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domenica 31 dicembre 2017

 

L’anno che verrà

di Trilussa 

 

Un nuovo anno è alle porte. Cosa ci porterà l’anno nuovo? Intanto quello che sappiamo di sicuro è che per noi italiani porterà l’aumento delle tariffe: intanto luce, gas e autostrade ma difficile che anche altre non le seguano. E’la famosa reazione a cascata che inevitabilmente segue i rincari delle materie prime e dell’energia. 

 

Resisterà la benzina? Difficile, soprattutto considerando che l’incendio di un deposito in Libia (ma chi se li prende i miliardi del petrolio?) con un momentaneo deficit di pompaggio, una minima parte del totale, ha scatenato subito una corsa all’aumento del prezzo del barile di petrolio! Sappiamo anche per certo che i più ricchi del mondo nel 2018 diventeranno ancora più ricchi. Un po’ perché il denaro genera denaro e poi perché la politica di Trump, come del resto aveva annunciato nella sua campagna elettorale, va proprio in quella direzione: togliere ai poveri per dare ai ricchi. Una specie di Robin Hood al contrario. La cosa si farà sentire anche da noi perché la politica economica degli Stati Uniti è quella che condiziona la politica economica mondiale: le grandi multinazionali della comunicazione e del commercio che dominano il mercato, anche in Europa, sono infatti statunitensi.

 

Per guardare più vicino a noi, ci sono le elezioni politiche a marzo. C’è grande incertezza e si sprecano i sondaggi che spesso sono discordanti ma su un unico punto sembrano convergere: con molta probabilità non ci sarà una maggioranza in Parlamento e bisognerà ricorrere a qualche convergenza che al momento sembra impossibile. O almeno difficile visto che nessuno ne fa parola e anzi tutti lo negano. Ma questo prima delle lezioni, dopo chissà. A meno che i penta stellati non riescano a mobilitare e a far convergere su di loro i delusi, gli astenuti e tutti coloro che non si sono mai interessati di politica ma che tuttavia la considerano causa prima dei loro mali o del loro malessere.

 

“Studiando il comportamento degli italiani nel 2016, l'Istat indica al 32,8 per cento la media degli italiani non parla mai di politica. Cifra che diventa ancora più altra tra le donne (40 per cento), tra i giovanissimi (53 per cento nella fascia d'età tra 14 e 17 anni), e tra gli over 75 (47 per cento). In Italia c'è un 24,5 per cento di cittadini che non si informa mai di politica: nel 2015 erano di meno, sono cresciti di due punti in dodici mesi. Allo stesso modo, ascoltare un dibattito politico interessa non più del 17,7 per cento degli italiani: anche in questo caso nel 2015 erano il due per cento in meno. Insomma la tendenza è chiara: meno interesse per i fatti della politica. I numeri della disaffezione crescono al Sud e nelle isole, sono più contenuti al centro e al nord. Chi è a digiuno di politica spiega il proprio atteggiamento con il disinteresse (61 per cento dei casi) la sfiducia (30 per cento) l'eccessiva complicazione della materia (10 per cento). Resta invece più o meno stabile la partecipazione politica diretta, che riguarda però una piccola fetta della popolazione: il 4,3 per cento degli italiani nel 2016 ha partecipato a un corteo (piccolo aumento rispetto all'anno precedente) , lo 0,8 ha fatto il volontario per un partito (due decimi in meno) , l'1,5 ha versato soldi a un partito (tre decimi in meno).”

 

Sono dati Istat e dovrebbero far riflettere, specialmente i nostri politici. Sono dati sconfortanti ma non credo sia difficile capirne i motivi (specie il dato degli over 75, età in cui ogni interesse sembra sfumare rispetto a quello della buona salute!)

 

A me però fa particolarmente impressione la scarsa partecipazione alla politica diretta, anche se mancano i dati relativi alle varie età. Vengo, per ragioni anagrafiche, dagli anni d’oro della partecipazione, quando si andava in piazza per manifestare contro una società vecchia e ingessata nella speranza di fondarne una nuova e moderna, dinamica, dove i diritti, il lavoro e la dignità delle persone fossero messi sempre al primo posto. Era l’epoca del “noi”, quando si pensava che tutti insieme ce l’avremmo fatta. Sono passati un po’ di anni, ma non un secolo, e ci siamo invece ritrovati in quella dell’”io”, dove ognuno è chiuso in se stesso e nella ricerca esclusiva del proprio interesse, con la falsa impressione di non essere mai solo ma connesso al mondo intero.

 

Mondo in cui ci specchiamo con la faccia sempre sorridente e con le foto delle nostre imprese, dove possiamo sfogare senza dare spiegazioni la nostra rabbia, il nostro odio, il nostro razzismo e la nostra cattiveria. Un mondo nuovo, dove per essere amici basta fare un clic in fondo alla pagina invece di passare del tempo a condividere, discutere e confrontarci. Un mondo dove il furbismo è diventato un disvalore da conquistare e da esibire con orgoglio, dove siamo giudicati non per quello che siamo veramente ma per quello che pubblichiamo sui social. Ecco che per avere più like e crescere nella considerazione degli altri spesso compiamo atti indegni, pericolosi, al limite della denuncia, come la foto che ho messo e che dimostra, oltre la becera blasfemia, una totale ignoranza e stupidità.

 

E vale specialmente per i nostri ragazzi, la generazione Smartphone come riferisce il dottor Augusto Biasini, pediatra, già primario dell’ospedale Bufalini di Cesena sul giornale dell’Associazione. Riferisce casi di ragazzini di 10-12 anni accompagnati in ambulatorio dai genitori perché non riescono a staccarsi dal loro telefonino. Sono più lenti, depressi, vulnerabili psicologicamente, estranei anche per i loro genitori, vivono in un mondo virtuale, sono grassi e sedentari, non si muovono più, non escono più di casa. Ogni 10 anni perdono 5 chilometri orari di velocità, il numero dei ragazzi che esce con gli amici è calato del 40% negli ultimi 15 anni secondo una ricerca californiana, sono meno interessati alle conquiste affettive (si rivedono solo nel 56% dei casi) e fanno anche molto meno sesso: nel 2016 rispetto al 1991 c’è stato addirittura un calo del 67%.

 

Ma forse, ripensandoci, qualche errore anche “noi” lo abbiamo commesso e non sono d’accordo (ma la mia opinione vale nulla) col il professor Bencivenga che sosteneva in pieno tutti i valori dei giovani degli anni 60. Io credo che la lotta all’autoritarismo che abbiamo condotto con forza in quegli anni abbia portato oltre le nostre intenzioni e questa lotta è purtroppo sfociata nella rinuncia all’autorità. E questo è un grave danno perché senza autorità non si può insegnare niente, non si crede in niente, non si va da nessuna parte e la società diventa un’accozzaglia di individui isolati e competitivi fra loro. Senza il riconoscimento dell’autorità, a tutti i livelli, non si può costruire un paese veramente civile.

 

Capisco che il quadro per il nuovo anno non sia entusiasmante ma cerchiamo ugualmente di affrontarlo con impegno, pensando a tutto quello che ognuno di noi può fare per migliorarlo. Anche piccole cose, sapendo però che ogni piccolo contributo può concorrere a migliorare il mondo e anche a migliorare noi stessi.

 

Un sincero augurio di Buon Anno a tutti.

 

Trilussa: Medico da oltre 30 anni in un piccolo paese in provincia di Pisa ha scoperto tardi il piacere della scrittura. Ha pubblicato due libri amatoriali, uno di consigli medici per i pazienti ed uno sul dialetto che sta scomparendo.

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