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19 Mar 2018

 

Putin e Xi, non ce li leva più nessuno

di Giampiero Gramaglia

 

Ci sono. E ci restano. Adesso, siamo sicuri che, per un bel po’, avremo a che fare con loro: Vladimir Putin, appena confermato presidente della Russia con una sostegno plebiscitario, persino superiore alle previsioni (oltre il 76%); e Xi Jinping, che la scorsa settimana s’è visto rinnovare quasi all’unanimità il mandato dal Congresso del Popolo, il Parlamento cinese.

 

Per Putin, è teoricamente l’ultimo giro: è stato presidente per due mandati quadriennali consecutivi dal 2000 al 2008 e, dopo un giro di valzer col suo premier Dmitry Medvedev – per un quadriennio, s’invertirono i ruoli -, ha ottenuto altri due mandati consecutivi di sei anni dal 2012 al 2024. Per Xi, al potere dal 2013, siamo al secondo mandato, ma la sua presidenza è ormai teoricamente illimitata, perché sono stati appena aboliti i limiti a successive riconferme.

 

Putin e Xi hanno prospettive di potere e governo superiori a quelle di qualsiasi leader occidentale: i mandati di Trump, Macron, la Merkel, la May scadono tutti prima dei loro e sono, per di più, sottoposti a verifiche parlamentari ed elettorali ben più contrastate delle loro. Leader italiani, inutile citarne: non sapremmo quali; e, poi, durano sempre poco. Fra le primissime congratulazioni giunte al Cremlino, quelle di Xi: fra ‘presidenti eterni’, o quasi, ci s’intende.

 

Sarà, quindi, il caso di prendere atto che gli Stati Uniti e l’Unione europea, la Nato e i nostri singoli Stati avranno in Putin – e Xi – interlocutori legittimati da procedure certamente discutibili dal punto di vista delle valenze democratiche, ma comunque espressioni d’una chiara volontà popolare. E sarà pure il caso di accettare che Russia – e Cina – sono presenze imprescindibili sulla scena mondiale, con cui non basta trattare a sanzioni e dazi.

 

Invece, l’Occidente accolse fra i Grandi la Russia smarrita e impoverita di Boris Eltsin, salvo poi cacciare dal G8 la Russia assertiva e prepotente di Putin, capace di angherie sui fronti che Mosca considera interni – dalla Cecenia alla Crimea al Donbass in Ucraina, passando per l’Ossezia e l’Abkazia – e di giocare un ruolo decisivo nel Medio Oriente, specie in Siria, soprattutto a causa delle titubanze e delle latitanze occidentali. E, adesso, le rimprovera – magari legittimamente – ingerenze, cyber-attacchi e ‘spy stories’, come se quei giochi li avessero inventati al Cremlino.

 

Anche in queste ore, stiamo a fare le pulci alla vittoria di Putin, perché l’affluenza alle urne non è stata superiore all’obiettivo auto-prefissato del 70% – ma nessuno discute la legittimità di un presidente degli Usa scelto dalla metà dei potenziali elettori e, per di più, votato da meno della metà di quelli andati alle urne –. Putin, però, non ha avversari: un po’ perché quelli che ci sono valgono poco e un po’ perché quelli più temibili li mette fuori gioco.

 

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