le centrali e le scorie nucleari non le avremmo fra i piedi con i loro pericoli, si e' goduto della liberazione sessuale (sino alla comparsa dell'AIDS), e' giunto il divorzio, la liberta' dei costumi e molto altro ancora. In sintesi, benche' non di matrice europea, il 1968, ancor oggi costituisce l'innegabile momento illuministico dal dopo guerra in poi, in un paese che ancora covava risentimento per il tramonto del fascismo. Le paure ancestrali si sono dissolte nella freschezza di una generazione che ha dovuto impegnarsi non poco per scardinare una mentalita' obsoleta e padronale.

 

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